Lo strano caso del pappagallo in estinzione per la crescita degli alberi autoctoni (VIDEO)
L’infittimento degli alberi autoctoni nella savana impedisce al pappagallo spalledorate di vedere i predatori che lo attaccano
[9 Febbraio 2023]
Il 24 gennaio, la ministra dell’ambiente e della Grande Barriera Corallina, della scienza e della gioventù del Queensland, la laburista Meaghan Scanlon, ha detto che «I queenslanders lo hanno detto chiaramenteo: vogliono che continuiamo a proteggere il nostro ambiente e il nostro ottimo stile di vita. Questo annuncio si unisce al nostro investimento record di 262,5 milioni di dollari per espandere e creare nuovi Parchi nazionali e aree di conservazione per realizzare alla fine sui nostri 14 milioni di ettari di aree protette nel Queensland» e ha annunciato che «Più di 166.000 ettari di habitat critico, equivalenti alle dimensioni di Cairns, saranno protetti in una partnership tra il governo Palaszczuk del Queensland e un certo numero di proprietari di terreni nel nord dello Stato». La Scanlon si riferiva all’istituzione di due nature refuges, aree private protette ai sensi del Nature Conservation Act del Queensland che sono amministrati da un accordo di conservazione legalmente vincolante tra un proprietario terriero e il governo.
Il Mount Pleasant Nature Refuge, che si trova 45 chilometri a sud-ovest di Bowen, si espanderà a 1.540 ettari, con un incremento di 287 ettari. Due appezzamenti di terreno separati di circa 30.000 ettari diventeranno il nuovo Norfolk Nature Refuge e l’Herbertvale Nature Refuge, rispettivamente a 200 e 260 chilometri a nord-ovest del Monte Isa.
L’Artemis Antbed Parrot Nature Refuge si trova a 300 chilometri a nord-ovest di Cairns e protegge l’habitat vitale per il pappagallo spalledorate (Psephotellus chrysopterygius) in via di estinzione e altri animali selvatici. A questo nature refuge il governo del Queemsland ha aggiunto ben 103.059 ettari, per coprire un totale di 105.175 ettari. Tom e Sue Shephard, i proprietari di Artemis Antbed Parrot Nature Refuge. Sono contenti: «La nostraintenzione sempre stata quella di prenderci cura del Paese. Abbiamo vissuto su Artemis per la maggior parte della nostra vita e lo conosciamo e ce ne prendiamo cura profondamente. Abbiamo sempre cercato di fare le cose per bene, quindi la nostra attività diallevamento del bestiame è redditizia, ma ci occupiamo anche del pappagallo spalledorate e di altri animali selvatici. Quindi siamo molto felici e grati al governo del Queensland per la possibilità di estendere il nostro lavoro di conservazione».
Infatti, ad Artemis, nell’estremo nord dell’Australia, vive una delle ultime popolazioni di pappagalli spalledorate che fanno il nido nei termitai conici di cui è disseminata la zona. Ma, con la testa immersa in uno stretto tunnel, la femmina di pappagallo è vulnerabile e si affida al suo compagno, che sorveglia l’ingresso per dare l’allarme. Però, sempre più spesso, i pappagalli spalledorate nidificanti subiscono attacchi improvvisi di predatori come l’uccello beccaio dorsonero (Cracticus mentalis) che fa fuggire il coloratissimo maschio di pappagallo che strilla allarmato per avvertire la femmina che ormai non ha più nessuna possibilità.
Il pappagallo spalledorate, una delle specie di uccelli australiani più a rischio estinzione e, come spiega Smithsonian Magazine, deve affrontare un problema insolito: «In un Paese con uno dei peggiori record di estinzioni al mondo, la maggior parte delle minacce alle specie native proviene da predatori selvatici invasivi, come gatti e volpi, o da erbivori non nativi come maiali, cammelli e capre. Ma per il pappagallo spalledorate, la minaccia viene da alberi e arbusti autoctoni».
I termitaio dove nidificano le femmine un tempo erano circondati da praterie della savana, il che consentiva ai pappagalli maschi di vedere in anticipo i predatori e di dare l’allarme in tempo. Ora la savana è occupata da alberi e arbusti autoctoni, soprattutto da Niaouli (Melaleuca viridiflora), che hanno prosperato grazie a decenni di incendi incontrollati e di pratiche di pascolo dannose. Con gli alberi che bloccano la vista, i maschi sentinella non possono vedere in tempo predatori come l’uccello beccaio dorsonero, rapaci o i varani goanna. E con il numero di pappagalli spalledorate è pericolosamente basso e in declino, la specie non può permettersi di perdere nemmeno una femmina riproduttiva. Secondo lo studio “Action Plan for Australian Birds 2020”, il più completo sulle specie di uccelli australiani, in natura sopravvivono solo tra i 700 e i 1.100 pappagalli spalledorate.
