
Il 36% di tutte le specie di rettili viene venduto online, anche animali minacciati di estinzione

Ci sono più rettili sono tenuti come animali domestici di quanto si creda: già nel 2008, la British Federation for Herpetologists diceva che erano più numerosi dei cani e che nel solo Regno Unito ce n’erano 8 milioni, Ma, a differenza dei cani, molti di questi animali non vengono allevati in cattività e le normative internazionali sul commercio si applicano solo al 9% delle oltre 11.000 specie di rettili conosciute.
Lo studio "Thousands of reptile species threatened by under-regulated global trade", pubblicato su Nature Communications da Benjamin Marshall e Colin Strine della Suranaree University of Technology e da Alice Hughes del Xishuangbanna Tropical Botanical Garden (XTBG) dell’Accademia cinese delle scienze, rivela una situazione ancora più preoccupante, con un enorme numero di rettili che viene sfruttato nel mercato legale – scarsamente regolamentato – e illegale della fauna selvatica, «il che implica una mancanza di affidabilità a priori delle stime dell'impatto sulle popolazioni selvatiche».
Grazie a un un webscrape online di rivenditori di rettili, lo studio hanno ampliato i dati dei database commerciali esistenti e ha condotto una valutazione globale del commercio di rettili, producendo così un dataset sul commercio privato di rettili sul web che ne ha evidenziato la portata insostenibile. Dati che comunque non includono le vendite di rettili avvenute sui social media o sul "dark web".
I ricercatori hanno svelato le dinamiche del commercio globale mappando l'origine delle specie commercializzate, analizzando lo stato di pericolo di estinzione delle specie e riportando l'entità della cattura di rettili in natura.
La Hughes spiega he «Sulla base di due database commerciali internazionali e di informazioni raccolte da 24.000 pagine web in 5 lingue, abbiamo scoperto che viene commerciato oltre il 36% delle specie di rettili, per un totale di quasi 4.000 specie». Inoltre, lo studio ha scoperto che circa tre quarti delle specie di rettili commercializzate non sono coperte dalle normative sul commercio internazionale e molte di queste sono specie in via di estinzione o con un areale limitato, specialmente negli hotspot asiatici.
Ne è venuto fuori qualcosa di tanto clamoroso quanto preoccupante: il 90% delle specie di rettili commerciate e la metà degli esemplari venduti vengono catturati in natura.
I ricercatori dicono che per assicurarsi che il commercio sia sostenibile dovrebbero essere i rivenditori a dover dimostrare che non si tratta di specie protette o addirittura in via di estinzione e hanno fatto notare che, dato il basso valore finanziario che di solito hanno i rettili, è improbabile che un aumento della categoria di rischio in un indice della Convention on International Trade in Endangered Species (CITES) o nel LEMIS, che regola il commercio della fauna selvatica negli Usa, possa mettere fine a un commercio così diffuso.
La Hughes evidenzia che «Se non riusciamo a mitigare gli impatti del commercio non regolamentato ma legale, le specie endemiche con un piccolo areale potrebbero essere le prossime vittime della crisi della biodiversità in corso». SI tratta spesso di animali molto rari che vivono solo in alcune isole o aree collinari e montane e che non sono nemmeno comprese nelle regolamentazioni CITES. La Hughes sottolinea che «Non ci aspettavamo che fosse così facile trovare così tante specie in via di estinzione che sono apertamente disponibili e legalmente disponibili».
Tra le migliaia di specie di rettili descritte dalla scienza, lo status di conservazione di oltre il 30% non è stato ancora valutato dalla Red List dell'International union for conservation of nature (Iucn), «I rettili – dice la Hughes - hanno ricevuto meno attenzione e finanziamenti rispetto ad altri gruppi di animali».
Janine Robinson dell’università del Kent, che non ha partecipato allo studio, ha detto a Smithsonian Magazine che «Ci sono enormi lacune nei dati. Un enorme problema in termini di comprensione della sostenibilità del commercio è che semplicemente non abbiamo le informazioni".
