Le tartarughine e noi
Un’Italia desiderosa di conoscere e il distacco crescente dalla natura selvaggia
[21 Agosto 2017]
E’ finita l’avventura del nido della tartaruga marina iniziata con l’eccezionale deposizione all’alba del 20 giugno sulla spiaggia di Marina di Campo, troppo a nord e troppo strana, nel bel mezzo di due stabilimenti balneari, vista solo dal guardiano dei bagni, rapida, senza lasciare altre tracce che di pinne, sdraio e ombrelloni ribaltati e un uovo, quello più superficiale, ricoperto subito dopo essersi accertati che la deposizione era avvenuta.
Ma fin da quei primi momenti è iniziata a comparire la scissione sempre più evidente tra natura ed uomo, tra il selvaggio e artificiale, tra l’eterno ripetersi delle cose e l’effimero che ci circonda.
Come accadde per la foca monaca dell’Isola del Giglio qualche anno fa (che in realtà sarebbero stati due esemplari in accoppiamento) anche l’irruzione di questo rettile primordiale su una spiaggia artificializzata non è stata creduta e si sono sprecate le ironie su Facebook, rinunciando alla meraviglia per il sospetto: i complottisti di turno si sono volentieri allineati dietro la strampalata teoria che qualcuno avrebbe ordito una montatura, sotterrando nella sabbia una pallina da ping pong, per trarne vantaggi pubblicitari e addirittura politici a favore della nuova amministrazione di centro-destra (al Giglio invece gli “inventori” della foca sarebbero stati Legambiente e il centro-sinistra).
Nemmeno le foto del ritorno di Federica – come ormai era stata battezzata mamma tartaruga – scattate su una strada asfaltata illuminata dai lampioni durante un sopralluogo per una nidificazione fallita hanno fatto desistere gli ultimi complottisti.
Eppure le tartarughe marine facevano parte, fino a non troppi anni fa, del nostro vivere quotidiano di elbani. Chi ha la mia età, intorno ai 60 anni e più se le ricorda bene legate ai pescherecci o ai moli con una cima per una pinna a “spurgare il bestino”. Da piccoli qualcuno di noi ha avuto la fortuna di cavalcarle per farsi trascinare dalle prigioniere in quelle che erano per noi profondità eccezionali ma in realtà minime e domestiche. I pescatori elbani e i ponzesi le hanno macellate davanti ai nostri crudeli occhi di bimbi, sono state mangiate e vendute nei ristoranti per farne brodo e spezzatino. Era tutto naturale, tutto normale. Eravamo noi, il mare e le bestie che lo popolano, in un feroce e splendente equilibrio senza perché.
Un equilibro che poi si è rotto – che abbiamo rotto – tra noi il mare e la nostra e la sua vita. E’ allora che le tartarughe sono diventate creature eccezionali, è allora che ai pescatori è toccato difenderle, consapevoli che quegli animali sofferenti erano la sofferenza e il grido muto del mare.
Pe questo l’arrivo della tartaruga sulla spiaggia di Marina di Campo è stato un regalo eccezionale, una visita del selvaggio nel cuore del turismo di massa, un avvertimento che è stato subito colto da Riccardo e dai suoi bagnini dei bagni da Sergio e dai volontari di Legambiente, senza i quali l’attenzione e l’impegno delle istituzioni verso quello che è stato definito “il nido di tartaruga più sorvegliato del mondo” non ci sarebbero mai stati. L’unica cosa che ha contato per chi ha speso i suoi giorni e le sue notti, per chi ha rinunciato al sonno e a un po’ di vacanze, per chi tornava al lavoro assonnato o trafelato, era solo che nascessero le tartarughine, che raggiungessero il mare, che si ripetesse una storia che avveniva già prima che si estinguessero i dinosauri. Tuto il resto, il circo mediatico, le diatribe politiche e tecniche, le discussioni scientifiche – che pure ci sono stati – non contavano nulla per chi difendeva le tartarughine covate dalla sabbia calda di un caldissimo agosto. Quei fortunati avevano risaldato la catena interrotta tra umano e selvaggio.
Tutti, compreso chi scrive, siamo diventati “esperti” di tartarughe marine, tutti abbiamo visto lo stupore negli occhi dei bambini, la voglia di capire dei grandi. La deposizione delle uova è stata sicuramente anche una grande occasione di divulgazione scientifica che è riuscita anche grazie al Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, all’Osservatorio toscano della biodiversità e all’Acquario dell’Elba, ma sono stati soprattutto i volontari (in grande maggioranza volontarie) organizzati da Isa Tonso a trasformarsi in divulgatori scientifici, sostenuti, formati, corretti quotidianamente dai ricercatori di Arpat, università di Siena, Otb, Istituto zooprofilattico e Tartamare.
L’uscita delle tartarughine dal nido e lo scavo sono diventati una prolungata lezione all’aperto, una magnifica occasione per vedere la natura e la scienza al lavoro e capire la passione con la quale i nostri malpagati ricercatori riescono – con le poche risorse disponibili – a mantenere un entusiasmo e una professionalità e una semplicità che dovrebbero renderci tutti orgogliosi.
Ma questi intensi, sfiancanti e lunghi giorni di sorveglianza, attesa e nascita hanno rivelato anche quanto un parte degli italiani sia lontana dalla natura e dalla scienza, come pensi che niente esista oltre l’addomesticato, il comprabile. Come la mamma premurosa che voleva comprare una tartarughina per regalarla al figlio che compiva gli anni (ma lo stupidario completo lo farà Legambiente Arcipelago Toscano nei prossimi giorni).
Per buona parte del campione di migliaia di italiani che in 60 giorni si è avvicinato al nido delle tartarughe marine, quei 103 esserini che ne sono usciti erano qualcosa di alieno, non riconducibile al loro vissuto di estranei alla natura, che quando va bene è ridotta a narrazione disneyana, che non capisce come “una mamma (tartaruga marina) possa abbandonare i figli sotto la sabbia” e “non aspettarli in mare”.
E’ il distacco crescente dal naturale, dalla comprensione del rete del vivente, è un mondo dove gli animali sono comparse televisive esotiche o personaggi parlanti di cartoni animati. Un mondo che per qualche magica notte la faticosa corsa delle tartarughine verso l’acqua buia e il mare infinito ha ricollegato a una storia che si svolge immutabile da milioni di anni, prima di noi e dei nostri regali viventi da compleanno e probabilmente dopo di noi. Almeno se riusciremo a ri-comprendere il meraviglioso e fragile miracolo della natura di cui facciamo parte e che ogni giorno mettiamo in pericolo.