L’invasione delle locuste in Africa e Asia potrebbe trasformarsi in una nuova emergenza migratoria
L’invasione delle locuste del deserto colpa dei nostri sbagli, del cambiamento climatico e delle guerre
[23 Marzo 2020]
Mentre è ancora in piena emergenza coronavirus, la Corea del sud ha donato 200.000 dollari al governo del Pakistan per aiutarlo a rispondere alla peggiore infestazione di locuste in più di 20 anni: «Simpatizzando con la sofferenza e per i danni agli agricoltori pakistani causati dalle locuste del deserto, il governo coreano ha deciso di partecipare ad aiutare gli sforzi di soccorso del governo pakistano – ha dichiarato l’ambasciatore sudcoreano a Islamabad Kwak Sung-Kyu – Spero che questo sostegno servirà come un buon momento per migliorare la cooperazione agricola bilaterale tra Corea e Pakistan, incluso il progetto attualmente in corso per istituire un centro KOPIA in Pakistan».
Il contributo verrà erogato attraverso il World food programme (Wfp/Pam) e la Fao e andrà a sostenere i piccoli agricoltori che sono maggiormente a rischio di carenza alimentare a causa della crisi. Il rappresentante della Fao in Pakistan, Minà Dowlatchahi, ha aggiunto che «Gli sforzi concertati aiuteranno a far fronte all’imminente minaccia delle locuste del deserto per garantire sicurezza alimentare, l’alimentazione e agricoltura sostenibile». E il direttore nazionale del Wpf/Pam, Chris Kaye, ha sottolineato: «Siamo grati per il sostegno tempestivo della Repubblica di Corea. La nostra priorità non è solo aiutare le comunità a proteggere i loro raccolti e mezzi di sussistenza, ma anche costruire la loro capacità di resilienza in modo che possano resistere meglio a questi shock in futuro».
E il punto è proprio questo ed è ancora più evidente in Africa Orientale. Dove l’invasione delle locuste è la più estesa e dannosa avvenuta in Kenya negli ultimi 70 anni, in Etiopia e Somalia negli ultimi 25 anni e sta mettendo in pericolo i raccolti annuali in Eritrea, Sud Sudan, Uganda e Tanzania.
La portavoce del Wpf/Pam, Elisabeth Byrs, ha avvertito che «L’epidemia migratoria più pericolosa del mondo è l’infestazione di locuste che sta devastando l’Africa Orientale, perché minaccia l’alimentazione di 13 milioni di persone in una regione già colpita da alluvioni o da siccità, conflitti armati e crisi economiche».
Secondo la Fao, uno sciame di locuste che si posa su un Km2 di territorio può contenere 150 milioni di locuste che sono in grado di mangiare il proprio peso ogni 24 ore, consumano i raccolti che avrebbero dato da mangiare a 35.000 persone in un giorno e le nubi di locuste si spostano rapidamente, anche di 100 – 150 km in un solo giorno, il che complica le operazioni per il loro controllo, come le fumigazioni, mentre gli insetti divorano in media 200 tonnellate di vegetali, preferendo le coltivazioni, adattandosi tranquillamente ai diversi ecosistemi che incontrano. .
In Etiopia, Kenya e Somalia l’infestazione avrebbe già colpito 9,7 milioni di persone, altri 3,2 milioni in Sud Sudan e Uganda e nessuno sa davvero cosa sta succedendo dall’altra parte del Mar Rosso, nello Yemen in guerra dove, approfittando del coronavirus, è sbarcato alla chetichella un contingente di soldati statunitensi per sostenere i sauditi e i loro alleati sunniti in difficoltà per la resistenza e la controffensiva delle milizie sciite sunnite che controllano la capitale Sana’a e gran parte del nord del Paese. Ma il 18 marzo avanguardie di sciami di locuste venivano segnalati anche in Arabia saudita ed Oman e nell’Iran orientale ai confini col Pakistan.
