I coronavirus dal campo alla tavola
Come le catene di approvvigionamento della fauna selvatica per il consumo umano aumentano il rischio di diffusione dei coronavirus tra le persone
[19 Giugno 2020]
Lo studio “Coronavirus testing indicates transmission risk increases along wildlife supply chains for human consumption in Viet Nam, 2013-2014”, pubblicato su bioRxiv da un team di scienziati della Wildlife Conservation Society (WCS), Dipartimento salute animale del ministero dell’agricoltura e dello sviluppo rurale del Vietnam, università nazionale dell’agricoltura del Vietnam, EcoHealth Alliance e One Health Institute dell’università della California – Davis, ha scoperto che gli animali utilizzati nella catena di approvvigionamento del commercio di animali selvatici destinati al consumo umano presentavano elevate presenze di coronavirus e che aumentano significativamente quando gli animali passano ai commercianti, ai grandi mercati, ai ristoranti.
La selvaggina che finisce nella catena di approvvigionamento commerciale è spesso sotto stress e gli animali, di diverse specie e provenienti da diverse aree, vengono tenuti in gabbie addossate e in alta densità, «Il che si traduce probabilmente in un aumento della dispersione dei coronavirus« dicono gli autori dello studio, avvertono del «potenziale rischio di ricaduta virale sulle persone attraverso il commercio di animali selvatici» e che «Lo stress e una cattiva alimentazione probabilmente contribuiscono a ridurre le funzioni immunitarie degli animali con il conseguente aumento della diffusione e dell’amplificazione dei coronavirus lungo la catena di approvvigionamento».
Le scoperte di coronavirus nei roditori dimostrano il potenziale per la diffusione di coronavirus in altre catene di approvvigionamento della fauna selvatica (ad esempio nelle civette/zibetti e nei pangolini) nelle quali un numero simile di animali viene catturato, trasportato e tenuto in cattività.
Alla WCS spiegano che «Lo scopo dello studio era quello di comprendere meglio la presenza e la diversità del coronavirus nella fauna selvatica in tre interfacce tra fauna selvatica ed esseri umani, tra le quali le catene del commercio di specie selvatiche vive, l’allevamento di specie selvatiche e l’interfacce pipistrello-uomo. Questo lavoro rappresenta un’importante dimostrazione di capacità e un contributo significativo da parte del Vietnam, dal campo, al laboratorio e agli approcci scientifici fondamentali per comprendere e affrontare le minacce delle malattie zoonotiche».
La reazione a catena della polimerasi (Polymerase Chain Reaction – PCR), per il rilevamento virale è uno strumento economico per rilevare virus e le coinfezioni sia noti che nuovi in una varietà di taxa, tipi di campioni e interfacce e i ricercatori hanno raccolto campioni in 70 siti in Vietnam e hanno rilevato 6 distinte unità tassonomiche di coronavirus noti. Il team di ricerca evidenzia che «Non ci sono prove attuali che suggeriscano che questi particolari virus rappresentino una minaccia per la salute umana, ma le tecniche di laboratorio utilizzate nello studio possono essere utilizzate per rilevare in futuro importanti virus emergenti o sconosciuti nell’uomo, nella fauna selvatica e nel bestiame».
Il team ha trovato alte proporzioni di campioni positivi tra i ratti di campagna destinati al consumo alimentare umano e dice che «La percentuale di positivi è aumentata in modo significativo lungo la catena di approvvigionamento dei commercianti (21%), ai grandi mercati (32%) ai ristoranti (56%). I coronavirus sono stati rilevati in due terzi delle fattorie di animali selvatici controllate e il 6% dei roditori allevati nelle fattorie era positivo». Un coronavirus di pipistrello e uno di uccelli sono stati trovati nei campioni fecali di roditori raccolti in allevamenti faunistici il che fa pensare a una condivisione ambientale o una condivisione virale tra le specie. I tassi di rilevazione del coronavirus nelle popolazioni di roditori campionati nel loro habitat “naturale” sono più vicini allo 0-2%.
Una delle autrici dello studio, Amanda Fine, direttrice associata per l’Asia del WCS Health Program, evidenzia che «Le catene di approvvigionamento della fauna selvatica e le condizioni che gli animali sperimentano nella catena di approvvigionamento sembrano amplificare notevolmente la prevalenza dei coronavirus. Inoltre, abbiamo documentato l’esposizione dei roditori negli allevamenti di animali selvatici al coronavirus di pipistrelli e uccelli. Questi alti tassi di prevalenza e la diversità dei coronavirus, aggiunti alle miscelazione di specie che vediamo nel commercio della fauna selvatica, creano maggiori opportunità per gli eventi di ricombinazione del coronavirus e per lo spillover».
Gli autori dello studio avvertono che «Il commercio della fauna selvatica facilita il contatto ravvicinato tra le persone e le diverse specie di taxa della fauna selvatica che mutano i coronavirus. Questo offre opportunità per la trasmissione all’interno e tra le specie e la potenziale ricombinazione di coronavirus. La catena di approvvigionamento della fauna selvatica dal campo al ristorante offre molteplici opportunità per eventi di questo tipo».
Per ridurre al minimo i rischi per la salute pubblica derivanti dalla comparsa di malattie virali trasmesse dalla fauna selvatica e per salvaguardare i sistemi di produzione basati sul bestiame, gli autori dello studio raccomandano «misure precauzionali che limitino l’uccisione, l’allevamento commerciale, il trasporto, l’acquisto, la vendita, lo stoccaggio, la lavorazione e il consumo di animali selvatici» e aggiungono che «L’emergere di SARS-CoV, MERS-CoV e ora SARS-CoV-2 sottolinea l’importanza della famiglia virale dei coronavirus nell’influenzare la salute pubblica globale. Il mondo deve aumentare la vigilanza attraverso la costruzione e il miglioramento della capacità di rilevazione; condurre attivamente la sorveglianza per rilevare e caratterizzare i coronavirus nell’uomo, nella fauna selvatica e nel bestiame; e informare i comportamenti umani al fine di ridurre la trasmissione virale zoonotica all’uomo».
Lo studio è stato reso possibile grazie al progetto Emerging Pandemic Threats PREDICT di USAID con la collaborazione del governo del Vietnam e Hoang Bich Thuy, direttore programma Vietnam della WCS e coautore dello studio conclude: «Sin dallo scoppio dell’epidemia di Covid-19, il governo del Vietnam ha intrapreso azioni forti per far rispettare le leggi sul commercio della fauna selvatica e sta prendendo in considerazione il divieto di commercio e consumo di fauna selvatica come indicato dal Primo Ministro nella sua lettera ufficiale n. 1744 / VPCP-KGVX del 6 marzo 2020 dell’Ufficio del governo. Questa ricerca fornisce importanti informazioni di base e suggerisce le aree per studi mirati per fornire ulteriori prove per lo sviluppo di nuove politiche e/o revisione del quadro giuridico in Vietnam per prevenire future pandemie, mitigando i rischi di trasmissione di agenti patogeni dagli animali agli esseri umani nei nodi chiave lungo la catena di approvvigionamento della fauna selvatica».