Gli uccelli marini artici sono meno tolleranti al caldo e più vulnerabili ai cambiamenti climatici
Le specie artiche sono poco adattate a far fronte a rapido aumento delle temperature nell’Artico che continua a riscaldarsi
[30 Luglio 2021]
L’Artico si sta riscaldando a una velocità che è circa il doppio di quella globale e il recente studio “Limited heat tolerance in a cold-adapted seabird: implications of a warming Arctic”, pubblicato sul Journal of Experimental Biology da un team di ricercatori canadesi della McGill University rileva che le specie artiche adattate al freddo, come l’uria di Brünnich (Uria lomvia), sono particolarmente vulnerabili allo stress termico causato dai cambiamenti climatici.
La principale autrice dello studio, Emily Choy delDepartment of natural resource sciences della McGill University, spiega che «Abbiamo scoperto che le urie hanno la più bassa efficienza di raffreddamento mai riportata negli uccelli, il che significa che hanno una capacità estremamente scarsa di dissipare o perdere calore».
Dopo diverse segnalazioni di uccelli marini morti nei loro nidi durante i giorni di sole, i ricercatori si sono calati lungo le ripide scogliere ricoperte di guano dell’isola di Coats, a 120 metri a picco sul mare della Baia di Hudson, nel Territorio canadese del Nunavut, per studiare una colonia di 30.000 coppie riproduttive di urie di Brünnich per cercare di capire quale fosse la tolleranza al caldo di questi uccelli, scoprendo che «Gli animali mostravano segni di stress già a temperature di 21° C».
Fino ad ora pochi studi hanno esplorato gli effetti diretti del riscaldamento delle temperature sulla fauna artica e il nuovo studio il primo ad esaminare lo stress da calore nei grandi uccelli marini artici. MIsurando i tassi di respirazione e la perdita d’acqua mentre le urie erano soggette a temperature crescenti, i ricercatori hanno scoperto che gli uccelli più grandi erano più sensibili allo stress da calore rispetto agli uccelli più piccoli.
Le urie pesano fino a un chilogrammo e hanno un tasso metabolico molto alto rispetto alle loro dimensioni, «Il che significa – spiegano i ricercatori canadesi – che quando ansimano o battono le ali per rinfrescarsi, consumano una quantità molto elevata di energia, producendo ancora più calore».
Le urie nidificano in fitte colonie, spesso spalla a spalla lungo le strette sporgenze delle scogliere. Gli uccelli maschi e femmine si alternano a nidificare su turni di 12 ore. Secondo i ricercatori, «La limitata tolleranza al caldo delle urie di Brünnich potrebbe spiegare la loro mortalità nelle giornate calde».
Le urie hanno il dorso nerissimo e per questo al sole la loro temperatura corporea può raggiungere quasi i 46° C, anche in una giornata relativamente fresca. La Choy ha studiato come questi uccelli marini possono raffreddarsi quando le temperature aumentano e ha concluso che lo fanno «Molto, molto male. L’Artico, che si sta riscaldando due volte più velocemente del resto del mondo, è un sistema di allerta precoce per gli effetti del cambiamento climatico, Uccelli artici come le urie di Brünnich potrebbero essere i canarini nella miniera di carbone degli effetti del cambiamento climatico».
Per esempio la moria di massa di decine di migliaia di urie comuni (Uria aalge) trovate morte lungo le coste dell’Alaska e sulla costa occidentale del Nord America nel 2015 e nel 2016, è stata attribuita a un’ondata di caldo marino nell’Oceano Pacifico che ha avuto effetti negativi a cascata su tutta la rete alimentare. Choy ha però sottolineato che la sua ricerca differiva da quella di chi ha studiato quelle morie di massa: «Piuttosto che esaminare gli effetti indiretti del riscaldamento sull’approvvigionamento alimentare, io e i miei collaboratori volevano capire come il caldo influisca direttamente sulla fisiologia di questi uccelli. Il surriscaldamento è un effetto importante e poco studiato del cambiamento climatico sulla fauna selvatica artica. Le urie e potenzialmente altre specie artiche sono scarsamente adattate per far fronte alle temperature di riscaldamento, il che è importante poiché l’Artico continua a riscaldarsi».
