Il microbioma intestinale degli ultimi cacciatori-raccoglitori è tre volte più biodiverso del nostro

Nel microbioma intestinale degli Hadza della Tanzania scoperte specie precedentemente sconosciute alla scienza

[26 Giugno 2023]

Il nostro microbioma intestinale modula la salute immunitaria e metabolica, ma finora i dati raccolti riguardavanono le popolazioni umane industrializzate, limitando la nostra comprensione dei microbiomi dei popoli non industrializzati e quindi le origini stesse del microbioma intestinale umano. Lo studio  “Ultra-deep sequencing of Hadza hunter-gatherers recovers vanishing gut microbes”, pubblicato su Cell da un team di ricercatori della Stanford University, del Chan Zuckerberg Biohub e della New York University Abu Dhabi, colma questa lacuna grazie a un sequenziamento metagenomico ultra profondo su 351 campioni fecali dei cacciatori-raccoglitori Hadza della Tanzania e e li ha confrontati con quelli di popolazioni che vivono in Nepal e California.

I ricercatori spiegano che «Abbiamo recuperato 91.662 genomi di batteri, archaea, batteriofagi ed eucarioti, il 44% dei quali è assente dai dataset unificati esistenti come l’Unified Human Gastrointestinal Genome. Abbiamo identificato 124 specie residenti nell’intestino che scompaiono nelle popolazioni industrializzate e evidenziato aspetti distinti del microbioma intestinale Hadza correlato in situ, tassi di replicazione, firme di selezione e condivisione dei cepp». È  così che lo studio ha scoperto che «I microbi intestinali industrializzati sono arricchiti di geni associati allo stress ossidativo, probabilmente a causa dell’adattamento del microbioma ai processi infiammatori». Il team di ricercatori sospetta che l’infiammazione cronica nell’intestino possa innescare questo danno, creando una pressione selettiva per quei geni. Uno degli autori dello studio, Matthew Olm, un microbiologo di Stanford, sottolinea che «Se hai uno stato di infiammazione cronica, avrebbe senso che il tuo microbioma intestinale debba adattarsi.  Questi geni non sono stati rilevati nei microbiomi Hadza, mentre «Tra le sequenze del genoma recuperate dai campioni Hadza, più di 1.000 provenivano da specie batteriche o arcaiche che sono nuove per la scienza».

I ricercatori sottolineano che «Questa visione impareggiabile del microbioma intestinale degli Hadza fornisce una risorsa preziosa, amplia la nostra comprensione dei microbi in grado di colonizzare l’intestino umano e chiarisce l’ampia perturbazione indotta dallo stile di vita industrializzato».

Infatti, lo studio ha scoperto non solo che gli Hadza tendono ad avere più microrganismi intestinali rispetto agli altri gruppi studiati, ma che uno stile di vita occidentale sembra diminuire la diversità delle popolazioni intestinali.

Come spiega su Nature Gemma Conroy (che non ha partecipato allo studio), «Gli Hadza avevano una media di 730 specie di microbi intestinali per persona. Il microbioma intestinale californiano medio conteneva solo 277 specie e i microbiomi nepalesi si trovavano nel mezzo. Le persone con uno stile di vita basato sull’agricoltura avevano una media di 436 specie di microbi, mentre coloro che vivono di foraggiamento avevano una media di 317».

Il team ha anche trovato negli Hadza specie di microbiomi che non erano presenti nei campioni californiani, come il Treponema succinifaciens, un batterio a forma di cavatappi. Solo alcuni dei microbiomi nepalesi contenevano il Treponema succinifaciens, il che suggerisce che il batterio si estingua mano a  mano che le società si industrializzano. Uno degli autori dello studio, Justin Sonnenburg, microbiologo della Stanford University. ricorda che «Precedenti ricerche avevano già scoperto che i microbiomi intestinali umani variano a seconda delle regioni e degli stili di vita, ma mancavano dati provenienti da popolazioni non industrializzate. Parte del lavoro di sequenziamento è stato quello di aiutare a colmare questa lacuna e fornire più dati per le regioni del mondo che sono sottorappresentate».

Anche se è noto che i microbiomi delle persone che hanno stili di vita non industriali sono più bio-iversi di quelli di quelli di chi vive nelle società industrializzate, un altro autore dello studio, Matthew Carter, anche lui microbiologo alla Stanford, fa notare che «i risultati dimostrano che la differenza è più pronunciata di quanto si pensasse in precedenza» e Andrew Moeller, biologo evoluzionista alla Cornell University – Ithaca, aggiunge che «I dati espandono notevolmente la nostra immagine del microbioma umano. Sono sicuro che ci sono storie non raccontate che rimangono nascoste nelle sequenze».

I ricercatori hanno sequenziato i microbiomi di 167 Hadza, inclusi neonati e mamme, raccolti tra il 2013 e il 2014 e li hanno confrontati con le sequenze di campioni di feci raccolti nel 2016 in Nepala da 4 gruppi di persone e con campioni di feci di californiani  che hanno partecipato auno studio del 2021 che ha indagato su come la dieta influisca sul microbioma.

Samuel Forster, un microbiologo australiano dell’Hudson Institute of Medical Research di Melbourne,  che non ha partecipato allo studio. ha detto a Nature che «Lo studio delle popolazioni non occidentali aiuterà a costruire un quadro più completo del microbioma intestinale umano e di come differisca tra stili di vita e regioni. Questo potrebbe aiutare i ricercatori a tracciare quali specie stanno scomparendo nelle popolazioni industrializzate e in che modo ciò influisce sulla salute umana. Abbiamo l’opportunità di comprendere l’intera serie di microbi che trasportiamo. Stiamo in realtà evitando un evento di estinzione comprendendoli ora, prima che vadano persi».