Le aree marine protette non resistono al cambiamento climatico
In California molti ecosistemi sono cambiati dopo la grande ondata di caldo marino nel Pacifico
[18 Luglio 2023]
L’aumento delle temperature oceaniche sta s<colpendo mari e oceani, battendo record e creando condizioni problematiche per la vita marina. A differenza delle ondate di caldo sulla terraferma, i periodi di brusco riscaldamento degli oceani possono aumentare per mesi o anni e, in tutto il mondo, le ondate di caldo marino hanno portato alla mortalità di massa e a eventi di spostamento, declino economico e perdita di habitat di molte specie. Il nuovo studio “A marine protected area network does not confer community structure resilience to a marine heatwave across coastal ecosystems”, pubblicato su Global Change Biology da un team di ricercatori statunitensi e francesi, rivela che «Anche le aree dell’oceano protette dalla pesca sono ancora vulnerabili a questi eventi estremi alimentati dal cambiamento climatico.
Il team di ricercatori guidato dall’università della California Santa Barbara (UCSB), ha infatti scoperto che «Mentre la rete delle aree marine protette (AMP) della California fornisce molti vantaggi sociali ed ecologici, non è resiliente agli effetti del riscaldamento degli oceani».
Anche se precedenti studi mostrano una maggiore resilienza e un effetto buffer delle AMP, il nuovo studio ridimensiona parte di quei risultati, partendo da una revisione decennale della rete delle AMP della California condotta al National Center for Ecological Analysis & Synthesis (NCEAS) dell’UCSB e scoprendo che «Le ondate di caldo marino hanno un impatto sulle comunità ecologiche indipendentemente dal fatto che siano protette all’interno delle AMP».
Il principale autore dello studio, Joshua Smith, che era al NCEAS durante la ricerca e ora e al Monterey Bay Aquarium, sottolinea che «Le AMP in California e in tutto il mondo hanno molti vantaggi, come una maggiore abbondanza di pesci, biomassa e diversità. Ma non sono mai state progettate per tamponare gli impatti dei cambiamenti climatici o delle ondate di caldo marino».
Smith e gli altri autori dello studio facevano parte di un gruppo di lavoro NCEAS formato per sintetizzare decenni di dati di monitoraggio ecologico a lungo termine dai diversi habitat oceanici della California. Il team, co-guidato da Jenn Caselle, del Marine Science Institute dell’UCSB, e da Kerry Nickols, della California State University Northridge e che ora lavora con Ocean Visions, puntava a «Fornire risultati scientifici attuabili ai responsabili politici della California e gestori delle risorse naturali, come parte di una valutazione decennale della rete di AMP in tutto lo Stato, con analisi che hanno riguardato anche la più grande ondata di caldo marino mai registrata, che dal 2014 al 2016 ha attraversato l’Oceano Pacifico fino in California».
All’UCSB ricordano che «La mostruosa ondata di caldo marino è stata formata da un double-whammy ambientale: un insolito riscaldamento dell’oceano soprannominato “The Blob”, seguito da un importante evento di El Niño che ha prolungato le temperature soffocanti del mare». Un’ondata di caldo marino che. tra le varie altre conseguenze, si è estesa in tututta la West Coast, dall’Alaska alla Baja Californi e che si è lasciata dietro una scia di reti alimentari alterate, il crollo delle attività di pesca e lo spostamento di intere popolazioni di animali marine.
Dato che in tutto il mondo gli amministratori di AMP si trovano ad affrontare shock climatici crescenti, – e che l’attuale situazione somin glia in maniera inquietante al Blob del 2014 al 2016 – la misura in cui le AMP possono tamponare le peggiori conseguenze di questi eventi è diventata una questione importante.
Gli scienziati del gruppo di lavoro NCEAS si sono chiesti come se la sarebbero cavata le comunità ecologiche nelle aree protette della California dopo un’ondata di caldo così grave e prolungata: si sarebbero spostate e, se sì, come? Sarebbero “rimbalzate” quando l’ondata di caldo marino si fosse placata? Le aree marine protette potrebbero proteggere le popolazioni sensibili o facilitarne il recupero?
