Le praterie di Posidonia riducono gli effetti dell’acidificazione dei mari

Lo provano i ricci di mare. Ricerca italiana nell’ambito del progetto UE FutureMARES

[1 Febbraio 2024]

Secondo i risultati di due studi: “Ocean acidification impairs seagrass performance under thermal stress in shallow and deep water”, pubblicato su  Environmental Research, e Seagrass meadows as ocean acidification refugia for sea urchin larvae”, pubblicato su Science of the Total Environment, le praterie di Posidonia possono ridurre in modo significativo gli effetti dell’acidificazione dei mari e i ricercatori del progetto europeo FutureMARES dicono che «La prova arriva da una specie sentinella come i ricci di mare».   

I ricercatori dell’università di Pisa e del  Consorzio per il centro interuniversitario di biologia marina ed ecologia applicata “G. Bacci” di Livorno (CIBM)  hanno condotto gli esperimenti nei mesocosmi collocati presso l’Acquario di Livorno, un sistema di vasche di grandi dimensioni che riproduce gli ecosistemi marini ed evidenziano che «Le analisi hanno dimostrato che Posidonia oceanica, la principale pianta marina che popola il Mediterraneo, contribuisce a difendere lo sviluppo delle larve del riccio di mare (Paracentrotus lividus). Questa specie, che ha anche un interesse commerciale, è minacciata dall’acidificazione delle acque marine che ostacola lo sviluppo dello scheletro composto da carbonato di calcio. Ma grazie alla propria attività fotosintetica, la Posidonia è stata in grado di alzare il pH dell’acqua di 0.15 unità. In presenza delle piante, le larve di riccio hanno così sviluppato meno malformazioni e raggiunto una grandezza maggiore nella fase finale dello sviluppo».

Dai due studi che vedono come principale autrice Chiara Ravaglioli e assegnista di ricerca del Dipartimento di biologia dell’università di Pisa, che si occupa degli effetti antropici sulle piante marine, è emerso che «Le praterie di Posidonia possono quindi rappresentare un rifugio per alcune delle specie minacciate dall’acidificazione dei mari anche perché il fenomeno in sé non ha effetti significativi su queste piante. E tuttavia, come hanno dimostrato ulteriori indagini dell’Università di Pisa, se l’acidificazione è associata ad un innalzamento della temperatura dell’acqua, possono subentrare alterazioni fisiologiche e molecolari, specialmente nelle piante più in profondità, che potrebbero ridurre la funzione protettiva».

L’autore senior dei due studi, Fabio Bulleri del Dipartimento di bBiologia e del Centro interdipartimentale di ricerca per lo studio degli effetti del cambiamento climatico (CIRSEC) dell’università di Pisa, evidenzia che «I nostri studi dimostrano le praterie di piante marine come Posidonia oceanica possano mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici su altre specie, con importanti ricadute in termini sia di biodiversità che economici, questa capacità però può essere compromessa da un ulteriore riscaldamento del mare e per questo è necessario individuare popolazioni di piante più tolleranti allo stress termico e siti caratterizzati da un minore tasso di riscaldamento che possano funzionare da rifugi in scenari futuri».

Bulleri, responsabile scientifico del progetto FutureMARES, si occupa della valutazione degli effetti dei cambiamenti climatici in ambiente marino. Insieme a lui, oltre alla Ravaglioli  hanno collaborato ai due studi: per l’università di Pisa  Lucia De Marchi e Carlo Pretti, esperti in ecotossicologia del Dipartimento di scienze veterinarie, e ricercatori del Dipartimento di scienze della vita dell’Università di Trieste, del CIBM di Livorno, della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, del National Institute of Oceanography e dell’Israel Oceanographic and Limnological Research e del National Biodiversity Future Centre (NBFC) di Palermo.