Lo studio del team della Choy fa parte del progetto canadese ArcticSCOPE che sta studiando gli impatti diretti del caldo su due specie sulle urie di Brünnich e su un piccolo uccello canoro: lo zigolo delle nevi (Plectrophenax nivalis). Lo stress da caldo è un tema emergente della ricerca scientifica sull’Artico. Dato che le ondate di caldo estremo diventano più frequenti e il rapido riscaldamento minaccia le latitudini settentrionali, gli stessi adattamenti che hanno permesso agli animali di sopravvivere alle basse temperature sono quelli che possono renderli più vulnerabili al caldo. Gli scienziati vogliono capire quali specie, attraverso l’evoluzione o il cambiamento del comportamento, saranno in grado di adattarsi alle condizioni più calde dell’estremo nord, e quali no.
Un altro autore dello studio, Ryan O’Connor dell’Université du Québec – Rimouski, che svolge ricerche sugli zigoli delle nevi per ArcticSCOPE, ha detto in un intervista concessa ad Haley Dunleavy di Inside Climate News che «Questo è un grande argomento scientifico. Gli animali possono stare al passo con il cambiamento climatico? Per le urie e gli zigoli, la risposta a questa domanda è difficile. Voglio dire, glii zigoli non possono andare più a nord»,
La Dunleavy ricorda che «Gli uccelli non sono gli unici animali a rischio di stress e morte da caldo. Anche i grandi mammiferi e le specie a sangue freddo, come i pesci, possono essere a rischio, poiché le temperature salgono a livelli che superano la loro capacità di far fronte al caldo». Nell’Arctic Report Card del 2018, la National oceanic and atmospheric administration Usa ha identificato un calo di oltre il 50% delle mandrie di caribù, che per gestire lo stress da caldo, oltre ad ansimare, soffrono per la diminuzione delle chiazze di neve che restano dopo l’inverno. Gli scienziati sono preoccupati per quel che i cambiamenti nel comportamento e nella fisiologia significheranno per l’esistenza a lungo termine delle specie artiche e per cosa succederà quando questi cambiamenti interagiranno con altri fattori, come la perdita di habitat.
O’Connor ha scoperto che, come le urie, gli zigoli delle nevi, che in estate si riproducono nell’Alto Artico canadese, hanno, una bassa capacità di combattere il caldo: «Questo animale è diventato un esperto nel freddo, ma al costo potenziale di essere molto vulnerabile al caldo». Anche quando urie e zigoli delle nevi sopravvivono a un’ondata di caldo, sono vulnerabili agli effetti meno visibili ma comunque dannosi delle temperature più calde.
«Dato che urie e zigoli devono spendere sempre più tempo ed energie per raffreddarsi, per farlo potrebbero dover trascurare i loro piccoli – aggiunge O’Connor – Le urie possono spostarsi più volte per rinfrescarsi nell’acqua, lasciando i loro nidi esposti alla predazione da parte di gabbiani glauchi e volpi artiche, come uno studio ha trovato in un diverso uccello marino artico, lo skau. Da parte loro, i passeriformi al caldo potrebbero non passare tanto tempo a nutrire se stessi o i loro piccoli».
O’Connor è il principale autore dello studio “Limited heat tolerance in an Arctic passerine: Thermoregulatory implications for cold-specialized birds in a rapidly warming world”, pubblicato a gennaio su Ecology and Evolution, dal quale emerge che «Il compromesso tra affrontare il caldo e prendersi cura dei loro piccoli si traduca in tassi di sopravvivenza inferiori tra la prole degli uccelli». Lo scienziato canadese è convinto che «Sarà un problema lento e graduale. Direi che è molto probabile che in futuro vedremmo un calo della popolazione dei zigoli se l’Artico continua a riscaldarsi al ritmo con cui si sta riscaldando». E la Choy aggiunge: «Sebbene la popolazione di urie di Brünnich sull’isola di Coats sia attualmente stabile, le temperature più calde in futuro potrebbero spingere gli uccelli, un’importante fonte di cibo per le comunità Inuit in Groenlandia e al largo della costa di Terranova, oltre il limite».
