Goletta Verde: nelle Marche la transizione ecologica passa anche dalla tutela della biodiversità marina
Legambiente: sbloccare l’iter istitutivo delle aree marine protette approvate dal parlamento fin dagli anni ’90 e non ancora avviate
Accelerare l’iter istitutivo delle AMP Costa del Conero e Costa del Piceno in stallo ormai da anni
[1 Agosto 2023]
«Nella protezione e la salvaguardia degli ecosistemi marini, le Marche sono ancora all’anno zero: 0% di superfice marina efficacemente protetta». A denunciarlo è Legambiente che, in occasione della tappa di Goletta Verde a San Benedetto del Tronto (AP), ha organizzato l’incontro “La costa marchigiana verso la transizione ecologica: turismo, pesca, aree protette” indicando la strada da seguire sulla costa marchigiana, «A partire dall’immediata istituzione delle aree protette, previste e non ancora rese operative. Occorre recuperare il grave ritardo e accelerare l’iter istitutivo delle aree marine protette della Costa del Conero (il cui iter istitutivo è fermo dal 2014) e quello della Costa del Piceno (fermo dal 2008). Tali aree marine protette sono richieste da comitati, operatori della pesca e turistici, cittadini, ricercatori e da molti amministratori locali; tuttavia, la Regione non esercita adeguatamente il suo ruolo di indirizzo e guida per la loro istituzione».
A livello nazionale, Legambiente chiede «Lo sblocco dell’iter istitutivo di tutte le altre aree marine protette, previste da leggi approvate dal parlamento fin dagli anni ’90 e non ancora avviate. Si tratta di rendere operative alcune decine di aree marine e costiere con celerità, nonché di procedere con l’avvio dell’istituzione di altre aree marine e costiere, proposta ex novo dall’associazione sulla base di studi e ricerche completate in questi anni. Si parla di oltre 40 nuove aree protette (parchi nazionali e regionali, aree marine protette e riserve), che garantirebbero la tutela della biodiversità marina e costiera del nostro paese, oltre a raggiungere gli obiettivi previsti della Strategia nazionale per la biodiversità».
Il Cigno Verde ricorda al Governo Meloni che «Tali obiettivi rappresentano uno dei pilastri per raggiungere le finalità della Strategia dell’Ue sulla biodiversità al 2030. Questa prevede anche la creazione di una rete coerente e ben gestita di zone protette, comprendenti almeno il 30% della superficie terrestre e marina nell’ambito dell’Unione europea, di cui almeno un terzo sottoposte a tutela rigorosa, e che è lo strumento più efficace per frenare la perdita di biodiversità le cui cause principali sono rappresentate: dallo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche (sovra pesca), dalla presenza di specie aliene invasive, dalle alterazioni fisiche dell’ambiente e inquinamento (dovute a dragaggi, costruzioni costiere, pesca a strascico, sostanze tossiche, eccesso di nutrienti, ma anche ai rifiuti e, tra questi, soprattutto alle plastiche). Senza contare che negli ultimi anni i cambiamenti climatici e l’acidificazione degli oceani sono stati – e saranno sempre più – tra le principali cause di perdita di biodiversità. Tali questioni riguardano soprattutto il Mar Mediterraneo che, pur avendo una superficie pari a circa l’1% di quella di tutti gli Oceani, ospita oltre 12.000 specie marine, ovvero tra il 4 e il 12% della biodiversità marina mondiale. Per questo, il Mare Nostrum è considerato ufficialmente un “hot spot” mondiale della biodiversità marina».
Antonio Nicoletti, responsabile ufficio aree protette e biodiversità di Legambiente, evidenzia che «La tutela della biodiversità è un impegno che deve coinvolgere tutti, per centrare l’obiettivo della salvaguardia del 30% del territorio, a mare e a terra, di cui il 10% rigidamente protetto e ripristinare il 20% degli ecosistemi entro il 2030 come ci chiede l’Europa Occorre essere lungimiranti perché la risorsa mare è limitata, soprattutto in un hotspot sotto pressione dal cambiamento climatico e dalle attività antropiche come l’Adriatico. Quindi il primo step è completare l’istituzione delle aree marine protette come quella del Conero e del Piceno, già previste dalla legge ma non ancora realizzate».
Tra le altre azioni per la tutela del mare e la biodiversità, Legambiente mette al centro anche l’importanza di rivedere il metodo della pesca attuale: «Oggi l’Adriatico è in forte stress per gli stock ittici sovrasfruttati e per essere un’area intensamente sfruttata dalla pesca a strascico e dalle reti da posta per via delle sue caratteristiche, fondi molli e privi di asperità. Per questo è importante che le Marche accelerino il passo per favorire la piccola pesca artigianale. Solo un’efficace gestione dei sistemi di pesca selettiva e sostenibile, praticata soprattutto dagli operatori della piccola pesca artigianale, può rappresentare l’unico modo per garantire che tale attività continui a sostenere la produzione di cibo nel rispetto della biodiversità e del mare».
Per la tutela di habitat e specie a rischio Legambiente sono in corso 4 progetti, cofinanziati dal Programma LIFE dell’Unione Europea, quali: Life Delfi, Life Elife Project, Life SeaNet e Life Turtlenest. I primi 2 puntano a sviluppare modelli di gestione sostenibili delle interazioni fra delfini, squali e mondo della pesca, l’obiettivo di Life SeaNet è quello di migliorare la gestione dei siti marini della Rete Natura 2000 e aumentare la conoscenza della Rete e del suo ruolo nella conservazione della biodiversità marina. Infine, Life Turtlenest mira a tutelare la nidificazione delle gtartarughe marinei Caretta caretta nel Mediterraneo occidentale.
Marco Ciarulli, presidente Legambiente Marche, ha concluso: «Come per l’Italia, anche per le Marche è arrivato il momento di scegliere un modello di sviluppo sostenibile che tenga conto delle peculiarità del mare e delle specie a rischio La protezione degli ecosistemi marini e la conservazione delle specie passa dall’istituzione di aree marine protette, che potrebbero portare benefici socio-economici alle comunità locali. Per darne un segno tangibile potremmo citare il progetto Life Delfi con cui stiamo coinvolgendo il mondo della pesca professionale per far sì che vengano diffusi e utilizzati strumentazioni di nuova generazione e a basso impatto ambientale al fine di ridurre il fenomeno delle catture accessorie. Un doppio danno: per i delfini e mammiferi marini che, impigliati nelle reti, ne restano vittime e per i pescatori che subiscono perdite economiche a seguito di danni alle attrezzature e sospensione delle attività».