Delfinario di Rimini, manifestazione contro la riapertura dopo il sequestro dei cetacei
[8 Ottobre 2013]
Dopo che il Corpo forestale dello Stato ha sequestrato 4 delfini e chiuso il delfinario di Rimini, Basta Delfinari ha convocato per il 19 ottobre a Rimini una manifestazione «Per dire NO alla riapertura del delfinario di Rimini. Per dire NO allo sfruttamento di qualunque essere vivente. Perchè nessuno nasce per essere schiavo. La Liberazione Animale (Qualsiasi animale) può partire anche dalla chiusura definitiva del delfinario di Rimini. Affinchè chiunque possa diventare Soggetto, non più oggetto della propria esistenza».
Ieri nella città del divertimentificio si è tenuto un convegno organizzato dall’associazione Donne Damare, cioè le imprenditrici della riviera riminese, la cui presidente è Monica Fornari, proprietaria del delfinario di Rimini ed al quale ha partecipato anche la Presidente dell’associazione Onlus Save the dolphins, che è la stessa Fornari. Presenti anche politici ed imprenditori sostenitori della riapertura del delfinario che sembrano voler fare massa critica di fronte a chi vuole la definitiva chiusura di quello che considera uno dei simboli dello sfruttamento animale.
Dopo la sentenza del tribunale del riesame a fine settembre, che bocciava la richiesta di dissequestrare i delfini, i proprietari della struttura, hanno presentato un ricorso chiedendo che venisse annullata la precedente sentenza. Secondo la Lav «La decisione conferma, ancora una volta, il sequestro preventivo degli animali, stabilendo che i delfini non debbano tornare al delfinario e che quanto raccolto dalla Magistratura e dalla Polizia Giudiziaria sia sufficiente a prefigurare le ipotesi di reato di maltrattamento. Il Sindaco di Rimini, che ad oggi non ha neanche risposto alla nostra richiesta di incontro, prenda atto della conferma delle ipotesi di reato e del sequestro e abbandoni il progetto di costruzione di un nuovo delfinario sul territorio di Rimini. Chiediamo che non si costruisca una nuova prigione per i delfini e che non si spendano milioni di euro dei cittadini come invece si intende fare e come l’amministrazione pubblica sta cercando di realizzare: il problema non sono solo le dimensioni di una vasca ma l’uso inaccettabile che viene fatto di mammiferi marini costretti a vivere in spazi comunque inadeguati e ad esibirsi a comando». Basta Delfinari sottolinea che «Sarebbe stato assurdo pensare a un dissequestro quando le condizioni che lo hanno causato sono rimaste immutate, la sentenza lo ha confermato. Ci auguriamo che il sindaco di Rimini cominci a rendersi conto che la patata bollente che gli è capitata tra le mani tutto può essere tranne che portatrice di una buona pubblicità per la città che egli rappresenta».
Proprio per questo su Change.org è in corso la raccolta di firme sotto una petizione da inviare al sindaco di Rimini nella quale si legge: «Con la presente sono a richiedere che il delfinario di Rimini non venga più riaperto, nè dove si trova ora, nè altrove. Una struttura che per decenni ha lucrato sulla sofferenza di animali in cattività non può essere considerato luogo turistico e di vanto per una città, nonostante il fatturato che produce. La sofferenza prodotta da una vita in vasca è palese e dimostrata, nessuno spazio sarà mai abbastanza grande per un animale nato per il mare aperto e non si può trarre nessun divertimento guardando un essere vivente imprigionato, umiliato e costretto a eseguire esercizi e acrobazie che non eseguirebbe mai, se libero in natura. Nonostante Rimini fondi la propria economia sul turismo e sul divertimento non deve comunque dimenticare l’etica e il rispetto, anteponendo questi ultimi al lucro e a immagini di facciata che possono essere demolite attraverso la semplice informazione, come dimostrano le numerose campagne contro la cattività intraprese in Italia e nel mondo, che stanno ampliando la crescente sensibilizzazione delle persone rispetto a questo problema. Chiedo pertanto che sul triste capitolo del delfinario di Rimini venga scritta definitivamente la parola “fine”, seguendo l’esempio di tanti altri paesi che hanno dato questo semplice segno di civiltà».