Grandi aree marine protette; salvaguardia degli oceani o geopolitica?

ONG e filantropi al servizio dell’”ocean grab”? «Vogliamo solo proteggere gli oceani e la vita»

[28 Marzo 2019]

Nell’ultimo decennio, grazie alla pressione della Convention on biological diversity (Cbd) i governi hanno istituito vaste Aree marine protette (Amp), abbastanza grandi da proteggere le specie marine dalla pesca eccessiva e da altre minacce. Ma gli oppositori hanno insinuato il dubbio che dietro la creazione di queste super-Amp ci sia in realtà non la difesa della biodiversità ma la geopolitica che dalla conservazione.

Fred Pearce, autore di numerosi libri, tra cui “The Land Grabbers, Earth Then and Now: Potent Visual Evidence of Our Changing World” e “The Climate Files: The Battle for the Truth About Global Warming”, si chiede su Yale Environment 360: «Come possiamo salvare gli oceani? Coprono i due terzi del pianeta, ma nessuno è al sicuro dalle flotte di pesca, dai cercatori di minerali o dalle insidiose influenze del riscaldamento globale e dell’acidificazione degli oceani».

Attualmente le Amp coprono quasi 9,7 milioni di miglia quadrate, più della superficie del Nord America. Cristiana Paşca Palmer, segretaria esecutiva della Cbd, dice che «Iil mondo sta raggiungendo l’obiettivo della Convenzione di avere un decimo degli oceani protetti entro il prossimo anno». Ma questa impetuosa crescita del mare protetto è dovuta soprattutto all’istituzione di gigantesche Amp più grandi dell’Italia in regioni remote dove la minaccia alla biodiversità è più bassa. E’ qui che i critici sottolineano che i governi stanno creando grandi Amp nel mezzo degli oceani e intorno ad arcipelaghi sperduti per distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica dal più difficile compito di proteggere gli ecosistemi costieri più vicini a casa. L’altra accusa è quella di operazioni di tipo geopolitico per controllare politicamente gli oceani attraverso le super-Amp. Questo spiegherebbe perché metà della superficie delle Amp oceaniche appartengono agli Stati Uniti d’America e a due ex potenze coloniali: la Gran Bretagna e la Francia.

Pearce sottolinea che «La maggior parte degli scienziati oceanici vede la fretta di creare vaste Amp come un vantaggio per la conservazione marina». Il britannico Bethan O’Leary, dell’università di York, ricorda che le Amp «Sono convenienti, collegano diversi ecosistemi marini e comprendono parti più ampie degli areali di specie migratrici come balene e tonni, proteggendo corridoi di connettività tra gli habitat in modi non consentiti da Amp più piccole».

Ma guardando una carta del mondo balza agli occhi che la geografia delle nuove super-Amp sembra riflettere sia la politica che l’ecologia: «Le Amp americane più grandi si trovano nelle Zone economiche esclusive (Zee) riconosciute a livello internazionale, fino a 200 miglia al largo dell’Alaska e attorno all’arcipelago hawaiano – fa notare Pearce – E la Francia e la Gran Bretagna sono impegnate ad affermare il loro controllo su vaste distese di oceani nelle Zee attorno a piccole isole alle quali sono rimaste aggrappate  alla fine dell’era coloniale europea».

In Gran Bretagna le zone a tutela integrale delle Amp proteggono solo meno di 2,9 miglia quadrate, ma il Regno Unito ha promesso di istituire entro il 2020 ben 1,5 milioni di miglia quadrate di ““enhanced marine protection”  intorno ai suoi territori di oltremare spersi negli oceani del mondo, un’area grande più di 16 volte la dimensione della madrepatria  Tra queste ci sono 3 delle 12 Amp più grandi istituite  fino ad oggi: l’arcipelago di Chagos nell’Oceano Indiano, l’isola di Pitcairn nel Pacifico e  la South Georgia nell’Oceano meridionale, a cui seguiranno l’isola di Ascensione, Sant’Elena e Tristan. da Cunha nel Sud Atlantico.

La Francia ha promesso di proteggere 850.000 miglia quadrate di oceano entro il 2020, comprese le acque intorno alla Nuova Caledonia e alla Polinesia francese, oltre a Reunion e Mayotte nell’Oceano Indiano.

Questi gigantesche Amp sono un fenomeno relativamente nuovo: la maggior parte è stata creata dal 2010 in poi, quando la Cbd adottò l’obiettivo del 10%. Fino ad allora, la maggior parte delle Amp erano piccole e circa la metà delle 15.000 Amp del mondo misurano ancora solo poche miglia quadrate.

Ma gli scienziati facevano notare che mentre le piccole Amp possono proteggere habitat particolari come barriere coralline e le praterie sottomarine, il loro impatto sugli ecosistemi marini più ampi e sulla migrazione degli stock ittici è piccolo e spesso questo è dovuto a una cattiva progettazione politica dei confini delle Amp  e alla insufficiente applicazione delle misure di salvaguardia. Nello studio “Global conservation outcomes depend on marine protected areas with five key features”, pubblicato su Nature nel 2014, un team internazionale guidato da Graham Edgar, dell’Università della Tasmania, ha rilevato che «La maggior parte degli MPA studiati … non erano ecologicamente distinguibile dai siti dove si pescava».

