Le barriere di confine costruite dall’uomo minacciano la fauna selvatica

Impediranno sempre di più gli spostamenti di mammiferi e uccelli che fuggono di fronte al cambiamento climatico

[11 Febbraio 2021]

Secondo il  nuovo studio “Global inequities and political borders challenge nature conservation under climate change”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America (PNAS) da un team di ricercatori delle università di Durham, Cambridge e Newcastle e di BirdLife International, «Muri e recinzioni progettati per proteggere i confini nazionali potrebbero rendere difficile adattarsi ai cambiamenti climatici a quasi 700 specie di mammiferi».

Il team guidato da Steve Willis e Mark Titley del Department of Biosciences della Durham University è il primo a esaminare come le barriere create dall’uomo potrebbero limitare il movimento degli animali mentre si spostano tra i diversi Paesi per trovare luoghi più ospitali in cui vivere. I ricercatori hanno identificato 32.000 km di confini fortificati con recinzioni e muri che potenzialmente possono impedire a un gran numero di animali di spostarsi in ambienti più adatti e dicono che «Di queste barriere, il muro di confine Usa-Messico, le recinzioni lungo il confine tra Cina e Russia e la recinzione in costruzione lungo il confine tra India e Myanmar potrebbero essere le più dannose dal punto di vista ecologico».

Da solo, il muro di confine tra Stati Uniti e Messico, ampliato da Donald Trump, potrebbe ostacolare il movimento di 122 specie di mammiferi che cercano di sfuggire ai cambiamenti climatici, Ma i mammiferi potrebbero essere ostacolatio nella nuova ricerca di nuovi areali più freschi e sicuri dai confini artificiali rez alizzati, in costruzione e progettati in tutto il mondo e tra le specie più a rischio ci sono leopardi, tigri, l’antilope Saiga, il ghepardo e il giaguaro a rischio  estinzione.

Oltre a prendere in considerazione i confini politici, i ricercatori hanno anche confrontato i probabili impatti dei cambiamenti climatici in corso sulle specie all’interno dei diversi Paesi, scoprendo che «E’ probabile che la perdita di biodiversità sia più grave nei Paesi che sono meno responsabili delle emissioni che stanno portando al cambiamento climatico».

Secondo lo studio, finanziato dal National Environment Research Council di UK Research and Innovation, entro il 2070, un terzo dei mammiferi e degli uccelli dovrà trovare habitat adatti in altri Paesi a causa dei cambiamenti climatici, con spostamenti massicci di specie che avverranno molto probabilmente tra la foresta pluviale amazzonica e le Ande tropicali, intorno all’Himalaya e in alcune parti dell’Africa centrale e orientale.

Di fronte a una migrazione climatica del genere che rischia di trovare ulteriori barriere artificiali sulla sua strada, i ricercatori chiedono «Più iniziative di conservazione transfrontaliere e corridoi degli habitat per ridurre il problema» e hanno esortato i leader mondiali a «Ridurre il rischio per la biodiversità, impegnandosi a riduzioni ambiziose dei gas serra quando si incontreranno alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Glasgow questo novembre».

Wilis conferma che «Le specie di tutto il pianeta si stanno spostando perché rispondono a un clima che cambia. I nostri risultati mostrano quanto sia importante che le specie possano spostarsi attraverso i confini nazionali, attraverso habitat connessi, per far fronte a questo cambiamento. I confini fortificati con muri e recinzioni rappresentano una seria minaccia per tutte le specie che non possono attraversarli. Se vogliamo seriamente proteggere la natura, sarà davvero importante espandere le iniziative di conservazione transfrontaliere e ridurre gli impatti delle barriere di confine sulle specie, anche se non c’è alcun sostituto per affrontare le emissioni di gas serra alla radice del problema».

In totale, i ricercatori hanno esaminato l’effetto del cambiamento climatico sugli spostamenti di 12.700 specie di mammiferi e uccelli i cui habitat potrebbero essere influenzati dall’aumento delle temperature globali, costringendoli a trovare nuovi habitat ed è così che è venuto fuori quello che empiricamente era già evidente: «La perdita di specie di uccelli e mammiferi sarebbe maggiore nei Paesi più poveri con emissioni di CO2 inferiori, che sarebbero influenzati in modo più significativo dal cambiamento climatico globale».

Titley conclude: «Le nette disuguaglianze tra coloro che hanno contribuito maggiormente al cambiamento climatico e coloro che saranno maggiormente colpiti sollevano questioni davvero importanti di giustizia internazionale. Fortunatamente, i nostri modelli dimostrano anche come una forte e urgente riduzione delle emissioni, in linea con l’accordo di Parigi, potrebbe ridurre notevolmente gli impatti sulla biodiversità e alleviare il peso di tali perdite sui Paesi meno ricchi. I leader mondiali devono cogliere l’opportunità alla conferenza sul clima COP 26 di novembre a Glasgow per intensificare gli ambiziosi impegni a ridurre le emissioni, o rischiare enormi danni al mondo naturale e alle nostre società che dipendono da esso».