Incendi: la natura protetta andata in fumo
I dati di Legambiente con la mappatura delle aree colpite dalle fiamme
[14 Agosto 2017]
L’emergenza incendi non conosce tregua e confini non risparmiano neanche le aree di grande valore naturalistico, come i Parchi e i siti di Rete Natura 2000. «Non solo il Vesuvio, ma anche tante altre aree protette, nazionali e regionali, sono sotto la morsa degli incendi: dal Cilento e Vallo di Diano, al Gargano, dall’Alta Murgia alla Majella, dalla Sila al Pollino al Gran Sasso passando per la Riserva dello Zingaro in Sicilia – dicono a Legambiente – sono troppe le aree di pregio del centro-sud finite in balia di ecocriminali e piromani».
Secondo il Cigno Verdee, che ha analizzato e confrontato i dati cartografici delle superfici percorse dal fuoco raccolti dalla Commissione europea con quanta parte della “natura protetta” sia bruciata fino ad oggi in Italia (si veda la tabella allegata), «Nel 2017 sono ben 24.677 gli ettari delle Zone di Protezione Speciale – ZPS (istituite in base alla direttiva Uccelli per tutelare l’avifauna e i loro habitat) bruciati dalle fiamme, 22.399 quelli dei Siti di Importanza Comunitaria – SIC (istituiti in base alla direttiva Habitat per preservare habitat e specie animali e vegetali minacciate presenti nel nostro Paese) andati in fumo e ben 21.204 gli ettari dei parchi e delle aree protette devastati dalle fiamme. Tenuto conto della parziale sovrapposizione delle tre tipologie, la superficie complessiva stimata colpita dai roghi ammonta a circa 35.000 ettari, un danno ingente al paesaggio, al patrimonio di biodiversità con rischi per l’incolumità delle persone e dei beni. Tra le regioni più colpite Sicilia, Campania e Calabria».
Il quadro che emerge dall’analisi degli ambientalisti è davvero preoccupante: «Quasi un terzo dell’intera superficie percorsa dal fuoco, tra il 1 gennaio e il 6 agosto 2017, ha interessato le aree di maggior valore naturalistico presenti in Italia e incluse nella rete Natura 2000, la rete europea a cui afferiscono i Siti di Importanza Comunitaria – SIC designati sulla base della direttiva Habitat e le Zone di Protezione Speciale – ZPS designate sulla base della direttiva Uccelli. Invece in tutta la Penisola la superficie complessiva bruciata, dall’inizio del 2017 fino al 10 agosto, ha superato quota 101.000 ettari, più che raddoppiando quanto andato in fumo in tutto il 2016».
I dati elaborati da Legambiente dimostrano che gli incendi nel 2017 hanno coinvolto in Italia 87 Siti di Importanza Comunitaria (principalmente in: 31 Sicilia, 24 Campania, 8 Calabria, 7 Puglia, 5 Lazio, 4 Liguria), 35 Zone di Protezione Speciale (10 Sicilia, 6 Campania, 5 Calabria, 5 Lazio, 3 Puglia, 1 Liguria) e 45 Parchi e Aree protette (12 Sicilia, 13 Campania, 5 Lazio, 4 Calabria, 4 Puglia, 1 Liguria), tra cui 9 Parchi nazionali, 15 Parchi regionali e 16 Riserve naturali. Le regioni che hanno perso il patrimoni maggiore sono: la Sicilia (con 11.817 ettari (ha) bruciati nei SIC, 8.610 nelle ZPS e 5.851 nelle Aree protette), la Campania (8.265 ha nei SIC, 4.681 nelle ZPS e 8.312 nelle Aree protette), la Calabria (666 ha nei SIC, 3.427 nelle ZPS e 3.419 nelle Aree protette), la Puglia (1.687 ha nei SIC, 1.535 nelle ZPS e 1.283 nelle Aree protette), il Lazio (173 ha nei SIC, 2.797 nelle ZPS e 847 nelle Aree protette) e la Liguria (1.083 ha nei SIC, 325 nelle ZPS e 300 nelle Aree protette). Legambiente ricorda che le Regioni sono le istituzioni che hanno la principale responsabilità per l’efficace ed efficiente gestione della rete Natura 2000, in questa emergenza incendi che ha devastato la Penisola e le aree di pregio naturalistico hanno dimostrato una grande impreparazione nel saper prevenire e mettere in sicurezza il prezioso patrimonio naturalistico dal rischio incendio.
