L’impatto degli esseri umani sulle dimensioni spaziotemporali invisibili della biodiversità
Gli animali selvatici che vivono vicini agli esseri umani si incontrano (e scontrano) più frequentemente di quanto accada in luoghi più selvaggi
[23 Gennaio 2023]
Lo studio “Human disturbance compresses the spatiotemporal niche”, pubblicato recentemente su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un team di ricercatori del Department of Forest and Wildlife Ecology dell’università del Wisconsin – Madison, ha utilizzato le foto di oltre 2.000 trappole fotografiche del programma Snapshot Wisconsin del Wisconsin Department of Natural Resources (DNR) per determinare la vicinanza nello spazio e nel tempo di animali di varie specie. I ricercatori dicono che «Il tempo tra la comparsa di specie diverse di fronte alle fototrappole è stato significativamente più breve nelle aree più vicine al disturbo umano, il che significa che è probabile che interagiscano più spesso quando le persone sono vicine».
I risultati dello studio L’ipotesi della compressione. Cioè, come spiegano i ricercatori, «L’idea che l’invasione da parte delle attività antropiche comprime lo spazio e il tempo condivisi dagli animali, facendoli avvicinare tra loro e rendendoli più propensi a incontrarsi». Un’altra scuola di pensiero, l’ipotesi dell’espansione, prevede meno interazioni perché alcuni tipi di animali (come i predatori) verrebbero sproporzionatamente sostituiti dalle persone».
Secondo il principale autore dello studio, Neil Gilbert, «La compressione funziona come una festa in casa. Più persone si ammassano ad una festa, meno spazio di manovra avranno e più è probabile che qualcuno ti pesti i piedi». Anche se non tutte le specie sono distrurbate dall’attività umana – in particolare scoiattoli e cervi prosperano vicino alle persone – per i ricercatori una cosa è chiara: «Gli animali che vogliono evitare il contatto umano devono accontentarsi di meno spazio di manovra».
Un altro autore dello studio, Ben Zuckerberg, che insegna Forest and Wildlife Ecology all’UW-Madison, ricorda che «Abbiamo convertito oltre il 40% della superficie terrestre ad usi antropogenici, territori urbanizzati, paesaggi agricoli. Possiamo considerarla una forma piuttosto importante di perdita di habitat per molte specie».
Il modo in cui tale perdita influisce sul comportamento e sulle relazioni degli animali può essere difficile da studiare. Taggare singoli animali o piccoli gruppi con dispositivi di localizzazione fornisce una visione troppo ristretta per studiare le interazioni a livello di comunità. Ma Snapshot Wisconsin, un’iniziativa scientifica comunitaria che recluta volontari per posizionare fototrappole su terreni pubblici e privati, ha migliaia di siti in tutto lo Stato e produce milioni di foto che equivalgono a un monitoraggio quasi continuo degli animali che si spostano attraverso una vasta gamma di territori ed habitat.
Jennifer Stenglein, ricercatrice di Snapshot Wisconsin e coautrice dello studio, spiega a sua volta che «Snapshot Wisconsin supporta il processo decisionale del DNR, rispondendo a domande importanti su specie come alci e cervi. Ma, quando qualcuno come Neil diventa creativo con questo grande dataset, può anche spingere allo sviluppo di studi teorici». Infatti, Gilbert ha tirato fuori quasi 800.000 foto di animali dall’archivio di Snapshot Wisconsin e, basandosi sulle immagini satellitari della NASA, ha assegnato a ciascunoa dei quasi quasi 2.000 siti con fototrappole una valutazione a seconda del livello di disturbo antropico entro 5 chilometri: aree come quelle nella foresta nazionale sono finite nella fascia bassa e le aree urbanizzate o agricole nella fascia alta,.
I ricercatori della WU hanno anche raggruppato 18 specie osservate in 74 coppie e le hanno ordinate in base alla probabilità che un incontro diventi violento, la classifica va da coppie a basso antagonismo come puzzole e conigli a coppie ad alto antagonismo come cervi e coyote. Quindi hanno misurato il tempo tra le apparizioni nei singoli siti delle fototrappole di un animale di ciascun membro di una coppia.
Gilbert sottolinea che «La separazione temporale è il nostro proxy per un incontro. Se una fototrappola riprende uno scoiattolo e poi un minuto dopo riprende un coyote, è più probabile che questi due animali interagiscano piuttosto che se fosse uno scoiattolo e poi tre settimane dopo un coyote».
Nei territori a basso disturbo, per le coppie di specie valutate nello studio sono passati in media 6,1 giorni tra i rilevamenti della fototrappola, ma nei territori a disturbo elevato solo 4,1. Le coppie di specie ad elevato antagonismo sono quelle per le quali è passato più tempo prima che si incontrassero e le coppie a basso antagonismo quelle che per le quali c’è voluto meno tempo per incontrarsi, «Ma la tendenza si è mantenuta per ciascun gruppo – fanno notare i ricercatori – più erano vicini ai disturbi umani, minore era il tempo tra le probabili interazioni».
Zuckerberg commmenta: «Questa è una grande domanda in ecologia: in che modo il disturbo umano influisce sulla fauna selvatica? Stiamo chiaramente vedendo che può cambiare le loro interazioni, Le prossime domande riguardano le sue ramificazioni. Porta a cambiamenti nella trasmissione delle malattie? Altera la predazione? Influenza cose come gli scontri tra veicoli e cervi?»
I ricercatori sperano che il loro studio aiuti le persone a comprendere l’ampio impatto che hanno nel cambiare non solo il numero di animali e le dimensioni del loro ‘habitat.
Zuckerberg caonclude: «Anche se solo in termini di animali nel nostro giardino, nei nostri dintorni, nel nostro vicinato, spero che questo incoraggi a pensare al nostro impatto come esseri umani su queste dimensioni invisibili della biodiversità».