Mentre altri animali come il merluzzo atlantico e l’aringa stanno estendendo i loro areali verso nord per sfuggire alle acque più calde, le urie sono estremamente fedeli ai loro siti di riproduzione, persino nidificando nella stessa area della loro scogliera di casa decennio dopo decennio. La Choy conferma che «Né io né altri scienziati abbiamo trovato prove di urie che si spostano più a nord per riprodursi ed è improbabile che lo facciano in futuro».
Anche per O’Connor è improbabile che zigoli e urie possano evolversi per adattarsi alle temperature più calde: « Non sono come un insetto che si riproduce a milioni. Hanno un ciclo riproduttivo lento e quindi un tasso di adattamento lento. E’ difficile eguagliare il tasso del cambiamento climatico».
Mentre gli zigoli delle nevi e le urie potrebbero essere alcuni degli uccelli adattati peggio per far fronte al caldo, non sono gli unici animali a destare preoccupazione. Heidi Golden, dell’università del Connecticut e consulente scientifica di Golden Ecology, studia il ruolo che le temperature più calde in Alaska e Canada potrebbero avere sul futuro di un pesce, il temolo artico (Thymallus arcticus) che è un’importante fonte di cibo per le popolazioni umane locali, compresi i nativi dell’Alaska e i popoli delle First Nations in Canada.
La Golden ha detto alla Dunleavy di Inside Climate News che «Il temolo artico potrebbe essere un altro canarino nella miniera di carbone per capire come se la caveranno gli animali in un mondo più caldo». La scienziata statunitense ha studiato le differenze nelle risposte al caldo di due distinte popolazioni di temoli, una adattata alle acque più calde, l’altra all’acqua più fredda e le ha collegate alle differenze nel loro genoma. Lei e i suoi collaboratori, Mark Urban e Jill Wegrzyn, dell’università del Connecticut, e Linda Deegan, del Woodwell Climate Research Center, hanno scoperto che «I temoli che vivono in corsi d’acqua leggermente più freddi possono avere meno probabilità di sopravvivere in un mondo più caldo».
La Golden fa notare che «Come nelle urie e negli zigoli delle nevi, questo dovuto a una risposta metabolica “accesa” e sovraccaricata. I dati preliminari suggeriscono che è correlato alle differenze nelle regioni del genoma che codificano per le proteine da shock termico e ad altri tratti legati al metabolismo e allo stress. Alcune popolazioni si sono adattate localmente a temperature più calde e quello che ci aspetteremmo è che quelle popolazioni saranno probabilmente quelle che sopravviveranno alle condizioni del cambiamento climatico. I cambiamenti nell’habitat causati dalle precipitazioni o dalle attività umane minacciano anche i temoli artici. Se le popolazioni adattate al freddo si estinguessero localmente in determinati corsi d’acqua, i pesci adattati al caldo potrebbero ripopolare quelle aree. Ma anche la capacità delle popolazioni di temoli di spostarsi attraverso i bacini idrografici sta diminuendo man mano che gli esseri umani espandono le infrastrutture nel loro habitat. Le First Nations in Canada stanno perdendo le loro popolazioni di temoli artici. Parte di questo è dovuto alle strade che hanno scarsi canali sotterranei. I pesci non possono entrare nell’habitat dove normalmente andrebbero a deporre le uova».
Ma la Choy conclude che «Nonostante le minacce agli animali artici, non credo che la loro sopravvivenza sia senza speranza. Insieme al cambiamento climatico ci sono gli impatti di molteplici fattori di stress che danneggiano le specie. Se riusciamo a capire quali sono alcuni dei fattori di stress, come la temperatura, forse ce ne sono altri, come il disturbo dell’habitat che possiamo controllare».