Secondo Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente, «Il 2017 verrà ricordato, come lo furono il 2007 e il 1997, come un anno orribile per la devastazione prodotta dal fuoco che ha divorato anche gran parte del patrimonio naturalistico italiano Governo, Regioni, Comuni ed Enti parco assumano piena consapevolezza del danno enorme che deriva dall’arrivare impreparati alla stagione critica per il rischio incendi, ancor più oggi che i cambiamenti climatici stanno ulteriormente aggravando tale rischio. In particolare i diciassette anni trascorsi dalla pubblicazione delle legge 353 del 2000, che assegna competenze e ruoli per prevedere, prevenire e contrastare gli incendi boschivi, rappresentano un arco temporale tale da rendere inaccettabile questo disastro ambientale. Ognuno si assuma, dunque, le proprie responsabilità e assolva ai già troppi ritardi accumulati fino ad ora, prima che sia troppo tardi. Servono più prevenzione e controlli e una efficace politica di adattamento ai cambiamenti climatici».
Legambiente è convinta che «In questa emergenza incedi che ha colpito anche la natura protetta, oltre ai troppi e ingiustificati ritardi regionali e nazionali, ha pesato anche la burocrazia, la mancanza di un’efficace macchina organizzativa, di politiche di gestione forestale sostenibili come dimostra la situazione reale e il ritardo nell’aggiornamento dei piani AIB dei parchi e delle riserve naturali dello Stato. Allo stato attuale risultano 13 piani AIB vigenti, otto con l’iter non ancora concluso e due Parchi (Stelvio e quello del Cilento e Vallo di Diano) con il piano antincendi recentemente scaduto e da aggiornare».
In particolare il Cigno Verde ricorda che «Gli strumenti normativi che le aree protette hanno a disposizione sono il frutto della legge 353/2000 e prevedono che ogni area protetta nazionale, Parco o Riserva, si doti di un Piano antincendio boschivo. Il piano ogni tre anni viene redatto dall’area protetta e approvato dal Ministero dell’Ambiente sentito il parere dell’ex Corpo Forestale dello Stato. Il Piano AIB di ogni aree protetta farà parte del Piano AIB della regione di competenza che ha invece validità annuale. Per l’associazione ambientalista è fondamentale allineare queste scadenze predisponendo per tutti piani annuali. Altra questione da risolvere sono i tempi di approvazione dei Piani che sono troppo lunghi e con passaggi complicati.
Ciafani spiega che «Un piano che deve rispondere a fenomeni così variabili, perché legati al clima che cambia si deve approntare in un mese al massimo e a ridosso dell’inizio della stagione estiva in modo da utilizzare analisi e previsioni più credibili. Non può essere perciò più il meccanismo di predisposizione, approvazione e inserimento nel piano regionale come prevede attualmente la legge 353/2000. È una norma che risponde alle esigenze di una burocrazia cervellotica ma non alle esigenze di tutela dei boschi dagli incendi».
L’altro problema è quello del catasto delle aree percorse dal fuoco, che deve prevedere un aggiornamento automatico delle cartografie e dei vincoli a scala comunale. Per Legambiente «Non può dipendere dalla volontà di un comune la vigenza di un vincolo su un’area incendiata, ma deve essere imposto da una autorità che impone in automatico il vincolo e la sua cogenza. Infine visti i ritardi che si sono verificati, l’associazione ambientalista propone di ristrutturare quella rete di presidio locale garantito negli ultimi 20 anni dalle associazioni di volontariato».