Il progresso può uccidere. Il rapporto di Survival international in difesa dei popoli indigeni
Violenza genocida, a schiavitù e razzismo per poterli derubare di terre risorse e forza lavoro
[23 Febbraio 2016]
Survival international ha presentato oggi il nuovo rapporto “Il progresso può uccidere” nel quale evidenzia che «Appropriarsi della terra dei popoli indigeni e imporre loro il nostro modello di sviluppo è causa di una miseria inenarrabile».
L’ONG che difende i diritti dei popoli indigeni presenta una di casi dice che « I fatti sono impressionanti e indiscutibili, anche se spesso i libri di storia li tacciono o sminuiscono. A distruggere i popoli indigeni non è mai stata la mancanza di “progresso”, bensì il furto della loro terra e delle loro risorse, immancabilmente giustificato da vecchie ideologie razziste su una loro presunta arretratezza. Quando questo accade, infatti, la loro salute e il benessere precipitano drasticamente».
Survival avverte che i dati raccolti nella nuova edizione de “Il progresso può uccidere” sono solo «la punta di un immenso iceberg fatto di malattie, frustrazioni, dipendenza e suicidi. Particolarmente impressionanti sono il tasso di HIV in Papua Occidentale – dove nel 2000 non si registrava nessun caso mentre nel 2015 le persone colpite erano più di 10.000 – e di mortalità infantile tra gli Aborigeni Australiani, che è doppio rispetto al resto della società australiana. Gravissima anche la situazione tra i Boscimani del Botswana e gli Warao del Venezuela».
Nel rapporto si legge: «Le società industrializzate sottopongono i popoli indigeni a violenza genocida, a schiavitù e razzismo per poterli derubare di terre, risorse e forza lavoro. Questi crimini vengono spesso compiuti nel nome del progresso e dello sviluppo. Tuttavia, la nozione di “progresso” – affermatasi con il colonialismo – viene raramente messa in discussione: si pensa semplicemente che vada bene per tutti. Per i poveri dei paesi più poveri del mondo, i principali pilastri del progresso sono l’educazione, che si spera porti più denaro, e la salute, che dovrebbe allungare l’aspettativa di vita. Survival International non vuole mettere in dubbio questi fatti, anche se soltanto qualcuno vede realizzati i propri sogni, mentre altri diventano in realtà più poveri. Ma la situazione cambia radicalmente quando si parla di tribù, ovvero di popoli che dipendono dalla terra per il loro sostentamento, che sono ampiamente autosufficienti, e non sono integrati nella società nazionale. Imporre lo “sviluppo” ai popoli indigeni non funziona. Neppure l’assistenza medica – anche nelle nazioni più ricche – è sufficiente a contrastare gli effetti negativi delle malattie introdotte dall’esterno e della devastazione causata dal furto di terra. Come ci continuano a ripetere molti indigeni, i nuovi centri di assistenza medica non sono in grado di curarli da malattie prima sconosciute. Questo rapporto non vuole negare né la genialità né le conquiste della scienza moderna, e non sostiene nemmeno le visioni romantiche di una mitica età dell’oro. Tantomeno rifiuta il cambiamento: le società umane sono tutte in perenne trasformazione. Il nostro studio dimostra, però, che l’imposizione del “progresso” ai popoli indigeni non porta mai a una vita più lunga e più felice, bensì a un’esistenza più breve e miserabile, che ha come unica via d’uscita la morte. Il “progresso” così inteso ha già distrutto la vita di molti popoli e ne minaccia tanti altri».
Roy Sesana portavoce dei Boscimani sfrattati dalla loro terra con la forza dal governo dal Botswana nel 2002, si chiede: «Che razza di sviluppo è quello che fa vivere la gente meno di prima? Prendiamo l’HIV/AIDS. I nostri bambini non vogliono andare a scuola perché là vengono picchiati. Alcuni si danno alla prostituzione. Non ci è permesso cacciare. Si picchiano perché si annoiano e bevono. Alcuni hanno cominciato a suicidarsi. Non si è mai vista una cosa del genere prima! È questo lo “sviluppo”?»
Survival International evidenzia che Al contrario, i popoli indigeni che vivono nelle loro terre sono invariabilmente più sani, e godono di una qualità di vita di gran lunga migliore di quella di milioni di cittadini impoveriti e marginalizzati da una crescente disuguaglianza mondiale. Garantire che possano continuare a mantenere il controllo delle loro terre e dei loro stili di vita è fondamentale non solo per il loro futuro, ma anche per quello dell’intera umanità».
La direttrice di Survival Italia, Francesca Casella, aggiunge: «I popoli indigeni non sono né arretrati né primitivi. Non lo sono mai stati. Sono solo diversi, perché diverse sono le risposte che hanno dato alle sfide della vita. Esattamente come tutti noi, anche loro hanno continuato a evolversi e adattarsi a un mondo in perenne cambiamento. Per questi popoli, il vero “progresso” comincia con il riconoscimento dei diritti territoriali e continua con la possibilità di decidere autonomamente del proprio sviluppo. Ma senza terra e libertà, cesseranno addirittura di esistere. Non possiamo permetterlo. Invitiamo tutti a leggere il rapporto e a diffondere la voce dei popoli indigeni: possiamo – e dobbiamo – impedire che succeda ancora».