La strage dei leader comunitari in Colombia, l’olio di palma e la mafia del legname (VIDEO)
Dietro lo scontro tra guerriglieri e milizie narco-fasciste, la lotta per accaparrarsi terra e risorse
[29 Gennaio 2018]
Dal dicembre 2017 nel dipartimento colombiano del Chocó si è acuita la crisi di umanitaria e di sicurezza che vede come protagonisti i guerriglieri marxisti-leninisti dell’Ejército de Liberación Nacional (Eln) e del gruppo neo-paramilitare di destra dei narcotrafficanti dell’Autodefensas Gaitanistas de Colombia (Agc), ma che sullo sfondo ha la lotta per accaparrarsi le risorse e l’agroindustria che cerca di penetrare nei territori comunitari per impossessarsene. A fare le spese di questo conflitto sono i leder sociali del Chocó.
Nelle ultime settimane del 2017 le comunità della regione del Bajo Atrato de Chocó hanno perso due leader carismatici ed entrambi lottavano per la riforma agraria, per l’ambiente e per i diritti delle comunità sfollate in una regione dove operano grandi imprese agricole. Il 9 dicembre è stato assassinato a Pedeguita y Mancilla Hernán Bedoya e il 26 novembre Mario Castaño Bravo era stato ucciso nella sua casa a La Larga Tumaradó. Il Washington Office on Latin America (Wola) spiega che Bedoya, leader dei senza terra del territorio colectivo di Pedeguita Mancilla, è stato giustiziato con 14 colpi di arma da fuoco dalle Fuerzas de Autodefensa Gaitanista, mentre attraversava a cavallo un ponte a El Acopio. Secondo Wola, «Bedoya è stato assassinato dopo aver denunciato affari illegali e la presenza di gruppi paramilitari nella zona».
Anche Castaño Bravo, leader del Consejo Comunitario La Larga de Tumaradó è stato assassinato dai paramilitari e il Wola sottolinea che «Stava lavorando per ottenere giustizia per le persone i cui territori sono stati illegalmente usurpati da gruppi armati illegali e dagli interessi economici». Castaño Bravo aveva condannato la presenza dell’Eln e dell’Agc nelle comunità vicine e stava guidando un’iniziativa per costruire una proposta di risarcimento collettivo per i legittimi proprietari del territorio.
Bedoya e Bravo erano due afrocolombiani e appartenevano alle comunità che fanno parte delle Comunidades Construyendo la Paz en los Territorios (Conpaz), una rete formata da 140 vittime e comunidades de resistencia estesa in 14 dipartimenti della Colombia dove è presente il conflitto armato. A entrambi i leader sociali assassinati l’Unidad Nacional de Protección (Unp) aveva dato un telefono cellulare e un giubbotto antiproiettile per proteggersi, ma la loro morte ha reso evidente che l’Unp non protegge direttamente i leader comunitari nelle aree rurali remote. Il 4 dicembre la Comisión Intereclesial para Justicia y Paz (Justicia y Paz) ha denunciato la presenza di membri dell’Agc nel territorio colectivo de Curvaradó e ha detto che «I membri della comunità affermano di essere stati costretti ad assistere a una riunione nella quale i leader dell’Agc hanno distribuito una lista di esecuzioni. Ai membri della comunità è stato detto che le esecuzioni sarebbero state attuate se non avessero collaborato e li hanno avvertiti che nessuno, inclusa l’Eln, impedirà che l’Agc sia presente nel territorio».
Bedoya era proprietario de la Zona de Biodiversidad “Mi Tierra”, nel territorio colectivo afrocolombiano di Pedeguita-Mancilla e si era più volte scontrato con le compagnie dell’olio di palma, bananiere e del legname che accusava di accaparramento illegale di terre e della deforestazione nel territorio collettivo della sua comunità afrocolombiana di Riosucio. Bedoya era anche uno degli oltre 8 milioni di colombiano danneggiati da 50 anni di conflitto armato tra guerriglieri, esercito e squadroni della morte fascisti e nel 2012 era ritornato con la sua famiglia nella sua terra, dalla quale era stato scacciato nel 1996 dai paramilitari di destra delle Autodefensas Unidas de Colombia (Auc). Appena tornato nella sua comunità, Bedoya ha iniziato a lottare insieme a una ONG contro i poderosi interessi dell’agroindustria e del legname e per assicurarsi che il territorio collettivo afrocolombiano venisse protetto dagli “invasori” che stanno occupando le terre agricole della sua comunità e distruggendo le aree protette che ospitano una ricchissima biodiversità. E quasi subito Bedoya ha cominciato a ricevere minacce dai gruppi armati.
