L’impatto dei consumi sulla biodiversità. La soia “nascosta” nella carne, il formichiere gigante e la tortorina occhiblu
Come noi europei ci stiamo mangiando il 22% della biodiversità del Cerrado brasiliano
[29 Ottobre 2019]
Lo studio “Linking global drivers of agricultural trade to on-the-ground impacts on biodiversity”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America (PNAS).da un team internazionale di ricercatori guidati dallo Stockholm Environment Institute (SEI) rivela che «I mercati globali del consumo potrebbero essere responsabili di oltre la metà dell’impatto dell’espansione della produzione di soia su specie rare in una delle regioni più biodiversa del mondo, la savana del Cerrado», in Brasile.
Lo studio calcola la quota di questo impatto che può essere attribuita ai consumatori in diversi Paesi del mondo e ne viene fuori che più della metà (il 55%) dell’impatto è attribuibile al cibo e ad altri prodotti che vengono consumati al di fuori del Brasile, con il 22% attribuito al consumo in Cina e il 15% al consumo nell’Unione europea.
Al SEI ricordano che «Il consumo di materie prime agricole commercializzate a livello globale come la soia e l’olio di palma è una delle principali cause di deforestazione e perdita di biodiversità in alcuni degli ecosistemi più ricchi di specie del mondo. Tuttavia, la complessità delle catene di approvvigionamento globali ha confuso gli sforzi per ridurre gli impatti. Le imprese e i governi che hanno assunto impegni per la sostenibilità fanno fatica a comprendere i loro modelli di approvvigionamento, mentre le attività di diversi protagonisti senza scrupoli sono convenientemente mascherate dall’opacità del commercio globale».
Mettendo insieme lo stato dell’arte del flusso di materiali e i modelli di impatto economico, commerciale e sulla biodiversità, compresi i dati di Transparent supply chains for sustainable economies (Trase) e il modello Input-Output Trade Analysis (IOTA) del SEI, gli autori dello studio hanno realizzato un approccio innovativo per comprendere gli impatti del commercio sulla perdita di biodiversità e i ruoli di mercati e attori remoti. Poi lo hanno usato per studiare gli impatti dell’espansione della produzione di soia nel Cerrado brasiliano, che ospita oltre il 5% delle specie del mondo ma che viene rapidamente convertito ad uso agro-industriale.
Hanno così scoperto che «Modelli di approvvigionamento diversi dei Paesi consumatori e delle società commerciali provocano impatti sostanzialmente diversi sulle specie endemiche. Le connessioni tra singoli acquirenti e specifici hotspot spiegano gli impatti sproporzionati di alcuni attori sulle specie endemiche e sulle singole specie minacciate, come il particolare impatto dei consumatori dell’Unione Europea sulle recenti perdite di habitat per l’iconico formichiere gigante ( Myrmecophaga tridactyla )».
Rendendo espliciti questi collegamenti, l’approccio consente potenzialmente agli acquirenti e agli investitori di materie prime di indirizzare molto meglio i loro sforzi per migliorare la sostenibilità delle loro catene di approvvigionamento, trasformando allo stesso tempo la capacità di monitorare l’impatto di tali impegni nel tempo.
Uno degli autori dello studio, Paz Durán dell’Universidad Austral de Chile, spiega che «I nostri risultati sottolineano che la perdita di biodiversità locale è un problema globale. Sebbene sia le aziende che i consumatori stiano prestando sempre maggiore attenzione al costo ambientale dei prodotti, la natura complessa delle catene di approvvigionamento internazionali può comportare la perdita dei legami tra un prodotto e la sua impronta ambientale».
Il principale autore dello studio, Jonathan Green del SEI e dell’università di York, evidenzia che «Il nostro nuovo metodo rivela collegamenti specifici tra paesi consumatori, commercianti, produzione di soia e perdita di habitat. Questo tipo di conoscenza può essere preziosa per aiutare le aziende e paesi per procurarsi fonti più sostenibili e investire in un’agricoltura meno ecologicamente dannosa».
Il team internazionale di ricercatori ha esaminato gli impatti su oltre 400 specie vegetali e animali che dipendono fortemente o esclusivamente dagli ecosistemi del Cerrado (cioè che avevano almeno il 70% del loro areale all’interno del Cerrado), nonché una manciata di specie più “carismatiche” non endemiche, come il già citato formichiere gigante, scoprendo che «L’86% della perdita di areale del formichiere gigante nel Cerrado si è verificata nello Stato del Mato Grosso», causato in particolare dal consumo di prodotti contenenti soia “incorporata” in Brasile, Cina e Ue. Ma specie ancora più dipendenti dal Cerrado come il picchio di Kaempfer (Celeus torquatus) e la tortorina occhiblu (Columbina cyanopis) si trovano in una situazione ancora più precaria.
Inoltre, i ricercatori hanno collegato gli impatti sulla biodiversità del Cerrado a specifici modelli di consumo: al sei spiegano che «La stragrande maggioranza della soia raggiunge i consumatori “incorporata” in altri prodotti, in particolare nella carne e nei prodotti lattiero-caseari provenienti dal bestiame alimentato a base di alimenti contenenti soia, che è preferita per il suo alto contenuto di proteine».
LO studio dimostra che nei principali mercati europei come Germania, Regno Unito, Italia e Paesi Bassi, il consumo di prodotti a base di carne non di manzo (compresi maiale, pollo e agnello) nutriti con soia del Cerrado ha avuto un impatto maggiore sulla biodiversità rispetto al consumo di soia di prodotti a base di carne bovina: circa il 305 dell’impatto è stato collegato alle “altre carni”, rispetto al 10-12% per la carne bovina. Tuttavia, a livello globale gli impatti erano all’incirca uguali (rispettivamente al 14% e al 13%), cifre che includono tutte le carni di bestiame alimentato con soia del Cerrado, allevate all’interno o all’esterno del Brasile.
La principale scoperta scientifica evidenziata dallo studio è il collegamento di un modello di flussi finanziari internazionali con un modello dettagliato a livello subnazionale di produzione e commercio di soia sviluppato da Trase per collegare la deforestazione al consumo finale. Questo ha permesso ai ricercatori di stimare le perdite per ogni specie dell’habitat, in modo da poter ricavare una misura dell’impatto della biodiversità che tiene conto delle differenze specifiche delle specie in termini di dimensioni, sensibilità al cambiamento dell’utilizzo del suolo e perdita storica dell’habitat.
Un altro degli autori dello studio, Andrew Balmford dell’università di Cambridge fa notare che «Il progresso più entusiasmante nel mettere insieme questi dataset e modelli sofisticati è il livello di responsabilità che rende possibile: ora possiamo iniziare a vedere esattamente quali compagnie e consumatori stanno danneggiando le specie minacciate, dove, come e con dettagli senza precedenti». ”
Il direttore di Trase, Toby Gardner del SEI ha concluso: «Questi risultati mostrano che è possibile utilizzare i dataset esistenti per vedere attraverso la rete intricata del commercio globale, dandoci le informazioni dettagliate di cui abbiamo bisogno per escogitare soluzioni. Speriamo che nel prossimo futuro questa metodologia possa essere estesa ad altri prodotti e ecosistemi agricoli».