Le locuste del deserto (Schistocerca gregaria) sono ormai diventate un disastro ricorrente in una fascia desertica e semidesertica che va dalla Mauritania fino alla Cina, ma le più grandi infestazioni ci sono state in Africa Occidentale nel 2003 – 2005 e nel Corno d’Africa nel 2016 e nel 2019.
Secondo gli esperi della Fao le gigantesche infestazioni di locuste hanno origini precise: la mancanza di pioggia e l’innalzamento delle temperature danno il via ai focolai iniziali, costringendo questi insetti a cercare aree più verdi per potersi sfamare e il pericolo cresce quando ci sono state piogge torrenziali. E’ la tempesta perfetta e sempre più ricorrente creata in Africa orientale dal cambiamento climatico e che – in Paesi che sono in gran parte ex colonie italiane – si va ad aggiungere a guerre eterne e crisi economiche che hanno compromesso le condizioni di vita e la possibilità d sviluppo per milioni di persone. E’ la marea montante che spinge fin sulle nostre coste migranti e profughi che sono sia ambientali che politici.
Se Paesi come il Kenya e l’Etiopia hanno maggiori risorse dei loro vicini e contrastano l’invasione delle locuste anche fumigando insetticidi dagli aerei, Stati falliti come la Somalia o mai davvero nati come il Sud Sudan – che ha dichiarato l’emergenza nazionale locuste appena dopo aver firmato la pace tra governo e opposizione – non sono praticamente in grado di prendere nessuna iniziativa di contrasto autonoma.
La Byrs ha annunciato che «Per il Sud Sudan, 12 milioni di abitanti, dove la carestia di cibo raggiunge il punto più alto tra i mesi di maggio e luglio, il Wpf/Pam ha lanciato un piano di risposta umanitaria che potrebbe aiutare 5 milioni di persone a, però richiede di mettere insieme 208 milioni di dollari per renderlo possibile. Il costo per rispondere ai problemi di sicurezza alimentare che si verificherebbero in seguito sarebbe 15 volte maggiore rispetto a prevenire la diffusione dell’infestazione ora».
Le agenzie Onu temono che la lotta contro il coronavirus – e la crisi economica post-coronavirus che si annuncia – nei Paesi sviluppati faccia dimenticare che nel mondo ci sono più di 100 milioni di persone a rischio fame e disastri naturali e che queste si possono trasformare in ondate ingestibili di profughi che, come facciamo noi oggi chiudendoci nelle nostre ben fornite case, cercheranno di fuggire dalle loro case diventate polvere o dai loro campi divorati dalle locuste.
Sembra la descrizione delle piaghe bibliche, ma dietro tutto questo non c’è niente di divino: c’è la mano dell’uomo che ha cambiato il clima e la globalizzazione delle merci che ha permesso a un virus già veloce per conto suo di spostarsi comodamente in aereo da un capo all’altro del pianeta.
Come spiegava recentemente su The Guardian, Keith Cressman, esperta di infestazioni di locuste della Fao, «E’ stato il ciclone Mekunu, che ha colpito nel 2018, che ha permesso a diverse generazioni di locuste di avere la sabbia umida e la vegetazione per poter prosperare nel deserto tra Arabia Saudita, Yemen e Oman noto come Empty Quarter, allevando e formando in sciami divoratori di raccolti». Quandi tutto sembrava finalmente finito, è arrivato un secondo ciclone nell’area e «Questo ha permesso che continuassero a esserci condizioni favorevoli per allevare un’altra generazione, quindi invece di aumentare di 400 volte, sono aumentate di 8.000 volte. Di solito un ciclone porta condizioni favorevoli per circa 6 mesi e quindi l’habitat si secca, non è più favorevole alla riproduzione e [le locuste] muoiono e migrano. La quantità di cicloni nell’area sembra aumentare, rendendo probabile che anche gli sciami di locuste diventeranno più comuni».