Nel giugno 2017 Justicia y Paz aveva denunciato una grossa impresa agroindustriale accusandola di «distruggere foreste vergini e risorse per estendere l’agricoltura industriale illegale» e aveva avvertito che la reserva de biodiversidad di Bedoya era un obiettivo del land grabbing: «Stanno tagliando le foreste, distruggendo le coltivazioni di sussistenza e causando lo sfollamento quando si appropriano delle fattorie familiari per impiantare progetti di plátano e olio di palma». Secondo l’organizzazione cattolica che difende i diritti umani, «I progetti agroindustriali che vengono pianificati per il territorio colectivo Pedeguita-Mancilla sono stati sostenuti dal gruppo neoparamilitare Agc» e l’assassinio dei leader sociali «Avvantaggia un gruppo di proprietari terrieri agricoli industriali, che approfittano del conflitto armato per espandere le loro imprese commerciali nella regione».
La Defensoría del Pueblo colombiano ha annunciato su Twitter che «condanna l’assassinio del leader del recupero delle terre» e ha chiesto al governo di «chiarire rapidamente i fatti» riguardanti l’assassinio. Anche Amnesty International ha chiesto al governo di Bogotà di «garantire il rispetto dei confini delle zone umanitarie, garantendo anche la sicurezza dei suoi membri e [una maggiore presenza] delle forze di sicurezza dello Stato». Una richiesta avanzata il 14 dicembre anche da 25 leader sociali delle regioni del Bajo Atrato e Urabá nel Chocó e di Antioquia che hanno ricevuto minacce di morte o hanno avuto familiari uccisi e che sono andati a Bogotá per chiedere garanzie e di poter tornare sulle loro terre. Ma la situazione è così pericolosa che, per non farsi identificare, durante la conferenza stampa si sono coperti la faccia con delle maschere bianche. Gli attivisti hanno detto di sapere che ci sono piani per ammazzare altri leader del movimento per il diritto alla terra della regione, tra i quali Miguel Hoyos, Eustaquio Polo e María Ligia Chaverra e due capi comunales locali.
Nel documentario Frontera Invisible girato nel 2016 da Nico Muzi, Bedoya aveva raccontato la sua lotta contro i paramilitari e l’agricoltura industriale e denunciato il Consiglio comunale che si era accordato con la mafia del legname e i piantatori di palme da olio e plátano per farli entrare illegalmente nel territorio colectivo. «Ora stiamo aspettando che chiedano di piantare 1.000 ettari di palma [nella nostra tierra colectiva] – diceva Bedoya – Però non so dove li pianteranno perche noi stiamo qui, in questa terra. Dovranno prima portarci via dal territorio se vogliono piantare questi 1,000 ettari di palma». Alla fine lo hanno portato via con 14 pallottole.
