Da millenni le giovani tartarughe verdi del Mediterraneo vanno a mangiare negli stessi posti

L'importanza di proteggere le praterie di Posidonia oceanica lungo le coste del Nord Africa

[20 Luglio 2023]

Secondo lo studio “Threatened North African seagrass meadows have supported green turtle populations for millennia”, pubblicato su PNAS da un team internazionale di ricercatori guidato da Willemien de Kock della Rijksuniversiteit Groningen, «Per circa 3.000 anni, generazioni di tartarughe marine verdi sono tornate nelle stesse praterie sottomarine del Mediterraneo per mangiare». La de Kock lo ha scoperto combinando dati moderni con reperti archeologici.

E’ noto da tempo che durante la loro vita le tartarughe marine migrano in siti di riproduzione e in aree di foraggiamento, ma il fatto che queste per molte generazioni evidenzia l’importanza di proteggere le praterie di Posidonia oceanica lungo le coste del Nord Africa.

Infatti, quando le giovani tartarughe marine verdi (Chelonia mydas) escono dalle loro uova deposte sotto la sabbia, i loro genitori sono già partiti per un lungo viaggio. Le tartarughine arrancano sulla spiaggia per raggiungere il mare, ma non sono ancora in grado di affrontare la lunga migrazione compiuta dagli adulti e quindi restano nei dintorni per anni. Durante questo periodo si cibano praticamente di tutto quel che è commestibile, sono praticamente onnivore. Ma a circa 5 anni di età migrano nel la stessa zona dove vanno i loro genitori e diventano erbivore: mangiano alghe.

In gran parte delle coste del Mediterraneo ci sono centinaia di volontari che proteggono i nidi delle tartarughe marine – in gran parte delle tartarughe comuni  Caretta caretta – e questo succede anche nel Mar Mediterraneo orientale con le nidificazioni delle tartarughe marine verdi in via di estinzione.  La de Kock fa però notare che «Attualmente ci impegniamo molto per proteggere i piccoli, ma non il luogo in cui trascorrono la maggior parte del loro tempo: le praterie sottomarine. E, soprattutto, queste praterie di fanerogame che stanno soffrendo per gli effetti della crisi climatica».

La de Kock ha scovato nella soffitta del Groningen Institute of Archaeology dell’università di Groningen scatole piene di resti di tartarughe marine provenienti da siti archeologici nell’area del Mar Mediterraneo. Gli scavi erano già stati eseguiti dal suo supervisore, l’archeologa Canan Çakırlar, che aveva anche analizzato le ossa. «Tutto quello che dovevo fare era scavare in alcune scatole», riassume la de Kock. E. analizzando le ossa è stata in grado di distinguere due specie all’interno della collezione di ossa: la Chelonia mydas e la Caretta caretta. Ma de Kock è stata anche in grado di identificare cosa stavano mangiando le tartarughe verdi e comuni prima di morire.  Analizzando il  collagene osseo con uno spettrometro di massa, ha potuto rilevare che tipo di piante dovevano aver mangiato le tartarughe marine e spiega: «Ad esempio, una pianta potrebbe contenere più carbonio-12 più leggero di un’altra pianta, che contiene più carbonio-13 più pesante. Dato che il carbonio non cambia quando viene digerito, possiamo rilevare quale percentuale di carbonio è presente nelle ossa e dedurne la dieta».

Pii, grazie ai moderni dati di localizzazione satellitare dell’università di Exeter, la de Kock ha ottenuto informazioni sulle attuali rotte migratorie e sulle destinazioni delle tartarughe marine. I ricercatori di Exeter avevano anche prelevato minuscoli campioni di pelle di tartarughe marine, che hanno rivelato informazioni dietetiche simili a quelle trovate dalla De Kock nelle ossa.

Mettendo insieme i dati antichi dei fossili e quelli moderni della tecnologia satellitare, la de Kock è stata quindi in grado di trarre conclusioni, collegando diete di millenni fa a luoghi specifici e ha scoperto che «Per circa 3000 anni generazioni di tartarughe marine verdi si sono nutrite delle praterie sottomarine lungo le coste dell’Egitto e della Libia occidentale. I risultati per le tartarughe marine comuni erano meno specifici perché avevano una dieta più varia».

Il lavoro di laboratorio, finanziato da EU Horizon2020 MSCActions, è stato svolto alle università di Groningen, di Copenaghen e di York e il team di ricercatori spiega perché è importante conoscere le abitudini alimentari di una specie nel corso di molte generazioni passate: «Perché soffriamo collettivamente della sindrome della linea di base mutevole: i lenti cambiamenti in un sistema più ampio, come una popolazione animale, passano inosservati perché ogni generazione di ricercatori ridefinisce quello che era lo stato naturale, così come lo vedeva all’inizio della loro carriera».

La de Kock conclude: «Anche i dati a lungo termine risalgono solo a un centinaio di anni fa. ‘Ma risalire più indietro nel tempo utilizzando i dati archeologici ci permette di vedere meglio gli effetti indotti dall’uomo sull’ambiente. E ci permette di prevedere un po’ il futuro di queste tartarughe marine. In effetti, modelli recenti hanno mostrato un alto rischio di perdita diffusa di posidonia proprio in questi punti in cui le tartarughe marine verdi si sono recate per millenni. Cosa che potrebbe nuocere alla tartaruga marina verde, proprio per la sua alta fedeltà a questi luoghi».