Il Parco dei Nebrodi invaso dai fuoristrada e dalle moto da cross
Legambiente: un’Area protetta non può diventare uno snodo stradale
[29 Marzo 2021]
Fin dall’istituzione del Parco dei Nebrodi, uno dei fattori di maggiore impatto sull’area protetta è stata l’introduzione di veicoli a motore lungo i sentieri esistenti, storicamente utilizzati da coloro che vi svolgevano attività tradizionali.
L’introduzione di mezzi motorizzati è particolarmente incompatibile con la tutela della zona di riserva integrale (zona A) e di conseguenza espressamente vietata dall’articolo 3 della Disciplina delle attività e dei divieti operanti in ciascuna zona del Parco.
Da qualche anno a questa parte, e specialmente negli ultimi mesi, si sono registrati numerosi episodi di invasione delle are più pregiate del Parco da parte di veicoli attrezzati per i percorsi fuoristrada e da escursionisti motorizzati: raduni di mezzi “fuori strada” sulle sponde dei laghi montani perfino con ingresso in acqua; motocross che percorrono a forte velocità i principali sentieri disturbando e allontanando gli escursionisti; veri e propri assembramenti di mezzi nelle zone più naturali e paesaggisticamente suggestive.
La stessa azione di vigilanza e di repressione operata dall’Ente Parco, insufficiente rispetto alla gravità del fenomeno, non riesce a fronteggiare questi episodi che, per la loro ricorrenza e quantità, finiscono con l’essere prevalenti e snaturare la stessa idea di area protetta.
I recenti lavori di manutenzione straordinaria della dorsale, idealmente finalizzati a favorire una fruizione dell’area protetta orientata all’immersione nell’ambiente naturale nel rispetto dei suoi straordinari valori, si stanno risolvendo in un incoraggiamento alla percorrenza da parte di veicoli, in massima parte estranei allo svolgimento di attività consentite in zona A, di cui all’articolo 3 della Disciplina. (La dorsale non può, infatti, rientrare tra le strade statali, provinciali e comunali di cui all’articolo 2 della Disciplina, la cui formulazione è ovviamente riferita alle rotabili che collegano, attraversando la zona A, i principali comuni della zona).
E’ assolutamente pacifico che il libero transito di autoveicoli non autorizzato, né finalizzato al mantenimento delle attività tradizionali consentite, costituisce una grave violazione della norma e soprattutto confligge con le finalità dell’area protetta.
Per di più, l’esistenza di una dorsale aperta al traffico veicolare viene percepita da molti amministratori locali alla stregua di un asse viario dal quale possono dipartirsi “a pettine” altre strade di collegamento con i centri abitati; ed infatti non passa giorno senza leggere di nuovi progetti di collegamenti tra la dorsale e i centri abitati attraverso l’ammodernamento di vecchi sentieri pedonali.
L’attivismo progettuale dell’Ente e dei Comuni è ufficialmente rappresentato come semplice impegno alla “manutenzione” dell’esistente allo scopo di favorire quella fruizione dei beni naturalistici del Parco oggetto, la cui tutela è alla base dell’istituzione dell’area protetta. La realtà e la prospettiva sono però molto diverse: si tratta di opere che consentiranno la percorrenza a mezzi motorizzati ogni tipo.
Paradossale è oltretutto il fatto che alcuni di questi progetti (come accaduto per la dorsale) dovrebbero essere finanziati dai fondi destinati alla conservazione della natura ed alla promozione della fruizione del Parco, che deve necessariamente essere controllata e in linea con le finali istitutive.
In questa visione distorta delle ragioni dell’area protetta si è ultimamente inserita una proposta del Comune di Bronte di dare vita ad un progetto esecutivo per il “recupero” alla percorribilità di una strada lunga 15 km e larga 6/7 metri che dovrebbe attraversare la zona A del Parco per collegare Bronte con Longi, con una spesa di circa 7 milioni di euro.
Quanto sta accadendo denuncia in modo inequivocabile un allontanamento dalle finalità istitutive dell’area protetta e dal progetto di sviluppo sostenibile dell’area basato sulla conservazione dei valori naturali, paesaggistici e culturali del territorio.
Se un Parco deve servire a reiterare il vecchio modello di sviluppo e favorire la realizzazione delle reti stradali tanto vale sciogliere l’Ente ed affidarsi al Genio Civile od agli uffici tecnici dei comuni.
C’è invece un grande bisogno di recuperare una visione strategica del ruolo del Parco nel quadro delle politiche europee – e conseguentemente nazionali – del Green Deal le quali orienteranno gli interventi del Recovery Plane.
L’Ente Parco deve riappropriarsi del proprio ruolo e rilanciare una gestione del territorio basata sulla pianificazione a livello di area vasta, deve riprendere le fila del proprio Piano Territoriale e del Piano della Fruizione per individuare le modalità di ingresso e mobilità nell’area protetta: chiarire quali sono le strade statali, provinciali e comunali dove può svolgersi il traffico motorizzato (ovviamente il legislatore si riferiva a quelle di collegamento tra i comuni, asfaltate e storicamente riconosciute), individuare quali sono i sentieri naturalistici che devono costituire l’ossatura della fruizione e dismettere gli altri; ripensare la localizzazione e la funzione dei rifugi e delle strutture di assistenza agli escursionisti; sottoporre ai pareri degli organi tecnico scientifici consultivi gli interventi sulla viabilità che modificano planimetria, altimetria e tipologia costruttiva dei sentieri e che insistono in zone SIC e ZPS della Rete Natura.
Il Parco dei Nebrodi è nato con la promessa di promuovere un nuovo modello economico, duraturo e rispettoso dell’identità del territoriale. Se ripropone il vecchio modello basato su opere pubbliche mal pensate ed utili all’attivazione di appalti, ha fallito il suo scopo.
di Salvatore Gurgone
Presidente Legambiente Nebrodi