Alcuni scienziati dicono anche le Amp costiere speso danneggiano i piccoli pescatori locali (no è il caso dell’Italia) che perdono i loro mezzi di sostentamento quando le loro attività vengono dichiarate illegali, mentre la grande pesca commerciale continua a danneggiare altrove. Nathan Bennett, dell’University of British Columbia, due anni ha dichiarato in un’intervista a Yale Environment 360 che «Proteggere gli interessi delle comunità costiere potrebbe fare la differenza tra il successo e il fallimento della conservazione marina».

La maggior parte delle super-Amp si trova in aree remote quasi incontaminate con una grande varietà e abbondanza di vita marina da salvare. Per esempio, il  Papahānaumokuākea National Monument delle Hawaii, ad esempio, è più del doppio del Texas e ci vivono almeno 7.000 specie, un quarto delle quali endemiche. L’Amp delle Chagos istituita dal governo britannico si estende su 250.000 miglia quadrate nell’Oceano Indiano e Charles Sheppard, della Warwick University, fa notare che «E’ la più grande barriera corallina contigua integra del mondo» e comprende il Great Chagos Bank, il più grande atollo del mondo, 310 specie di coralli, 821 di pesci (tra cui 50 specie di squali) e 355 molluschi. L’Amp è anche – per ora – la più vasta area del mondo dove è vietata la pesca commerciale.

Ma alcuni dicono che i progressi nella protezione degli oceani in questo modo sono solo propagandai. Enric Sala, della National Geographic Society, ha definito «Falso e controproducente» l’obiettivo del 10% di oceani protetti. Altri fanno notare che, mentre il 7% degli oceani è stato finora destinato ad Amp, solo il 5% ha effettivamente attuato piani di protezione e solo il 2% ha vietato la pesca commerciale.

Tra le Amp ancora praticamente sulla carta Sala fa notare  che due tra le più grandi sono il Kermadec Ocean Sanctuary della Nuova Zelanda e il Parc naturel de la mer de Corail in Nuova Caledonia e che quando l’amministrazione Usa di George W. Bush ha istituito nel  2009 il Marianas Trench National Marine Monument vicino al territorio statunitense di Guam nel Pacifico occidentale, «ha ceduto alle pressioni delle Isole Marianne settentrionali per consentire ai pescatori di continuare le loro attività lì». O’Leary ribatte che le super-Amp designate «Hanno piani di gestione sia in atto che in preparazione, e lo sviluppo di droni, radar e tecnologia satellitare li renderà più facili da gestire rispetto alla sicurezza».

Ma l’altra accusa dei critici è più difficile da contrastare: la grande estensione delle nuove Amp potrebbe non essere indirizzata al compito urgente di proteggere le specie marine e gli ecosistemi dalle minacce attuali e future. Per esempio, gli Usa hanno protetto integralmente meno dell’1% dei mari acque costiere degli Stati Uniti continentali, ma ben il 43% delle acque intorno ai loro arcipelaghi remoti che spesso ospitano basi militari. Luiz Rocha di Hope for Reefs, della California Academy of Sciences, fa notare che «Le grandi Amp escludono invariabilmente le sole aree che potrebbero beneficiare di una protezione locale, quelle vicine alla costa. Proteggono le aree che nessuno usa e questo non cambia nulla. In realtà, è peggio di niente, sostiene, perché permettendo ai paesi di rispettare gli obiettivi delle Nazioni Unite, queste Amp remote  riducono la pressione per fornire una protezione reale laddove è necessaria. Anche la grandezza offre pochi benefici. I media e il pubblico amano l’annuncio di riserve “delle dimensioni del Belgio”, ma per specie come il tonno, le dimensioni del Belgio sono come le dimensioni del tuo cortile».

Ma O’Leary, Greenpeace  e altri sostenitori di Amp oceaniche di grandi dimensioni dicono che le grandi aree marine protette offrono maggiore protezione alle specie migratorie  rispetto alle piccole aree. O’Leary afferma: «Anche se non contrastano le attuali minacce urgenti, forniscono una protezione proattiva delle aree selvagge oceaniche contro lo sfruttamento futuro, allo stesso modo delle aree terrestri protette».