La sopravvivenza dei Psephotellus chrysopterygius dipende ormai solo da un ripristino fondamentale e complicato, del territorio di Artemis, dove vive una delle sole due popolazioni rimaste di questi splendidi pappagalli. Un ripristino ambientale che, al contrario di quanto accade solitamente, richiede di eliminare non la vegetazione invasiva alloctona ma gli alberi autoctoni. Si tratta del più grande progetto di ripristino delle praterie nei tropici australiani e di una delle ultime possibilità per il pappagallo dalle spalle dorate, ma nessuno sa se funzionerà.
Nel 1801, l’artista botanico Ferdinand Bauer disegnò la prima immagine del pappagallo spalledorate, ma fu solo nel 1856 che il naturalista Joseph Elsey raccolse il primo esemplare, vicino a Normanton, a centinaia di miglia da Artemis. Sulla base di questo esemplare, l’ornitologo britannico John Gould lo chiamò il pappagallo spalledorate. Il successivo ritrovamento ufficiale della specie risale al 1913. Stephen Garnett ella Charles Darwin University, che studia l’interazione tra specie minacciate e comunità umane, spiega su Smithsonian Magazine che «Anche allora, la popolazione stava quasi certamente diminuendo». Ma nel 1922, il collezionista di uccelli William McLennan arrivò in un’area a nord di Artemis e scoprì che quasi tutti i termitai mostravano segni di nidificazione di pappagalli spalledorate.
In un secolo l’areale del Psephotellus chrysopterygius si è ridotto a una minuscola frazione del suo territorio precedente: restano due popolazioni, una di 483 miglia quadrate a nord con al centro Artemis, l’altra nel remoto Staaten River National Park a circa cento miglia a sud-ovest. Secondo Steve Murphy, ecologista e massima autorità sulla specie, «Negli anni ’90, c’erano circa 300 di questi uccelli ad Artemis. Adesso ce ne sono circa 50». In una proprietà vicina dove dieci anni prima vivevano molti pappagalli, una recente indagine non ha trovato un solo nido. Le stime attuali suggeriscono che non più di 500 pappagalli costituiscono la popolazione dello Staaten River, il resto vive ad Artemis e nelle proprietà circostanti.
A cuasare queste difficoltà ai pappagalli spalledorate e l’infittimento della vgetazione autoctona che ad Artemis si verifica a causa di quel che Murphy descrive come «Una complessa interazione tra incendi e pascolo del bestiame». Tradizionalmente, le comunità indigene praticavano incendi controllati all’inizio della stagione delle piogge, assicurandosi che l’umidità rimanesse nel suolo e che gli incendi non potessero bruciare incontrollati e spazzare via interi ecosistemi. Nelle aree bruciate le erbe si riprendevano subito e l’assenza di animali al pascolo permetteva loro di crescere vigorosamente e di fare ombra ai giovani alberi impedendone la crescita. Per gran parte del secolo scorso, l’allevamento del bestiame ha conquistato vaste aree dell’Australia e molte comunità indigene sono state cacciate dalle loro terre tradizionali. Senza il fuoco indigeno e altre pratiche di gestione del territorio, gli incendi incontrollati si sono diffusi e moltiplicati e quando il bestiame ha pascolato sui prati bruciati subito dopo l’incendio, ha creato le condizioni perfette perché gli alberi crescessero e prendessero il sopravvento sulle erbe, che, senza umidità nel terreno, non potevano riprendersi così rapidamente.