Come spiega Mongbay Ltam, negli anni ’90 più di 8.000 persone furono costrette ad abbandonare le loro case e terre nella regione del Bajo Atrato, quando gli squadroni della morte delle Auc lanciarono un feroce attacco per impadronirsi di una rotta strategica del narcotraffico lungo il fiume Atrato che prima era controllata dalle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia – Ejército del Pueblo (Farc) e dall’Eln, Un reportage del 2015 di Verdad Abierta sottolinea che «Nel 2000 le autorità locali e le imprese cominciarono a spingere per espandere le coltivazioni di palma da olio o, come lo chiamavano “oro verde”», nelle terre che erano state abbandonate o svendute sotto la minaccia delle armi dai contadini afroamericani o meticci colombiani che temevano per la vita delle loto famiglie. Ex capi delle milizie di destra hanno dichiarato che Vicente Castaño – uno dei due fratelli che hanno comandato i 30.000 combattenti delle Auc tra il 1997 e il 2006 – aveva stretti rapporti con i produttori di olio di palma e le mafia del legname e che è lui ad averli invitati a investire nei territori dei quali si era appropriato con la forza. Eppure, nel 1993 il Congreso colombiano aveva approvato una legge che protegge l’identità culturale delle comunità afrocolombiane e riconosce il loro diritto al possesso delle tierras comunales. In base a quella legge, nel 2000 vennero concessi nella regione del Bajo Atrato 48.000 ettari alla comunità afrocolombiana di Pedeguita-Mancilla che aveva dei diritti ancestrali su quella terra.
L’Agc accusato di aver assassinato Bedoya e Castaño Bravo è il discendente diretto dell’esercito narco-fascista delle Auc e si è formato nel 2008 dopo l’estradizione negli Usa dei capi dell’Auc, per poi crescere enormemente negli ultimi 10 anni, impossessandosi della maggior parte delle rotte della droga delle Auc nel Caribe e nel Pacífico. Attualmente l’Agc è il maggior gruppo armato illegale della Colombia, un vero e proprio esercito nero mafioso. A fine dicembre – dopo il raggiungimento dell’accordo di pace tra governo e Farc – l’Agc ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale e 7.000 dei suoi miliziani si preparano a consegnarsi al governo colombiano, che sta trattando con la più grande organizzazione del narcotraffico del Paese dopo che il leader del gruppo armato, “Otoniel”, si è dichiarato disposto a presentarsi di fronte alla giustizia.
Secondo la Fundación para la Paz y la Reconciliación (Pares), nel 2017 in tutta la Colombia sono stati assassinati 137 leader sociali. Altre fonti danno cifre più basse, ma tutti sono concordi nel dire che gli attivisti colombiani assassinati nel 2017 sono stati più di 100. In un rapporto Pares si legge che «La vulnerabilità dei leader e difensori dei diritti umani sta diventando sempre più critica. Gli atti di violenza contro queste persone mostrano un alto grado di comportamento sistematico. La motivazione dei loro assassinii e quelle di limitare la partecipazione dei leader sociali alla politica, impedire i processi di costruzione della verità, la restituzione delle terre e la protezione dell’ambiente».
William Spindler, portavoce dell’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), fa notare che la maggioranza degli omicidi dei leader sociali sono avvenuti in regioni dove le Farc hanno rinunciato al controllo del territorio: «In molti casi, l’attività delittuosa è aumentata, in questo caso è dovuto alla vacanza di potere a causa della smobilitazione delle Farc, che non è stata colmata dallo Stato».
Se l’Indonesia e la Malaysia rappresentano circa l’85% della produzione di olio di palma, la Colombia è il quarto produttore mondiale e il più grande delle Americhe. Secondo l’associazione di produttori Fedepalma, dal 2000 la superficie coltivata a palma da olio in Colombia è aumentata di quasi il 200%, passando da 157.000 a 466.000 ettari nel 2015. Uno studio del Governo e di Fedepalma ha concluso che in Colombia ci sono 16 milioni di ettari adatti per coltivare palma da olio e, con la smobilitazione delle Farc, il governo di Bogotà pensa di aprire le porte allo sviluppo dell’agroindustria nei territori prima controllati dai guerriglieri.
Su Mongbay Ltam, il reporter colombiano Taran Volckhausen conclude: «I sostenitori de boom dell’olio di palma nel Paese si vantano di non aver raggiunto gli stessi livelli di distruzione delle foreste che sono stati ben documentati in altri Paesi, soprattutto nel sud-est asiatico. Ma, come dimostra la morte di Hernán Bedoya. l’espansione dell’agricoltura industriale può avere un costo sociale e i critici sostengono che lo sviluppo sta avvenendo su terre che sono state illegalmente occupate da gruppi paramilitari o abbandonate durante il mezzo secolo armato del Paese in conflitto».