Al fine di mostrare come le lacune nei dati sulle specie di rettili possano portare a lacune nelle protezioni, gli autori dello studio hanno cercato di aggiungere i dati dalle vendite di rettili online ai dati già raccolti sulle specie monitorate dalla CITES e da altri quadri normativi, come LEMIS, che regola il commercio di fauna selvatica negli Stati Uniti. Combinando queste informazioni, speravano di quantificare la portata del commercio di rettili non catturata dai set di dati esistenti.
Il team ha identificato il sud-est asiatico e l'Amazzonia come gli hotspot dell’approvvigionamento di specie di rettili e la Hughes evidenzia che «Abbiamo trovato sbalorditivo che anche nelle aree più biodiverse del pianeta, come il bacino amazzonico, circa il 50% delle specie presenti siano ancora in commercio».
Analizzando i dati CITES e LEMIS risulta che gli Stati Uniti e l'Unione Europea sono i maggiori acquirenti di rettili. Più dell'80% delle specie in pericolo di estinzione elencate dalla CITES sono state commercializzate per rifornire l’industria della moda, circa il 10% veniva scambiato dal vivo, principalmente come animali domestici. Il restante 10% scarso viene catturato e venduto per scopi alimentari, decorativi e medicinali.
La Hughes dice che «I dati CITES e LEMIS suggeriscono che negli ultimi 20 anni sono stati venduti milioni di animali, con prezzi che vanno da 10 o 20 dollari per una specie comune, a migliaia di dollari per un esemplare raro».
Alcune delle specie più a rischio sono i rettili appena scoperti e descritti scientificamente descritti, che probabilmente hanno piccole popolazioni ma sono molto ricercati come novità dai collezionisti: «Se scopri una specie nel 2020, probabilmente sarà endemica – spiega ancora la Hughes - Probabilmente avrà un areale ridotto. Quindi sappiamo che queste specie potrebbero già essere in pericolo critico. Eppure, è legale venderle».
Lo studio ha rilevato che il tempo medio che passa dalla scoperta di una specie di rettili alla sua vendita online è di solo 8 anni, con alcune specie che appaiono in vendita meno di un anno dopo essere rese note alla scienza. I ricercatori citano lo studio "Trade in live reptiles, its impact on wild populations, and the role of the European market", pubblicato su Biological Conservation nel dicembre 2016, secondo il quale, più di 20 specie appena descritte rappresentavano la loro intera popolazione selvatica e vivevano in un’areale molto ristretto.
Il problema è così grave che spesso chi scopre una nuova specie non dice dove è stata trovata esattamente per impedire ai commercianti di cercarla, dato che le specie appena descritte potrebbero essere vulnerabili al sovrasfruttamento e che il prelievo di pochi esemplari potrebbe compromettere l’esistenza di una sola popolazione superstite.
Ma qualcuno fa notare che vietare il commercio di molte specie e potrebbe avere conseguenze indesiderate. Ad esempio, il divieto di una specie potrebbe privare il paese di origine delle entrate che stava utilizzando per finanziare la protezione di quella e di altre specie e togliere una fonte di reddito alle persone che catturano gli animali. Il divieto del commercio di alcune specie potrebbe anche incrementare il commercio clandestino, rendendone più difficile il monitoraggio. La Robinson fa notare che «Non è sempre le cose sono così semplici e mettere al bando il commercio non significa che poi non ci sarà più il problema. E’ necessario comprendere gli impatti delle normative sull'intera catena di approvvigionamento, dai fornitori che raccolgono dalla foresta per avere un reddito extra agli acquirenti del settore della moda. Sono necessarie maggiori informazioni su tutte le specie e su ciò che le minaccia, che si tratti di commercio internazionale, perdita di habitat o malattie. Perché non si dispone di tali informazioni, Non si può presumere che tutte quelle specie siano effettivamente minacciate dal commercio. Quindi alcune di loro potrebbero esserlo. Alcune di loro potrebbero non esserlo».
Ma la Hughes ribatte che «Un approccio precauzionale è giustificato dall'urgenza della crisi globale della biodiversità e dalla mancanza di conoscenza sull'impatto del commercio sui rettili. Non siamo contrari ai rettili come animali domestici. Siamo solo contrari a prelevarli in natura dove non esiste una valutazione di impatto».
