Dopo la primavera silenziosa quella senza profumi. Dall’NO3 altri problemi per gli impollinatori
Scoperta una delle principali cause del calo dell’attività notturna degli impollinatori. E la colpa è in gran parte nostra
[9 Febbraio 2024]
Lo studio “Olfaction in the Anthropocene: NO3 negatively affects floral scent and nocturnal pollination”, appena pubblicato su Science da un team di ricercatori statunitensi guidato dal biologo Jeff Riffell e dal professore di scienze atmosferiche Joel Thornton dell’University of Washington (UW) ha scoperto che «I radicali nitrati (NO3) presenti nell’aria degradano le sostanze chimiche profumate rilasciate da un comune fiore selvatico, riducendo drasticamente i segnali basati sul profumo su cui fanno affidamento gli impollinatori notturni per individuare il fiore».
In atmosfera, l’NO3 è prodotto da reazioni chimiche tra gli altri ossidi di azoto, che a loro volta vengono rilasciati dalla combustione di combustibili fossili provenienti da automobili, centrali elettriche e altre fonti. I risultati pubblicati su Science sono i primi a mostrare «Come l’inquinamento notturno crei una catena di reazioni chimiche che degradano gli stimoli olfattivi, lasciando i fiori non rilevabili dall’olfatto». I ricercatori hanno anche stabilito che «L’inquinamento probabilmente ha un impatto mondiale sull’impollinazione».
Il team di ricerca statunitense ha studiato l’enotera pallida (Oenothera pallida) un fiore selvatico che cresce negli ambienti aridi nel West Usa e ha scelto questa specie perché i suoi fiori bianchi emettono un profumo che attira un gruppo eterogeneo di impollinatori, comprese le falene notturne, che sono uno dei suoi impollinatori più importanti.
Nei siti sul campo nella parte orientale dello Stato di Washington, i ricercatori hanno raccolto campioni di profumo dai fiori di enotera pallida, poi in laboratorio hanno utilizzato tecniche di analisi chimica per identificare le dozzine di singole sostanze chimiche che compongono il profumo di questi fiori di campo.
Riffel spiega che «Quando annusate una rosa, state annusando un bouquet diversificato composto da diversi tipi di sostanze chimiche. Lo stesso vale per quasi tutti i fiori. Ognuno ha il suo profumo composto da una specifica ricetta chimica».
Una volta identificate le singole sostanze chimiche che compongono il profumo dell’ enotera pallida, il team ha utilizzato la spettrometria di massa per osservare come reagiva all’NO3 ciascuna sostanza chimica all’interno del profumo, scoprendo che «La reazione con NO3 ha quasi eliminato alcune sostanze chimiche profumate. In particolare, l’inquinante ha decimato i livelli di composti aromatici monoterpenici, che in esperimenti separati le falene avevano trovato più attraentiz.
Le falene, che annusano attraverso le loro antenne, hanno una capacità di rilevamento degli odori più o meno equivalente a quella dei cani e diverse migliaia di volte superiore all’olfatto umano. Secondo Riffell, «La ricerca suggerisce che diverse specie di falene possono rilevare odori a chilometri di distanzaz.
Usando una galleria del vento e un sistema di stimolazione degli odori controllato dal computer, il team ha studiato la capacità di due specie di falene – la sfinge foderata di bianco (Hyles lineata) e la sfinge del tabacco (Manduca sexta) – di individuare i profumi e volare vers la fonte dell’odore. Quando i ricercatori hanno introdotto il profumo normale dell’enotera pallida, entrambe le specie volavano prontamente verso la fonte del profumo. Ma quando hanno introdotto il profumo e l’NO3 a livelli tipici di un ambiente urbano notturno, la precisione della sfinge del tabacco è scesa del 50% e la sfinge foderata di bianco – uno dei principali impollinatori notturni di questo fiore – non è riuscita a localizzare la fonte del profumo.
Esperimenti in un ambiente naturale hanno confermato questi risultati. Negli esperimenti sul campo, il team ha dimostrato che «Le falene visitavano un fiore finto che emetteva un profumo inalterato tanto spesso quanto ne visitavano uno vero. Ma, se trattavano prima l’odore con NO3, i livelli di visita delle falene diminuivano fino al 70%».
Per Riffel questo significa che «L’NO3 sta davvero riducendo la “portata” di un fiore: quanto lontano il suo profumo può viaggiare e attirare un impollinatore prima che si decomponga e diventi non rilevabile».
Il team di ricercatori ha anche confrontato l’impatto dell’inquinamento diurno e notturno sulle sostanze chimiche profumate dei fiori selvatici e sottolinea che «L’inquinamento notturno ha avuto un effetto molto più distruttivo sulla composizione chimica del profumo rispetto all’inquinamento diurno. Riteniamo che questo sia in gran parte dovuto alla luce solare che degrada l’NO3z.
Per individuare le aree che hanno maggiori probabilità di avere problemi significativi per la comunicazione tra piante e impollinatori, i ricercatori hanno utilizzato un modello computerizzato che simula sia i modelli meteorologici globali che la chimica atmosferica e le aree identificate includono il Nord America occidentale, gran parte dell’Europa, il Medio Oriente, l’Asia centrale e meridionale e l’Africa meridionale.
Thornton spiega a sua volta che «Al di fuori dell’attività umana, alcune regioni accumulano più NO3 a causa di fonti naturali, geografia e circolazione atmosferica. Le fonti naturali di NO3 includono incendi e fulmini. Ma l’attività umana sta producendo più NO3 ovunque. Volevamo capire come queste due fonti – naturale e umana – si combinano e dove i livelli potrebbero essere così alti da interferire con la capacità degli impollinatori di trovare I fiori».
I ricercatori sperano che il loro studio sia solo il primo di molti che aiutino a scoprire l’intera portata del fallimento degli impollinatori. Thornton aggiunge che «Il nostro approccio potrebbe servire come roadmap per altri per indagare su come gli inquinanti incidono sulle interazioni pianta-impollinatore e per arrivare davvero ai meccanismi sottostanti. Questo tipo di approccio olistico è necessario, soprattutto se si vuole capire quanto sia diffusa la rottura delle interazioni pianta-impollinatore e quali saranno le conseguenze».
Lo studio evidenzia i pericoli dell’inquinamento provocato dall’uomo e le sue implicazioni per tutti gli impollinatori, nonché per il futuro dell’agricoltura. Riffell conclude: «L’inquinamento causato dalle attività umane sta alterando la composizione chimica dei segnali olfattivi essenziali, e alterandola a tal punto che gli impollinatori non riescono più a riconoscerlo e a rispondervi. Circa tre quarti delle oltre 240.000 specie di piante da fiore si affidano agli impollinatori. E più di 70 specie di impollinatori sono in pericolo o minacciate».