Per trovare le risposte alle loro domande, hanno sintetizzato oltre un decennio di dati raccolti da 13 AMP no-take che proteggono una varietà di ecosistemi lungo la Central Coast:: zone intertidali rocciose, foreste di alghe, secche poco profonde e profonde. Utilizzando i dati a disposizione di prima, durante e dopo l’ondata di caldo, il team ha esaminato le popolazioni di pesci, invertebrati e alghe all’interno e all’esterno di queste aree. Per valutare se queste località promuovessero una particolare forma di resilienza climatica, mantenendo sia la popolazione che la struttura della comunità, gli scienziati si sono concentrati particolarmente su due di questi habitat: intertidali rocciosi e foreste di alghe, in 28 AMP di tutta la rete statale californiana e Smith spiega che «Abbiamo utilizzato le AMP no-take come pietra di paragone per vedere se le comunità ecologiche protette se la sono cavata meglio con l’ondata di caldo marino rispetto ai luoghi in cui si è verificata la pesca».
I risultati sono in qualche modo deludenti, anche se non del tutto inaspettati. Come evidenzia la Caselle, «Le AMP non hanno facilitato la resilienza o il recupero tra gli habitat o tra le comunità. Di fronte a questa ondata di caldo marino senza precedenti, le comunità sono cambiate radicalmente nella maggior parte degli habitat. Ma, con un’eccezione, i cambiamenti si sono verificati in modo simile sia all’interno che all’esterno delle AMP. La novità di questo studio è stata che abbiamo visto risultati simili in molti habitat e gruppi tassonomici diversi, dalle acque profonde alle barriere coralline poco profonde e dai pesci alle alghe».
Secondo Smith, «L’implicazione di queste scoperte è che ogni parte dell’oceano è minacciata dai cambiamenti climatici. Le AMP sono efficaci per molti dei modi in cui sono state progettate, ma i nostri risultati suggeriscono che le AMP da sole non sono sufficienti a tamponare gli effetti del cambiamento climatico».
Ora, la domanda chiave è: cosa accadrà in futuro? Lo studio ha utilizzato i dati fino al 2020 e le comunità ecologiche non sono tornate al loro stato precedente all’ondata di caldo ma si sono spostate verso un «Ppronunciato declino della proporzione relativa di specie di acqua fredda e un aumento di specie di acqua calda». Ad esempio, l’aumento dell’abbondanza del pesce señorita (Oxyjulis californica), una specie subtropicale che preferisce l’acqua calda e precedentemente raro nella California centrale, ha avuto un’influenza enorme sullo spostamento delle comunità faunistica marina. Resta da vedere se queste specie resteranno nelle aree che hanno colonizzato.
La Caselle aggiunge: «Questo studio chiarisce perché il monitoraggio a lungo termine delle AMP della California è così essenziale. Attualmente, alcune di queste serie temporali sono più lunghe di 25 anni e i dati sono fondamentali per comprendere e preparare le comunità umane ai cambiamenti che si verificano nelle nostre comunità marine. Lo studio continuo mostrerà se i futuri spostamenti nelle comunità marine si verificano a velocità diverse o verso diversi stati di base nelle AMP rispetto alle zone di pesca».
I ricercatori ribadiscono che «Nonostante la limitata capacità delle AMP di resistere alla morsa dell’ondata di caldo marino, conferiscono vantaggi, non ultimo la capacità di studiare i complessi effetti del cambiamento climatico in aree non interessate dalla pesca. In quanto aree di minima interferenza umana che vengono regolarmente monitorate, offrono opportunità per studiare la risposta degli ecosistemi marini a condizioni mutevoli e potenzialmente adattare di conseguenza le tecniche di gestione».
Inoltre, Smith fa notare che «Le comunità ecologiche nelle AMP sono ancora protette, anche se sono diverse a causa dell’ondata di caldo. Dato che si prevede che le ondate di calore marine aumenteranno in frequenza e magnitudo nel futuro, sono necessarie azioni rapide per il clima e soluzioni basate sulla natura come percorsi aggiuntivi per migliorare la salute dei nostri oceani».
Nickols conclude: «Con gli impatti devastanti del cambiamento climatico che sono già evidenti, è molto importante che siamo in anticipo sulle soluzioni climatiche. Fintanto che bruceremo combustibili fossili e riscalderemo il globo, gli ecosistemi marini saranno a rischio, anche se sono protetto dalla pesca».