L’impatto dell’insediamento umano sulla biodiversità delle isole
Come la colonizzazione umana ha alterato le foreste nelle isole della Macaronesia, inclusa la perdita di autenticità del territorio
[18 Ottobre 2021]
Gli ecosistemi delle isole oceaniche sono unici e spesso contengono specie limitate a isole o gruppi di isole specifici. Sono anche vulnerabili ai disturbi. Lo studio “Anthropogenic transitions from forested to human-dominated landscapes in southern Macaronesia”, pubblicato recentemente su Proceedings of the National Academy of Science (PNAS) da un team di ricercatori delle università La Laguna (Spagna), Southampton e Oxford Regno Unito) e Copenhagen (Danimarca), fornisce una nuova prospettiva sulla cambiamento storico degli ecosistemi forestali nella Macaronesia meridionale. Il team guidato da Álvaro Castilla Beltrán e Lea de Nascimento dell’Universidad de La Laguna e da Sandra Nogué, dell’università di Southampton, ha analizzato i sedimenti, delle spore e dei pollini fossili per comprendere meglio l’impatto dell’arrivo dell’uomo nelle Isole Canarie e nelle Isole di Cabo Verde, avvenuto in tempi diversi e anche con conseguenze diverse.
I ricercatori spiegano che « Attraverso un’analisi comparativa dei dati paleoecologici provenienti da diverse isole (Gran Canaria e La Gomera, nelle Isole Canarie; e Santo Antão, São Nicolau e Brava, a Cabo Verde), vengono confrontati i modelli di cambiamento nella vegetazione, nei regimi degli incendi e nell’erosione causata .dall’uomo che ha colonizzato questi arcipelaghi negli ultimi 10.000 anni». La novità dello studio è il confronto delle conseguenze ambientali a lungo termine dell’impatto umano su queste isole dove sono state applicate le stesse metodologie di studio, e rivela un modello di forte impatto legato all’arrivo e all’insediamento dell’uomo su queste isole».
Nelle Isole Canarie i cambiamenti sono stati rilevati fin dalla preistoria, con l’arrivo dei primi coloni, mentre a Cabo Verde, che non aveva insediamenti pre-europei, l’impatto si verifica con la colonizzazione portoghese in epoca storica. Ma all’Universidad de La Laguna fanno notare che, «Indipendentemente da quando si verificano i cambiamenti rilevati nelle registrazioni paleoambientali, i risultati seguono schemi simili: con l’arrivo dell’uomo sulle isole si registra un aumento della frequenza degli incendi, un aumento delle spore che indicano la presenza di erbivori domestici, una aumento dell’erosione del suolo e un cambiamento nella composizione delle specie e nella copertura forestale. Ovvero, sin dai primi momenti dell’insediamento nelle isole, si svolgono attività (diradamento della vegetazione, incendi, pascolo, coltivazioni) finalizzate all’ottenimento di risorse (legna, combustibile, cibo) per la sopravvivenza e lo sviluppo di dette popolazioni, che causano cambiamenti ambientali». Lo studio dimostra anche che le conseguenze di queste attività si manifestano a diversi livelli, interessando in modo particolare ogni ecosistema e isola e che «I più colpiti sono stati gli ecosistemi situati nelle aree più adatte all’insediamento umano (buon clima, acqua, suoli fertili e risorse forestali). In entrambi gli arcipelaghi l’impatto si è concentrato soprattutto nelle foreste termofile, che nel caso di Cabo Verde sono arrivate a provocare l’omogeneizzazione dei paesaggi sommitali e, nelle Isole Canarie, una riduzione molto significativa della loro estensione, in modo che oggi sono le foreste più minacciate della Macaronesia. In confronto, ecosistemi come le foreste di alloro di La Gomera mostrano cambiamenti meno drastici e una tendenza alla continuità dall’arrivo degli aborigeni nelle Isole Canarie».
La Nogué Bosch, docente di scienze paleoambientali all’università di Southampton, sottolinea che « Mettere a confronto la storia a lungo termine di diversi ecosistemi, come le foreste insulari, aiuta a mettere in prospettiva la forza trasformativa che l’umanità sta scatenando in tutto il mondo».
Lo studio si basa su dati derivati dall’analisi di pollini e spore fossili, particelle di carbonio e analisi elementare dei sedimenti per rilevare i cambiamenti nei territori. Questi indicatori paleoambientali sono stati estratti da bacini, come le caldere vulcaniche, che hanno accumulato sedimenti su scale temporali molto lunghe (da decine a migliaia di anni). I ricercatori spiegano ancora: «L’accumulo di sedimenti con resti di organismi che vivevano nei dintorni di questi bacini di solito avviene in modo progressivo, il che consente di analizzare quali specie di piante hanno vissuto in ciascun luogo in momenti diversi della storia. Allo stesso modo, le spore che crescono specificamente sugli escrementi degli erbivori consentono di identificare il momento in cui le attività zootecniche sono state introdotte nell’ambiente idrografico. In questi ambienti, invece, si depositano i frammenti carboniosi originatisi durante la combustione della biomassa vegetale, indice del verificarsi degli incendi e della frequenza con cui si verificano. Infine, l’analisi degli elementi chimici nei sedimenti stessi indica processi legati alla formazione e all’erosione del suolo nell’intorno dei bacini».
Per gli scienziati «I risultati di questo tipo di ricerca paleoecologica sono fondamentali per capire come erano le foreste del passato e come sono cambiate da quando l’uomo è arrivato sulle isole. In particolare, le informazioni ecologiche sulla dinamica, composizione ed estensione di queste foreste nel passato sono molto utili per programmare il loro ripristino ecologico, indicando aspetti come quali ecosistemi e specie sono prioritari per tali azioni di ripristino».
Una delle autrici dello studio, Mary Edwards, professoressa di geografia fisica all’università di Southampton, aggiunge: «Ci auguriamo che le istituzioni locali e internazionali che affrontano le sfide ambientali nella regione possano utilizzare le nuove conoscenze sulla composizione e la variabilità degli ecosistemi del passato per ripristinare i parchi naturali e altre parti dei territori insulari».
Anche Castilla-Beltrán è convinto che «Queste prove sugli ambienti del passato forniscono prove preziose su come le foreste hanno risposto alle azioni umane e sul modo migliore per ripristinare questi territori, che in alcuni casi hanno subito gravi trasformazioni e perdita di specie».
Il team prevede di continuare a utilizzare metodologie all’avanguardia per essere in grado di rispondere a queste domande, liberando il potenziale degli strumenti geochimici e cercando il DNA antico conservato nei sedimenti. Dopo aver analizzato le conseguenze dell’impatto umano sulle Isole Canarie e su Capo Verde, il team prevede di continuare i suoi studi in altri arcipelaghi per approfondire l’evoluzione degli habitat insulari.
Nogué Bosch conclude: «Altre importanti questioni di ricerca rimangono aperte, ad esempio, qual è stato il ruolo di un clima che cambia in questi processi in passato e in che modo il riscaldamento globale influenzerà gli ecosistemi futuri? Qual è stato l’impatto locale di fenomeni naturali estremi come le eruzioni vulcaniche – come quella attualmente attiva a La Palma – e in che modo la vita dell’isola ha cambiato le culture di coloro che ci si sono insediati? Continueremo anche il lavoro su altri arcipelaghi per fornire una nuova prospettiva dell’impronta umana in questi affascinanti territori».