Riceviamo e pubblichiamo
Contratti di fiume, ecoturismo, progetti Ue e Parchi per salvare le aree umide italiane
L’Abbate: «Rappresentano i pozzi di assorbimento del carbonio più efficaci sulla Terra, ma si stanno deteriorando»
[6 Febbraio 2024]
Le aree umide corrispondono al 6% della superficie terrestre, praticamente un’area globale di 1,2 miliardi di ettari, una superficie più grande del Canada.
Rappresentano i pozzi di assorbimento del carbonio più efficaci sulla Terra: solo le torbiere, che coprono circa il 3% del territorio del nostro pianeta, immagazzinano circa il 30% di tutto il carbonio: il doppio di tutte le foreste del mondo.
Le grandi civiltà si sono sviluppate spesso intorno ad aree umide, e tutt’ora nel mondo la vita di più di un miliardo di persone dipende da queste zone, assorbono le piogge in eccesso arginando così il rischio di inondazioni, rallentando l’insorgere della siccità riducendo al minimo la penuria d’acqua, purificano l’acqua, proteggono le coste e il suolo, ed hanno anche un valore estetico e ricreativo.
A livello globale purtroppo si registra una perdita del 35% di zone umide naturali a partire dal 1970, ed il 66% delle zone umide d’Europa sono scomparse negli ultimi 50 anni. Le ragioni di tale declino includono l’uso eccessivo, il degrado del territorio, la siccità, la salinizzazione, l’eutrofizzazione, l’inquinamento, la diminuzione della diversità biotica e le specie esotiche invasive.
Anche in Italia, secondo dati Ispra gli habitat fluviali e le condizioni chimico-fisiche naturali (ossigenazione, temperatura, etc.) che sostengono gli ecosistemi dipendenti dai fiumi si sono in generale deteriorati: solo il 43% dei corpi idrici fluviali è in stato buono o superiore, mentre il 41% è inferiore al buono. Lo stato chimico, che misura la concentrazione di sostanze inquinanti rispetto ai limiti di legge, segnala che il 7% è in stato chimico scarso ed è concentrato principalmente nei distretti industriali lombardi, toscani e pugliesi.
Anche i laghi sono oggetto di pressioni causate dalle attività umane, che hanno alterato gli habitat e le condizioni chimico-fisiche necessarie alla vita degli ecosistemi. Si calcola che dei 347 laghi censiti ai sensi della normativa vigente, solo il 20% raggiunge e supera l’obiettivo del buono stato ecologico,il 39% dei laghi è in qualità inferiore al buono e dovrebbe essere oggetto di misure di miglioramento. Del restante 41% dei laghi non si conosce lo stato ecologico.
È noto invece lo stato chimico solo del 58% dei nostri laghi, con un 48% dei laghi censiti in buono stato, mentre il 10% è in stato scarso. Infine, per quanto riguarda i corpi idrici sotterranei, circa il 58% è in stato chimico “buono”, prevalentemente nelle aree montane e poco esposte a contaminazione, mentre il 25% risulta “scarso” a causa dell’eccesso di sostanze inorganiche quali nitrati, solfati, fluoruri, cloruri, boro, insieme a metalli, sostanze clorurate, aromatiche e pesticidi. Non risulta classificato circa il 17%, che corrisponde a un totale di 183 corpi idrici prevalentemente ubicati nel Meridione, inclusa la Sicilia.
I cambiamenti climatici stanno peggiorando ulteriormente la situazione, alterando la dinamica degli ambienti umidi perenni e facendo scomparire quelli temporanei.
Ma quali sono le soluzioni? In primis migliorare la conoscenza e il monitoraggio della biodiversità; incrementare le aree protette e le zone di tutela integrale; rafforzare la rete Natura 2000; promuovere una gestione integrata della costa, dando piena attuazione alla Strategia marina e favorendo la crescita della blu economy.
È inoltre urgente colmare le lacune normative: basti osservare che la direttiva quadro europea sulle acque non si applica ai corpi idrici e alle zone umide inferiori a 50 ettari.
Vi sono comunque buone pratiche in atto in tutta la penisola, come il Contratto di fiume (Cdf), uno strumento di carattere volontario, che attraverso la promozione del dialogo e dell’integrazione tra i principali soggetti pubblici e privati del territorio, avendo come riferimento il bacino, si pone l’obiettivo di gestire le problematiche relative alle acque e agli ambienti connessi tramite la definizione di un programma di azione condiviso.
Vi sono inoltre forme di ecoturismo e di fruizione delle aree umide come la Ciclovia dell’Ofanto, che ha posto la valorizzazione e identità dell’area come pre-condizione alla tutela.
La Ciclovia segue il corso del fiume più importante della Puglia attraverso strade calme e sentieri poco battuti. Sono nati proogetti di sensibilizzazione dei cittadini come “L’acqua che serve alla Puglia”, un’intesa tra Acquedotto pugliese e Legambiente Puglia per formare, informare e sensibilizzare i cittadini e le istituzioni sull’importanza dell’acqua e di un uso consapevole delle risorse naturali è stata sottoscritta dall’Acquedotto pugliese e Legambiente Puglia.
I fondi europei sono un ulteriore strumento, come ad esempio mostrano il progetto Life Nat.Sal.Mo, nato con l’intento di recuperare la trota mediterranea, o il progetto Life Streams avviato in sei aree pilota nazionali.
Guardando al necessario coinvolgimento delle aree protette, appare poi di particolare valore il progetto di monitoraggio delle zone umide del Parco nazionale dell’Alta Murgia, con la pubblicazioni di quattro report per divulgare gli habitat e le specie oggetto di salvaguardia.
di Patty L’Abbate, vicepresidente commissione Ambiente – Camera dei Deputati