El Salvador, tra guerre e disastri naturali
Prima del 1990 il territorio era ricoperto per il 99% da foreste millenarie, ma in un decennio è stato distrutto più di quanto sia stato fatto in secoli di colonizzazione spagnola
[3 Novembre 2023]
Nonostante il significato del suo nome si riferisca chiaramente alla figura del Salvatore Gesù, questo piccolo stato del Centro America vive un periodo di pace e relativa tranquillità politica solo negli ultimi anni, dopo periodi molto oscuri e di violenza inaudita.
Il conflitto armato avvenuto dal 1979 al 1992 tra l’esercito del Paese (tra l’altro con a capo un presidente che aveva preso il potere con un colpo di Stato finanziato con due milioni di dollari al giorno dagli Stati Uniti d’America, ai tempi con Jimmy Carter prima e Ronald Reagan poi come presidenti, e con supporto militare diretto e indiretto) e il Fronte Farabundo Marti per la liberazione nazionale (Fmnl) causò la morte di più di settantacinquemila persone e ottomila dispersi.
El Salvador aveva già vissuto una guerra civile più di un secolo prima, tra il 1826 e il 1829, quando ancora faceva parte della Repubblica federale del Centro America insieme a Guatemala, Honduras, Nicaragua e Costa Rica. Nel 1969 aveva inoltre avuto un conflitto armato con l’Honduras, a causa di una forte emigrazione salvadoregna che la seconda aveva respinto con la forza; si era trattato di una guerra durata solo quattro giorni, ma che aveva causato la morte di circa seimila persone tra soldati e civili. Il pretesto per dare inizio alle ostilità era stata una partita di calcio tra le due nazionali: era stata quindi chiamata la “guerra del pallone”, di cui aveva parlato tutto il mondo.
El Salvador ha una superficie di 21.041 km2, quindi poco più grande del Veneto, con una popolazione di sei milioni e mezzo di abitanti. Ma se i salvadoregni non fossero emigrati soprattutto negli Stati Uniti d’America e in altri luoghi del mondo a causa di guerre civili e guerre importate, terremoti catastrofici, eruzioni vulcaniche violente e uragani devastanti, ora sarebbero più di dieci milioni.
Oggi, però, le loro rimesse costituiscono la prima risorsa economica del Paese. Questo vuol dire anche che molti salvadoregni vorrebbero ritornare nella loro terra natale, anche se ciò non avviene quasi mai, né in questo piccolo Stato, né in altri Paesi del mondo con un forte flusso migratorio politico ed economico verso l’estero.
Prima della colonizzazione spagnola su El Salvador viveva un’enorme quantità di animali: il cervo dalla coda bianco, il pecari, l’aguti, il coniglio selvatico, l’armadillo e un’infinità di tartarughe marine, di uccelli e di scimmie ragno (Atelesgeoffroyi), di aluatte (Alouatta villosa) e di cebi cappuccini (Cebuscapucinus). Fino a venti anni fa era presente anche un’altra specie di aluatta (Alouatta palliata), di cui ora non c’è più traccia. Tutti questi animali sono letteralmente scomparsi: non esistono più, sono solo un ricordo.
Dal 1990 al 2000 El Salvador ha subito la deforestazione più grande di tutto il Centro America. Prima di allora il territorio era ricoperto per il 99% da foreste millenarie; in così breve tempo è stato distrutto più di quanto sia stato fatto in secoli di colonizzazione spagnola, quando la richiesta di legname per costruire navi e case era già molto alta.
Le autorità locali hanno pensato di sfruttare turisticamente quel poco che è rimasto, aprendo al pubblico Parchi nazionali e zone protette; se andiamo a vedere bene le aree in questione, però, sono tutte zone vulcaniche in cui non cresce nemmeno un filo d’erba, come nel Parque nacional Cerro Verde collocato proprio all’interno del cratere di un vulcano spento.
Certo, hanno il loro fascino, ma si tratta pur sempre di luoghi faunisticamente e florealmente praticamente sterili, anche se alcuni osservatori di recente hanno sostenuto che al Cerro Verde siano ritornati il cervo dalla coda bianca e l’armadillo.
In El Salvador ci sono quattro parchi di questo tipo; se consideriamo che ad esempio nel vicino Costa Rica ce ne sono ben centoventisei, è ben poco. Certo, il Costa Rica non ha vissuto tutte le vicende belliche e le catastrofi di El Salvador, ma la differenza rimane comunque enorme.
L’ultima guerra civile in El Salvador è stato un genocidio, uno dei più efferati nella storia dell’umanità, e ha spazzato via intere popolazioni di uomini e animali. E pensare che fino agli anni Sessanta, a parte qualche scaramuccia tra contadini e militari, tutto era tranquillo.
Prima della guerra in El Salvador erano state condotte delle ricerche sulla biodiversità, incluse alcune sulle scimmie ragno che descrivevano tutti i loro dettagli, il colore e le varie sfumature del pelo, la densità delle varie popolazioni, la vita sociale, le interazioni tra i gruppi, l’homerange (cioè il territorio che utilizzano per gli spostamenti in un anno) e l’alimentazione, costituita principalmente di fiori, semi, germogli e foglie di varie specie di piante, di piccoli animali da preda, di piccoli rettili e di insetti che ora sono quasi tutti scomparsi insieme alle scimmie.
A dire il vero, in questi ultimi anni in El Salvador sono state intraprese delle iniziative dirette alla salvaguardia di ciò che è rimasto della fauna e delle scimmie in particolare, che purtroppo vengono relegate in piccole aree di foresta semi-decidua, non proprio il loro habitat naturale. Vengono anche recintate alla meglio, circondate da campi coltivati e irrigati artificialmente dai contadini che non vedono di buon occhio questi animali, i quali spesso superano i recinti e vanno nei campi a mangiare i raccolti.
Lungo la Carretera Litoral, la strada principale del Paese, esistono alcune di queste recinzioni in cui vengono messe al massimo una decina di esemplari di aluatta, con il pericolo che qualche malintenzionato vada a ucciderle al suo interno, com’è capitato più di una volta nonostante siano gli ultimi esemplari rimasti.
Gli operatori cercano con ogni sforzo di sensibilizzare gli abitanti del luogo, anche le scolaresche, attraverso visite guidate e lezioni sulla salvaguardia della natura, ma il compito non è facile.
di Angelo Tartabini