Il guadagno dei safari in Africa finisce nei paradisi fiscali offshore
Alle comunità locali solo le briciole del turismo di lusso. I Soldi finisconoai Caraibi, Mauritius ed Europa
[25 Luglio 2016]
Secondo l’Onu, nel 2015, hanno visitato l’Africa 56 milioni di turisti. In alcuni Paesi i safari e altri tipi di ecoturismo rappresentano fino al 5% del prodotto interno lordo. Governi e business ci hanno convinto che i safari realizzati in Africa sono un “sacrificio” che va comunque a beneficio delle economie locali, ma non sempre è così, almeno a legge il capitolo dei Panama Papers sui safari del rapporto “Continent of secrets – Uncovering Africa’s offshore empires”, pubblicato dall’International consortium of investigative journalists (Icij) in collaborazione con l’African network of centers for investigative reporting e rilanciato oggi in Italia da L’Espresso, secondo il quale almeno 30 società portano i soldi frutto dell’uccisione di animali selvatici o dell’ecoturismo africano nei paradisi fiscali grazie allo studio Mossack Fonseca.
Ogni anno, i turisti arrivano nello Zimbabwe per dormire vicino il rombo delle cascate Victoria o per vedere elefanti, ghepardi e pangolini, e cenare sotto le stelle. Molti di loro chiedono di essere accompagnati da John Stevens, forse la migliore guida dello Zimbabwe. Purtroppo l’impero finanziario di Stevens ha poco a che fare con lo Zimbabwe devastato dall’eterno regime di Robert Mugabe, dalla siccità e da un’inflazione ormai stratosferica: secondo quanto pubblicato dall’inchiesta i suoi dollari finiscono in gran parte nei paradisi fiscali resi noti dai Panama Papers e ogni giorno la poesia dei grandi paesaggi africani si mescola con la corruzione e l’evasione fiscale che dai poverissimi e impoveriti Paesi africani portano direttamente ai piccoli Paesi off-shore dei Caraibi.
La Guided Safaris Africa Inc di Stevens ha sede nelle ricchissime Isole Vergini britanniche, una minuscola colonia britannica divisa a metà con gli Usa, che ha un’estensione quasi 100 volte minore della più grande riserva per safari del poverissimo Zimbabwe. E’ così che la famiglia Stevens mette al sicuro la sua ricchezza: una cifra stimata di 250.000 dollari all’anno solo per i safari. Inoltre la stessa società aveva un conto bancario nell’Isola di Man, un centro finanziario offshore nel Mare d’Irlanda tra la Gran Bretagna e l’Irlanda.
La Guided Safaris Africa è solo una delle almeno 30 compagnie offshore dei safari africani create dallo studio legale panamense Mossack Fonseca. La maggior parte di queste imprese che “sfruttano” la fauna africana hanno la loro sede alle Isole Vergini britanniche, ma ogni giorno organizzano safari in tutta l’Africa meridionale e orientale, dalla Namibia allo Zimbabwe e al Botswana e fino in Tanzania e Kenya. Una di queste compagnie opera addirittura.
I turisti che vanno in Africa per vedere le bellezze del continente, oppure per sparare ai grandi felini, ai bufali e agli elefanti compresi nelle quote “abbattibili” fissate dai governi, pensano che i loro dollari, euro, sterline e yen restino alle deboli economie locali, ma invece finiscono esentasse alle Isole Vergini e in altri paradisi fiscali.
«In generale, non c’è alcuna ragione legittima per cui un operatore turistico avrebbe bisogno di incanalare le prenotazioni tramite una giurisdizione altamente segreta come quella delle Isole Vergini Britanniche – sottolinea Savior Mwambwa, che si occupa di riforma fiscale per ActionAid International – Non c’è neanche niente di speciale nell’industria turistica in Africa che giustifica le modalità off-shore per i pagamenti dall’estero… non riesco a vedere alcuna ragione legittima per incanalare le prenotazioni attraverso le Isole Vergini Britanniche e l’Isola di Man, a parte la riduzione al minimo delle tasse».
Stevens non ha risposto alle ripetute richieste di commento.
Alvin Mosioma, direttore esecutivo di Tax justice network – Africa, ha detto all’ Icij che «il turismo è un settore che è incline a pratiche fiscali discutibili perché è quasi impossibile fissare un valore di mercato per i servizi. Il che rende facile alle aziende coinvolte nel settore registrare i profitti e costi in modo tale da spostare i loro oneri fiscali verso Paesi a bassa tassazione o no-tax».
Nel 2013 i rappresentanti di Nature Trails International Limited, una compagnia con sede alle Isole Vergini Britanniche, scrisse a Mossack Fonseca per discutere i suoi conti. Nel piano economico condiviso con lo studio di Panama si legge che Nature Trails International «riceve pagamenti per le prenotazioni di gite turistiche e viaggi nell’Africa dell’Est e di volta in volta stipula contratti per pagare gli operatori locali in Kenya per i loro servizi». Nature Trails ha come azionista unico una società registrata a Mauritius, un altro paradiso fiscale offshore nell’Oceano Indiano, dove possiede anche un conto bancario. Il piano economico spiega che «Nature Trails cerca di trarre vantaggio dalla fase di rapida crescita del turismo registrata negli ultimi anni nell’Africa dell’Est». La società è stata sciolta nel 2014 per ragioni non precisate.
