Isole: la colonizzazione umana causa cambiamenti nella biodiversità vegetale 11 volte più intensi di quelli del clima
Studio su 27 isole del mondo: la colonizzazione umana ha trasformato la biodiversità vegetale e ha causato cambiamenti irreversibili che continuano per secoli
[30 Aprile 2021]
Lo studio “The human dimension of biodiversity changes on islands” appena pubblicato su Science, parte dall’esempio dellìIslanda, colonizzata circa 1.000 anni fa dai Vichinghi, un popolo di navigator e commercianti. Il gteam internazionale di autori ricorda che «Le materie prime e le risorse offerte dalla remota isola nell’Oceano Artico destarono un forte interesse nei nuovi arrivati, che avrebbero influenzato per sempre l’economia dell’area, del nord Europa e di quasi tutto il mondo. Ma i vichinghi hanno lasciato un’impronta nell’ambiente naturale che non sarebbe mai più stata cancellata, come molti degli altri popoli che hanno colonizzato le isole di tutto il mondo. In Islanda, sebbene il tasso di cambiamento nella vita vegetale di un ecosistema sia legato al clima prima dell’arrivo dell’uomo, dall’anno 920 in poi l’attività dei primi coloni ha accelerato i cambiamenti nella biodiversità vegetale, intensificato l’erosione e distrutto le foreste in favore dei pascoli. A causa del legno necessario per costruire barche».
La principale autrice dello studio, Sandra Nogué della School of Geography and Environmental Science dell’università di Southampton, ha analizzato i dati e realizzato il lavoro mentre era ricercatrice in visita al Centre de Recerca Ecològica i Aplicacions Forestals (CRAF) di Barcellona, dove ha collaborato con il ricercatore Josep Peñuelas . Lo studio coinvolge un team internazionale di scienziati provenienti da tutto il mondo, tra i quali ha svolto un ruolo importante anche Manuel Steinbauer dell’Universität Bayreuth. I ricercatori sottolineano che «Oggi, la maggior parte delle isole abitate in tutto il mondo ha subito almeno due diverse ondate di insediamento, ognuna con i propri cambiamenti caratteristici e un’eredità sempre più complessa. Questo è dovuto alla natura irreversibile dei cambiamenti che si sono verificati, che stanno diventando sempre più veloci».
Dallo studio, condotta su 27 isole di tutto il mondo, emerge che «I cambiamenti nella vita vegetale di un ecosistema insulare causati dalla colonizzazione umana sono 11 volte maggiori di quelli dovuti al clima o agli effetti delle predette eruzioni vulcaniche. Questa modifica causata dall’azione umana è irreversibile e si riproduce costantemente, secoli dopo la colonizzazione umana».
Dato che finora è stato difficile separare gli effetti del clima e di altri impatti ambientali sulle masse continentali da quelli causati dai primi esseri umani, lo studio è uno di primi a quantificare l’impatto umano su un territorio. Il team di ricerca ha studiato polline fossilizzato di 5.000 anni fa estratto dai sedimenti delle 27 isole, il che ha permesso di comprendere la composizione della vegetazione su ogni isola e come è cambiata partendo dai campioni di polline più antichi e arrivando a quelli più recenti.
La Nogué spiega: «Poiché la maggior parte è stata colonizzata negli ultimi 3000 anni, quando il clima era simile a quello di oggi, le isole sono laboratori ideali per misurare l’impatto umano. Sapere quando un territorio insulare è stato colonizzato facilita lo studio scientifico del cambiamento nella composizione del suo ecosistema negli anni precedenti e successivi, e fornisce un’idea della sua grandezza».
Per questo è stato fondamentale sapere che la popolazione delle isole polinesiane è arrivata 3000 anni fa in isole remote come Poor Knight (Nuova Zelanda, Oceano Pacifico meridionale) e anche nelle Fiji (Pacifico meridionale); che 2.800 anni fa arrivarono in Nuova Caledonia (Pacifico), e 370 anni fa gli europei sbarcarono a Capo Verde (Atlantico settentrionale), considerata la prima colonia tropicale europea nell’Atlantico. E, ad esempio, che su alcune isole dell’arcipelago delle Isole Canarie (Atlantico), la popolazione europea è arrivata tra 1.800 e 2.000 anni fa, mentre nelle Isole Mauritius (Oceano Indiano) i coloni europei sono arrivati solo 302 anni fa.
La Nogué rivela che «Quelle colonizzate da popolazioni più moderne, come le Isole Galapagos (Ecuador, Oceano Pacifico, abitate per la prima volta nel XVI secolo) o Poor Knight in Nuova Zelanda , hanno avuto un impatto maggiore sul loro ambiente. In alter parti, le aree occupate erano precedentemente abitate da popolazioni più primitive, che sviluppavano una vita più strettamente legata al ritmo naturale e più sostenibile e, quindi, il territorio era più resiliente alla colonizzazione». Ad esempio, lo studio dimostra che le isole dove gli esseri umani sono arrivati più di 1.500 anni fa, come le Fiji e la Nuova Caledonia, hanno subito un tasso di cambiamento più lento.
La Nogué spiega ancora: «Questa differenza di cambiamento potrebbe significare che le isole precedentemente popolate erano più resistenti all’arrivo degli esseri umani. Ma è più probabile che le pratiche di utilizzo del suolo, la tecnologia e le specie introdotte dai coloni successivi siano state più trasformative di quelle di quelle precedent».
Peñuelas.aggiunge: «Sebbene non sia possibile aspettarsi che gli ecosistemi ritornino alla situazione di prima degli insediamenti, questo lavoro può aiutare a guidare gli sforzi di ripristino e a comprendere la capacità del territorio di rispondere al cambiamento».
Queste tendenze sono state osservate in luoghi geografici e climi diversi come quelli dell’Oceano Pacifico meridionale , dell’Oceano Indiano , dell’Atlantico meridionale e dell’Oceano Artico , e I ricercatori catalane del CRAF ricordano che,. «I cambiamenti negli ecosistemi possono anche essere dovuti a vari fattori naturali, come terremoti, eruzioni vulcaniche, condizioni meteorologiche estreme e cambiamenti nel livello del mare». Tuttavia, il team di ricerca ha scoperto che «I disturbi causati dagli esseri umani superano tutti questi fenomeni e il cambiamento è spesso irreversibile» e per questo motivo raccomandano che «Le strategie di conservazione tengano conto dell’impatto a lungo termine degli esseri umani e della misura in cui i cambiamenti ecologici attuali differiscono da quelli dei tempi preumani».
Al Craf concludono: «I risultati mostrano poche prove che gli ecosistemi colpiti dall’uomo assomiglino alle dinamiche presenti prima del loro arrivo. Pertanto, gli impatti antropici sulle isole sono componenti di lunga durata di questi sistemi che di solito comportano una “bonifica” (ad esempio, attraverso l’uso del fuoco), e sono aggravati dall’introduzione di una serie di specie e dall’estinzione di quelle endemiche, oltre al disturbo in corso».