Gli attuali sistemi di produzione alimentare minacceranno l’habitat per il 90% delle specie animali entro il 2050

L’agricoltura industriale potrebbe portare a una perdita di habitat di vastissima portata

[22 Dicembre 2020]

Secondo lo  studio “Proactive conservation to prevent habitat losses to agricultural expansion”, pubblicato su Nature Sustainability da un team internazionale di ricercatori guidato dalle università di Leeds e di Oxford, «Se non verrà modificato, il sistema alimentare globale potrebbe determinare una rapida e diffusa perdita di biodiversità se non modificato».

I risultati dello studio, al quale ha partecipato anche Carlo Rondinini. Del Global Mammal Assessment Programme, Dipartimento di biologia e biotecnologie Charles Darwin, dell’università La Sapienza di Roma, dimostrano infatti che «Il sistema alimentare mondiale dovrà essere trasformato per prevenire la perdita di habitat in tutto il mondo».

Il team di ricerca internazionale ha scoperto che «Ciò che mangiamo e il modo in cui viene prodotto dovranno cambiare rapidamente e drasticamente per prevenire perdite di biodiversità diffuse e gravi».

I ricercatori hanno analizzato gli impatti della probabile espansione agricola su un numero senza precedenti di specie (quasi 20.000), tenendo esplicitamente conto delle differenze nel modo in cui le singole specie possono essere influenzate dal cambiamento dell’utilizzo del suolo agricolo e analizzando come le transizioni proattive del sistema alimentare potrebbero mitigare la futura diminuzione della biodiversità.

Il team di ricerca ha sviluppato un modello di allocazione del suolo flessibile, spazialmente esplicito con una risoluzione di 1,5 x 1,5 km basato sui cambiamenti osservati nella copertura del suolo agricolo dal 2001-2013 e dati spazialmente espliciti sui probabili determinanti del cambiamento della copertura del suolo, inclusa l’idoneità di un area per la produzione agricola, copertura del suolo agricolo attuale, precedenti modelli di cambiamento della copertura del suolo agricolo, vicinanza ad altri terreni agricoli, accesso al mercato e ubicazione delle aree protette.

In particolare, i ricercatori hanno utilizzato i dati satellitari del periodo 2000-2013 per calcolare i cambiamenti nella copertura del suolo agricolo, quindi hanno costruito modelli statistici per spiegare questi modelli di cambiamento. Collegando questi modelli alle stime della futura domanda di terra, sulla base delle dimensioni della popolazione, del PIL pro capite e dei rendimenti agricoli, sono stati in grado di prevedere dove e di quanto i terreni agricoli potrebbero cambiare in futuro.

Il principale autore dello studio, David Williams, della School of Earth and Environment del Sustainability Research Institute  dell’università di Leeds, spiega: «Abbiamo stimato come l’espansione agricola per nutrire una popolazione mondiale sempre più numerosa possa influenzare circa 20.000 specie di mammiferi, uccelli e anfibi. La nostra ricerca suggerisce che senza grandi cambiamenti ne sistemi alimentari, milioni di chilometri quadrati di habitat naturali potrebbero andare persi entro il 2050. Quasi 1.300 specie rischiano di perdere almeno un quarto del loro habitat rimanente e centinaia potrebbero perderne almeno la metà. Questo le rende molto più propense a estinguersi. In definitiva, dobbiamo cambiare ciò che mangiamo e come viene prodotto se vogliamo salvare la fauna selvatica su scala globale. Dobbiamo modificare sia le nostre diete che i metodi di produzione alimentare».

Dallo studio emerge che i sistemi alimentari influenzerebbero la biodiversità a un livello molto più minuto rispetto alla ricerca precedente (2,25 km2), con risultati che sono molto più rilevanti per l’azione di conservazione, evidenziando esattamente quali specie e territori  potrebbero essere minacciati.

I ricercatori ci sono riusciti collegando le proiezioni di quanta terra agricola avrà bisogno ogni Paese con un nuovo modello che stima dove è più probabile che si verifichino l’espansione e l’abbandono dell’agricoltura.

Osservando se le singole specie animali possono sopravvivere o meno nei terreni agricoli, i ricercatori hanno potuto quindi stimare i cambiamenti nell’habitat, scoprendo che «Le perdite erano particolarmente gravi nell’Africa sub-sahariana e in alcune parti dell’America centrale e meridionale».

All’università di Leeds fanno notare che «Molte delle specie che potrebbero essere più colpite non sono elencate come minacciate di estinzione, e quindi è improbabile che siano attualmente all’attenzione degli ambientalisti».

L’atro autore principale dello studio, Michael Clark, della Oxford Martin School e del Nuffield Department of Population Health dell’università di Oxford, evidenzia: «Poiché gli obiettivi internazionali per la biodiversità dovrebbero essere aggiornati nel 2021 (la Convention on biological diversity e l’Intergovernmental Platform on Biodiversity and Ecosystem Services  si terranno nel 2021, ndr), questi risultati sottolineano l’importanza di sforzi proattivi per salvaguardare la biodiversità riducendo la domanda di terreni agricoli. Le discussioni sul rallentamento e l’inversione della perdita di biodiversità spesso si concentrano su azioni di conservazione convenzionali, come la creazione di nuove aree protette o una legislazione specifica per le specie minacciate. Queste sono assolutamente necessarie e sono state efficaci nel preservare la biodiversità. Tuttavia, la nostra ricerca sottolinea l’importanza di ridurre anche gli stress finali alla biodiversità, come l’espansione agricola. La buona notizia è che se apportiamo modifiche ambiziose al sistema alimentare, possiamo prevenire quasi tutte queste perdite di habitat».

Lo studio ha esaminato il potenziale impatto di questi ambiziosi ma radicali cambiamenti, determinando se le transizioni verso diete sane, la riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari, l’aumento dei raccolti e la pianificazione internazionale dell’uso del suolo potrebbero ridurre le future perdite di biodiversità e fanno notare che «Questo approccio consente ai responsabili politici e agli ambientalisti di identificare quali cambiamenti potrebbero avere i maggiori benefici nel loro Paese o regione. Ad esempio, l’aumento dei rendimenti agricoli probabilmente porterebbe enormi benefici alla biodiversità nell’Africa subsahariana, ma farebbe molto poco in Nord America, dove i raccolti sono già alti. Al contrario, il passaggio a diete più sane avrebbe grandi benefici in Nord America, ma è meno probabile che abbia un grande vantaggio nelle regioni in cui il consumo di carne è basso e l’insicurezza alimentare è alta».

Clark ha concluso: «E’ importante sottolineare che dobbiamo fare tutte queste cose. Nessun approccio da solo è sufficiente. Ma, con un coordinamento globale e un’azione rapida, dovrebbe essere possibile fornire diete sane per la popolazione globale nel 2050 senza gravi perdite di habitat».