Ma quello del turismo (o meglio, della sua parte malata) uno dei tanti casi di rapina autorizzata dell’Africa da parte del sistema finanziario off-shore, un furto quotidiano che non potrebbe avvenire senza la complicità e la corruzione di governi che, come nel caso del Botswana, sfrattano i boscimani dalle loro terre, accusandoli di bracconaggio, per favorire le compagnie turistiche straniere che magari praticano la caccia a pagamento.
Sempre alle Isole Vergini Britanniche, è stata fondata la Far Horizon (1998) «per organizzare, progettare e vendere spedizioni safari e avventure» in tutta l’Africa. Anche questa compagnia aveva un conto bancario a Mauritius. Ancora un’altra società, la Safari Inc., è stata costituita alle Seychelles e aveva i suoi conti bancari in Lussemburgo. Una quarta società, che opera in Namibia, ha sede nelle Isole Vergini Britanniche e i conti bancari in Liechtenstein.
Un’altra società, chiamata Far Horizon (1998) Limited, è stata costituita per operare in tutta l’Africa e anche questa ha un conto bancario alle Mauritius. Un’ulteriore compagnia offshore, la Safari Inc., è stata registrata alle Seychelles e possiede conti bancari in Lussemburgo. Una quarta società, che opera in Namibia, ha il suo quartier generale alle Isole Vergini Britanniche, ha aperto un conto bancario in Liechtenstein, mentre i suoi consigli di amministrazione si tengono in Svizzera.
Gerard Pasanisi, una delle più anziane e conosciute guide safari della Tanzania, che si batte per la salvaguardia degli elefanti, non lascia però nel poverissimo paese africano le risorse che contribuirebbero a combattere il bracconaggio: è proprietario di almeno 4 compagnie create da Mossack Fonseca. La prima, Gerard Pasanisi Safari Corp., è stata creata addirittura negli anni ’80 e ha utilizzato un conto bancario svizzero per pagare Mossack Fonseca. Le società off-shore di Pasanisi sono rimaste attive da Mossack Fonseca fino al 2015 e tra queste ce n’è una, la Tanganica Expeditions Ltd, con sede a Dubai ma che si appoggia a banche svizzere e realizza “safari fotografici” in Tanzania.
Gli avvocati di Pasanisi e suo figlio Gerard, responsabile delle imprese, hanno detto all’Icij che attualmente le 4 aziende sono amministrati da uno studio negli Emirati Arabi Uniti e che «i loro status legali e fiscali sono trasparenti sia negli Emirati Arabi Uniti che in Tanzania». Gli avvocati dicono che quando le compagnie furono costituite le Isole Vergini Britanniche e Panama erano «le giurisdizioni più popolari e riconosciute» e che «le società adempiono regolarmente a tutti i loro rispettivi obblighi fiscali in entrambi i Paesi».
Nel confinante Kenya, la famiglia Carr-Hartley, una delle principali dinastie di safari, nel 2001 chiese di creare la Safariland Inc a Mossack Fonseca. Secondo un prospetto condiviso con Mossack Fonseca nel 2013, Safariland Inc. ha contribuito a fornire «comfort estremo «estrema comodità, insieme al gusto dei luoghi selvaggi fuori dalle zone battute dai turisti, dove si può sentire il ritmo e il pulsare dell’Africa selvaggia».
Anche Safariland Inc. ha sede nelle Isole Vergini Britanniche e ha utilizzato direttori a contratto senza alcun legame con la famiglia keniana. All’Icij sottolineano che «Condivide il nome della società con il quale i potenziali turisti sono incoraggiati a contattare online la famiglia Carr-Hartley. Secondo quanto riferito dai Carr-Hartley nei documenti inviati a Mossack Fomseca nel 2013, i guadagni previsti per Safariland erano di mezzo milione di dollari all’anno».
Robert e William Carr-Hartley, «fratelli kenyoti di quarta generazione, che hanno imparato a cavalcare i rinoceronti prima dei cavalli», avevano uno stretto rapporto con Mossack Fonseca mentre estendevano il loro impero dei safari di lusso n tutta l’Africa. Nel 2000: Robert Carr-Hartley creato la Raw Foundation a Panama per distribuire i soldi a se stesso e alla sua famiglia. Mossack Fonseca offre ai propri clienti comode fondazioni private che permettono di non pagare tasse sui loro beni, di garantire il segreto e di sottoporsi a pratiche burocratiche praticamente inesistenti. Questi trucchi fiscali a danno dell’Africa vengono pubblicizzati come «un veicolo ideale per l’industria offshore».
La Fondazione Raw possedeva anche tutte le azioni di un’altra società di Panama, la Munga Munga Inc. In una poesia condivisa nel 2010 su Facebook, i fratelli Carr-Hartley scrivevano di aver scalato le cascate alla ricerca del mitico Yeti africano, o – o “Munga munga’ed”. «Ma se si torna a Panama Panama e si scava negli archivi elettronici di Mossack Fonseca, si scopre che lo scopo della società era registrato semplicemente come “e-commerce», concludono all’Icij.
Siamo alla vendita elettronica ed esentasse della n bellezza e della fauna africana, del neocolonialismo portato all’ennesima potenza, dove la globalizzazione delle merci diventa rapina dell’economia locale e dei diritti delle comunità locali, per mantenerle nella povertà assoluta, a raccogliere le v briciole lasciate cadere sotto la tavola imbandita del turismo di lusso.
U. M.