La prima prova della menopausa negli scimpanzé selvatici
Studio sulla comunità Ngogo dimostra che gli esseri umani non sono gli unici primati con una lunga fase di vita post-fertile
[2 Novembre 2023]
Un team di ricercatori che studia da vent’anni la comunità Ngogo di scimpanzé selvatici nel Kibale National Park, nell’Uganda occidentale, ha pubblicato su Science lo studio “Demographic and hormonal evidence for menopause in wild chimpanzees” che dimostra che «Le femmine di questa popolazione possono andare incontro alla menopausa e alla sopravvivenza postriproduttiva».
I ricercatori statunitensi e tedeschi evidenziano che prima di questo «Tra i mammiferi, questi tratti erano stati trovati solo in alcune specie di cetacei odontoceti e tra i primati solo negli esseri umani. Questi nuovi dati demografici e fisiologici possono aiutare i ricercatori a comprendere meglio perché la menopausa e la sopravvivenza post-fertile si verificano in natura e come si sono evolute nella specie umana».
Il principale autore dello studio, l’antropologo Brian Wood dell’Università della California – Los Angeles (UCLA) e del Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie, spiega che «Nelle società di tutto il mondo, le donne che hanno superato l’età fertile svolgono un ruolo importante, sia a livello economico che come sagge consigliere e badanti. Il modo in cui questa storia della vita si è evoluta negli esseri umani è un puzzle affascinante ma impegnativo. I risultati dimostrano che in determinate condizioni ecologiche, la menopausa e la sopravvivenza post-fertile possono emergere all’interno di un sistema sociale molto diverso dal nostro e che non prevede il supporto dei nonni».
Wood si riferisce all’ipotesi della nonna, che è stata utilizzata per spiegare l’esistenza della sopravvivenza umana in postmenopausa, che propone che le donne negli anni postriproduttivi potrebbero essere in grado di trasmettere una parte maggiore dei propri geni contribuendo ad aumentare il tasso di natalità dei loro figli o prendendosi cura direttamente dei nipoti, aumentando così le probabilità di sopravvivenza dei nipoti.
All’UCLA fanno notare che «In effetti, diversi studi sulle nonne umane hanno riscontrato questi effetti positivi. Ma gli scimpanzé hanno modalità di vita molto diverse rispetto agli umani. Le femmine di scimpanzé più anziane in genere non vivono vicino alle loro figlie né si prendono cura dei nipoti, ma le femmine di Ngogo spesso vivono oltre l’età fertile».
Sebbene in altri studi a lungo termine sugli scimpanzé selvatici non sia stata precedentemente osservata una durata di vita postriproduttiva sostanziale, a volte è stata osservata negli scimpanzé e in altri primati in cattività, che ricevono una buona alimentazione e cure mediche. Questo fa emergere la possibilità che la durata della vita postriproduttiva delle femmine di scimpanzé di Ngogo possa essere una risposta temporanea a condizioni ecologiche insolitamente favorevoli, dato che questa popolazione gode di una fornitura di cibo stabile e abbondante e di bassi livelli di predazione. Però, un’altra possibilità è che la durata della vita postriproduttiva sia in realtà un tratto evoluto e tipico della specie negli scimpanzé, ma che non è stata osservata in altre popolazioni di scimpanzé a causa dei recenti impatti negativi degli esseri umani.
Un altro autore dello studio, Kevin Langergraber dell’Institute of Human Origins dell’Arizona State University, ricorda che «Gli scimpanzé sono estremamente suscettibili di morire a causa di malattie che hanno origine negli esseri umani e verso le quali hanno poca immunità naturale. Chi fa ricerca sugli scimpanzé, compresi noi di Ngogo, ha imparato nel corso degli anni quanto devastanti possano essere queste epidemie per le popolazioni di scimpanzé e come ridurre le loro possibilità che si verifichino».
Il team di ricercatori ha esaminato i tassi di mortalità e fertilità di 185 femmine di scimpanzé sulla base dei dati demografici raccolti dal 1995 al 2016. Hanno calcolato la frazione di vita adulta trascorsa in uno stato postriproduttivo per tutte le femmine osservate e hanno misurato i livelli ormonali nei campioni di urina di 66 femmine di scimpanzé in stati riproduttivi ed età variabili, che vanno dai 14 ai 67 anni.
Sono state necessarie migliaia di ore di lavoro sul campo a Ngogo per raccogliere le osservazioni e i campioni necessari per questo studio. I campioni ormonali sono stati analizzati da Tobias Deschner del Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie e dell’Universität Osnabrück e da Melissa Emery Thompson dell’University of New Mexico e l’antropologo Jacob Negre dell’University of Arizona evidenzia che «Questo studio è il risultato di un lavoro straordinario. E’ solo perché il nostro team ha trascorso decenni a monitorare questi scimpanzé che possiamo essere certi che alcune femmine vivono molto tempo dopo aver smesso di riprodursi. Abbiamo anche trascorso migliaia di ore nella foresta per raccogliere campioni di urina di questi scimpanzé con cui studiare i segnali ormonali della menopausa».
I ricercatori hanno misurato i livelli ormonali associati alla menopausa umana, che includono livelli crescenti di ormone follicolo-stimolante e di ormone luteinizzante, nonché livelli decrescenti di ormoni steroidei ovarici inclusi estrogeni e progestinici e dicono che «Come nel caso di altre popolazioni di scimpanzé e degli esseri umani, la fertilità negli scimpanzé studiati è diminuita dopo i 30 anni, senza nascite osservate dopo i 50 anni. I dati sugli ormoni hanno mostrato che le femmine di Ngogo hanno sperimentato una transizione menopausale simile a quella degli umani, a partire dai 50 anni circa. Inoltre, come gli esseri umani, non era insolito che queste femmine di scimpanzé vivessero oltre i 50 anni. Una femmina che raggiungeva l’età adulta all’età di 14 anni era postriproduttiva per circa un quinto della sua vita adulta, circa la metà della durata di un cacciatore-raccoglitore umano».
Wood sottolinea che «Ora sappiamo che la menopausa e la sopravvivenza post-fertile si verificano in una gamma più ampia di specie e condizioni socio-ecologiche di quanto precedentemente apprezzato, fornendo una solida base per considerare i ruoli che il miglioramento delle diete e la riduzione dei rischi di predazione avrebbero avuto nella storia evolutiva della vita umana».
I ricercatori aggiungono che «Sarà fondamentale anche monitorare il comportamento degli scimpanzé più anziani e osservare come interagiscono e influenzano gli altri membri del gruppo».
Wood conclude: «Per consentire un tale lavoro, è essenziale sostenere lo studio a lungo termine dei primati in natura».