Per altri molte grandi Amp riguardano tanto la geopolitica che la conservazione e questo vale soprattutto per le Amp post-coloniali della Gran Bretagna e della Francia, isole minuscole, a volte non popolate, che un tempo ospitavano stazioni di rifornimento navale, che sono diventate nel XXI secolo la base di quello che viene chiamato “ocean grab”. La Gran Bretagna ha istituito Amp nelle South Georgia del Sud rivendicata dall’Arcentina e nell’arcipelago di Chagos rivendicato da Mauritius. Nel 1965 i britannici firmarono un accordo con gli Usa per realizzare a Chagos una enorme base militare e questo comportò l’espulsione forzata di circa 1.500 chagossiani  che ora vivono in esilio a Maurituis e nel Regno Unito e chiedono di tornare nella loro isola, dove vivevano soprattutto di pesca. Ma nel 2010 Londra ha creato una super-Amp “no-take” intorno all’arcipelago, escludendo solo Diego Garcia e Wikileaks, ha pubblicato imbarazzanti messaggi scambiati tra Usa e Gran Bretagna nei quali si dice che l’istituzione dell’Amp avrebbe impedito il ritorno degli abitanti originari. Ma a febbraio, dopo decenni di dispute legali, la Corte internazionale di giustizia dell’Aia ha dichiarato il controllo britannico su  Chagos  «Un atto illecito» e che isole e Amp dovranno essere restituite a Mauritius «il più rapidamente possibile».  Mauritius sarebbe disponibile a mantenere la super-Amp, ma ha già fatto sapere che un’Amp “no-take”  «sarebbe incompatibile» con i suoi piani per il ritorno dei chagossiani e lo sfruttamento delle risorse marine.

Qualunque sia il futuro per queste acque contestate, la cosa più importante resta quella di salvare gli oceani. Pearce evidenzia che «Gli scienziati sostengono che il mondo dovrebbe mirare a proteggere non il 10%, ma il 30% degli oceani. Ciò richiederebbe sforzi internazionali concertati per proteggere i due terzi degli oceani che si trovano al di fuori delle Zee nazionali. Solo lo 0,5% dell’”Altomare” è attualmente coperto da Amp. Sono in aree coperte da trattati regionali o internazionali». La più grande è l’Amp del Mare di Ross al largo della costa dell’Antartide, che copre un’area quasi grande quanto l’Alaska ed è uno degli ecosistemi marini più produttivi al mondo, sebbene le preoccupazioni siano state aumentate a causa  della pesca del krill consentita ai sensi del Trattato dell’Antartide. Altri includono l’Amp Charlie-Gibbs, un hotspot della biodiversità nell’Atlantico settentrionale, dove si incontrano le acque polari e tropicali, e che è gestito dalla Ospar Convention on the Northeast Atlantic marine environment.

Ma, se l’Onu approvasse finalmente il nuovo High Sea Treaty  previsto per il 2020, potrebbero essere istituite mote altre Amp di altomare. Pearce dice che «I colloqui sul trattato avrebbero dovuto riprendere a New York questa settimana. Le sue disposizioni includeranno quasi certamente la creazione di Amp nelle acque internazionali. I candidati includono il Mar dei Sargassi, una zona di acque ferme nel Nord Atlantico al largo del territorio britannico delle Bermuda che è pieno di alghe galleggianti tra cui si riproducono sia anguille americane che europee.

Ma chi finanzierà e gestirà le Amp in alto mare. Secondo Pearce, probabilmente le stesse che hanno contribuito a innescare il recente boom di istituzioni delle super-Amp: gruppi ambientalisti americani e di altri Paesi sostenuti da filantropi privati.

Conservation International ha aiutato a progettare l’Amp francese in Nuova Caledonia, la Bertarelli Foundation svizzera ha contribuito a istituire l’Amp della Polinesia Francese e quella cilena dell’Isola di Pasqua, The Nature Conservancy è finanziata da filantropi Usa come Leonardo DiCaprio , per acquistare il debito nazionale di Paesi come le Seychelles dove interviene in cambio della creazione di due grandi riserve marine. La Louis Bacon Foundation, fondata da un gestore di hedge fund statunitensi , paherà le operazioni di vigilanza intorno alla Amp britannica di Ascension Island.

Ma il più grande di tutti è il  Pew Charitable Trusts che ha  già «Aiutato a salvaguardare 5,2 milioni di Km2; un’area 10 volte più grande dell’America centrale”. Il Pew ha proposto e finanziatole Amp britanniche di Chagos e Pitcairn, oltre a spingere per iniziative statunitensi come il Marianas Trench Marine National Monument. In un’iniziativa congiunta con la Bertarelli Foundation, Pew ha recentemente nominato l’ ex segretario di stato americano John Kerry e l’ex primo ministro britannico David Cameron come “ambasciatori dell’oceano”.

Elizabeth Karan, senior manager di Pew, smentisce le accuse geopolitiche: «Anziché cercare di conquistare gli oceani, la mia organizzazione sta aiutando a identificare importanti aree per la biodiversità in alto mare e a collaborare con i governi per sviluppare proposte. La sorveglianza di queste Amp non nazionali sarebbe effettuata dai firmatari del trattato che regola le loro industrie.

Alcuni vedono questi filantropi come salvatori planetari; altri come agenti di una strisciante privatizzazione di uno degli ultimi grandi beni comuni globali. Pearce conclude: «Ad ogni modo, è un grande compito».