Accanto all’impatto dell’emergenza climatica, un altro fattore chiave è la guerra nello Yemen. La Cressman ha ricordato che «Lo Yemen è un Paese in prima linea per le locuste, con questi insetti che sono normalmente presenti durante tutto l’anno. Ma il suo Locust programme un tempo efficace non ha più lo stesso impatto in città il cui il controllo è ora diviso tra il governo e i ribelli Houthi».
Adel al-Shaibani, a capo del Locust programme Yemenita, vive nella capitale Sana’a governata dagli sciiti Houthi e ha confermato che «Prima della guerra avevamo una buona capacità di andare ovunque nello Yemen. In questi tempi siamo solo in grado di coprire le aree costiere del Mar Rosso – ma non tutte – e alcune aree all’interno. Nello Yemen ci sono due centri di controllo delle locuste separati, ma nessuno dei due è in grado di combattere efficacemente l’epidemia da solo. Il centro con sede a Sana’a nel 2018 ha effettuato operazioni di controllo ovunque, ma siamo stati insufficientemente finanziati e abbiamo perso alcuni dei nostri veicoli. Nonostante tutti i nostri sforzi, alcune aree sono rimaste fuori controllo per motivi di sicurezza vicino al confine con l’Arabia Saudita. Proprio lì si è verificato un focolaio di locusta del deserto e alcuni sciami si sono formati e si sono trasferiti in altre aree».
Sono queste le locuste che alla fine del 2019 hanno raggiunto il Corno d’Africa, trovando condizioni favorevoli quando un ciclone ha colpito la Somalia a dicembre, consentendo alle locuste di prolungare il loro periodo riproduttivo e di diffondersi in aree controllate dalle milizie jihadiste wahabite degli Al-Shabaab o da tribù ostili al governo di Mogadiscio e dove nessuno è potuto intervenire per motivi di sicurezza.
Cyril Piou, del Centre de coopération internationale en recherche agronomique pour le dévelopment, ha detto a The Guardian che «Questa crisi potrebbe essere piuttosto lunga a causa delle aree yemenite e somale che non possono controllare le popolazioni. Nei decenni precedenti le infestazioni di locuste erano durate solo circa due anni ma, senza sistemi preventivi, dureranno più a lungo, si verificheranno più frequentemente e si diffonderanno ulteriormente. Siamo tutti collegati in qualche modo, ciò che sta accadendo da qualche altra parte ci riguarda tutti».
L’ultimo focolaio di locuste paragonabile a quello attuale risale alla fine degli anni ’40 e ’50, ma la Cressman disse fa notare che allora «Il monitoraggio e la comunicazione erano un processo lento e ingombrante e i pesticidi chimici non erano prontamente disponibili per le operazioni di controllo».
Storicamente, il Golfo Persico è colpito da pochissimi cicloni, ma nell’ultimo decennio sono aumentati a causa del dipolo dell’Oceano Indiano, un fenomeno ciclico naturale che porta a inondazioni lungo le coste dell’Oceano Indiano occidentale e a siccità ad est e a grandi incendi in Australia. Tutto questo sembra essere mutato e accelerato.
La Cressman, parte del cui lavoro consiste nello studiare le condizioni storiche per comprendere gli sviluppi attuali, ha concluso su The Guardian; «I cambiamenti nel comportamento del clima hanno reso questo difficile. Questa metodologia di previsione analoga funzionava abbastanza bene fino a cinque anni fa, e non funziona più molto bene a causa della pioggia, delle tempistiche, della distribuzione. E’ molto diverso».
E’ il mondo diverso e complicato che dobbiamo capire a al quale dobbiamo adattarci tutti, costruendo tutti insieme una comune resilienza umana e ambientale, se non vogliamo che dai nostri sbagli nasca una nuova barbarie come quella che sta già colpendo lo Yemen e la Somalia e che si espanda nel mondo e nei nostri cervelli come uno sciame inarrestabile di locuste del deserto.