Entro la fine del secolo ci potrebbe essere l’estinzione di massa del 90% di tutte le specie marine
Se non ridurremo le emissioni di gas serra, i primi a scomparire saranno mammiferi marini, razze e squali
[25 Agosto 2022]
Secondo lo studio “A climate risk index for marine life”, pubblicato recentemente su Nature Climate Change da un team internazionale di ricercatori guidato dal biologo canadese Daniel Boyce della Dalhousie University, a causa delle emissioni di gas serra provocate dall’alto consumo energetico, entro il 2100 il cambiamento climatico colpirà quasi il 90% degli organismi marini che rischieranno l’estinzione.
I ricercatori hanno analizzato circa 25.000 specie marine di animali, piante e batteri e, dopo aver tenuto conto di fattori come la loro sensibilità ai cambiamenti climatici, la loro adattabilità e la misura in cui potrebbero esserne influenzati in futuro, i ricercatori hanno evidenziato che in uno scenario di emissioni di gas serra molto alto (SSP5-8.5) o business as usual, entro il 2100 circa il 90% della vita marina sarà a rischio di estinzione. Questo significherebbe la morte di massa di migliaia di specie di animali, piante, cromi, protozoi e batteri che popolano i nostri mari e oceani, con drammatiche ricadute anche sulla sopravvivenza della nostra specie.
Lo studio evidenzia anche «Un numero sproporzionatamente elevato» di specie di squali, razze e mammiferi è a rischio climatico elevato o critico e che 75% si estinguerà entro il 2100.
Secondo lo studio, le specie dovrebbero morire in massa mentre il cambiamento climatico causa enormi cambiamenti nell’ecosistema e un’ulteriore perdita di biodiversità negli oceani e scrivono che « Inoltre, circa il 10% dell’oceano ha aree che combinano alto rischio climatico, endemismo – uno status di una specie che si trova solo in poche località definite – e una minaccia di estinzione per le specie. Molti ecosistemi che ospitano un’elevata biodiversità sono stati inclusi in quelle aree». Si tratta del Golfo di Thailandia, del Triangolo dei Coralli, dell’Australia settentrionale, del Mar Rosso, del Golfo Persico, della costa dell’India, dei Caraibi e di alcune isole del Pacifico.
Boyce ha detto ad ABC News che i risultati dello studio «Sono abbastanza sorprendenti e molto deludenti. E’ un’indicazione di cosa potrebbe accadere se l’estrazione di combustibili fossili continuasse al ritmo attuale senza prestare attenzione alla mitigazione. Mi piacerebbe pensare che sia uno scenario non plausibile ma. ciò nonostante, è lo scenario peggiore. E quando abbiamo valutato quello scenario, abbiamo scoperto che c’era un quadro molto cupo per il rischio climatico per le specie marine. Le minacce sono maggiori per le specie all’apice della catena alimentare che vengono pescate, inclusi pesci palla, tonni e squali, e nei Paesi a basso reddito con un’elevata dipendenza dalla pesca, suggerendo una ristrutturazione diffusa dell’ecosistema per quelle specie. C’era un modello davvero sorprendente nel quale il rischio era sistematicamente più alto per le nazioni che hanno uno status socioeconomico inferiore, nazioni a reddito più basso che tendono a essere più dipendenti dalla pesca e tendono ad avere una sicurezza alimentare e uno stato nutrizionale generale inferiori».
Lo studio ha infatti scoperto che i principali predatori sono più a rischio di estinzione rispetto ale specie più in basso nella catena alimentare. Il team si è concentrato sulle specie che vivono nella parte superiore dell’oceano «Perché è qui che i cambiamenti di temperatura causati dal clima sono i più gravi» e rivela che tra le specie maggiormente a rischio ci sono il pesce palla cinese e le castagnole delle Galapagos. Nello scenario a basse emissioni, la specie che sembra essere meno vulnerabile al cambiamento climatico futuro è il pesce lanterna bluntsnout, una specie pan-globale, mesopelagica, a migrazione verticale breve.
Gli autori dello studio evidenziano che «La mitigazione del cambiamento climatico potrebbe ridurre i rischi per quasi tutte le specie esaminate, nonché migliorare la stabilità negli ecosistemi e avvantaggiare le popolazioni insicure dal punto di vista alimentare nei Paesi a basso reddito».
Boyce avverte che «E’ facile dimenticare quanto gli esseri umani e il resto del pianeta facciano affidamento sugli oceani di una molteplicità di servizi, come cibo e ossigeno, Questo studio Dovrebbe darci una forte motivazione per fare tutto il possibile per mitigare le nostre emissioni e concentrarci sull’evitare lo scenario peggiore».
I ricercatori concludono: « I risultati potrebbero essere utilizzati per dare priorità alla conservazione degli ecosistemi vulnerabili e includere il lavoro per prendere in considerazione la suscettibilità e l’adattabilità delle specie nelle strategie di gestione del clima».