Murphy sottolinea che «Ci sono foto scattate esattamente nello stesso luogo a 20 anni di distanza in più siti in tutta Artemis dove vivono i pappagalli. Sono diventati irriconoscibili in termini di infittimento». E, circondati da alberi invece che da erbe, i pappagalli sono vulnerabili quando costruiscono un nido e corrono un rischio maggiore quando si nutrono, in parte perché avevano anche imparato a fare affidamento su altre sentinelle. Murphy spiega ancora: «I pappagalli erano soliti cercare dove si nutrivano le rondini dalla faccia nera per andare a nutrirsi. Hanno la testa nell’erba in cerca di semi e hanno le orecchie spalancate in attesa di quel primo squittio di allarme delle rondini dei boschi. Questo ha permesso ai pappagalli di ottenere un vantaggio». Ma il passaggio dalla savana agli ecosistemi boschivi ha allontanato le rondini dei boschi e ha attirato gli uccelli beccai dorsonero e altri predatori che prosperano nella vegetazione più fitta. «Abbiamo più predatori, cacciano con maggior successo e lo fanno in assenza di sentinelle – aggiunge Murphy – E’ incredibile che ci siano rimasti dei pappagalli».
Con i pappagalli spalledorate in rapido declino è sempre più difficile trovare una soluzione per salvarli, amche perché sono troppi i soggetti che dovrebbero collaborare per farlo e oggnuno sempbra avere una sua ricetta. Nel 2016, i custodi indigeni tradizionali della regione, il popolo Olkola, hanno avviato il progetto Bringing Alwal Home (“alwal” è il nome Olkola del pappagallo spalledorate. Mike Ross, un anziano Olkola e detentore della conoscenza, racconta che «Il fango, la terra, il suolo di Olkola Country è fondamentale per alwal: alwal è stato creato da quella terra e appartiene a quel luogo, proprio come l’Olkola People appartiene all’Olkola Country». Ranger aborigeni e altri membri della comunità sono stati coinvolti nel monitoraggio delle popolazioni di pappagalli e hanno rimosso il bestiame da Killarney, una proprietà gestita dagli Olkola adiacente ad Artemis. Murphy sostiene questa rimozione perché «Riduce la pressione sulle praterie e consente loro di riprendersi dopo gli incendi». Ma ammette che «Per altri aspetti, la via da seguire è meno chiara». Per esempio, gli Olkola e alcuni ambientalisti non sono d’accordo sul ruolo svolto dal dingo (Canis lupus dingo), un cane selvatico presente in Australia da circa 3.500 anni. Ross spiega che «Per gli ‘Olkola, sia il pappagallo spalledorate che il dingo sono totem culturali. Il dingo è riuscito a tenere lontani i predatori». Per Murphy e altri ambientalisti, i dingo sono solo un altro predatore che saccheggia i nidi dei pappagalli e una potenziale minaccia».
Il Draft Golden-shouldered Parrot Recovery Plan dell’ Olkola Aboriginal Corporation e dei Ranger Olkola, finanziato dal governo australiano e attualmente in fase di consultazione pubblica, conferma la convinzione che un ritorno alle pratiche antincendio indigene e ad altre tecniche tradizionali di gestione del territorio è fondamentale per salvare la specie. Si tratta di una strategia che è stata applicata con successo altrove in Australia e farà sicuramente parte della soluzione in futuro. Ma per Murphy «E’ stato fatto troppo danno ad Artemis perché queste pratiche funzionino da sole. E’ un’idea adorabile, ma il territorio è cambiato. Nessuna i gestione degli incendi indigeni ripristinerà questi sistemi al loro stato naturale. Dobbiamo resettare il sistema». Per diversi ambientalisti potrebbero essere necessarie misure più radicali, come il disboscamento, prima che la gestione tradizionale del territorio possa svolgere nuovamente un ruolo. Ma questa soluzione è complicata, perché l’eliminazione della vegetazione autoctona può essere sia difficile che potenzialmente illegale.
Per eliminare la vegetazione autoctona e ripristinare le praterie su Artemis, Murphy e Sue e Tom Shephard vevano bisogno del permesso del Dipartimento locale per l’ambiente e la protezione del patrimonio. Anche se ampiamente favorevole agli sforzi per ripristinare le praterie e aiutare i pappagalli, il dipartimento non ha voluto creare un precedente che avrebbe permesso ad agricoltori e allevatori di bestiame di ripulire la vegetazione autoctona altrove. Solo due anni dopo la richiesta iniziale, nel luglio 2021, due anni dopo la domanda iniziale, il dipartimento ha approvato la richiesta di bonifica. E il team di Murphy ha iniziato a rimuovere a vegetazione da zone selezionate dell’ex savana, realizzando un ripristino che riteneva fosse un precursore per ripristinare l’habitat delle praterie di cui i pappagalli avevano bisogno. Dato che i Niaouli sono adattati ai cicli estremi di incendi, inondazioni e siccità australiani, sono alberi estremamente difficili da eradicare una volta insediatisi. Garnett ricorda di aver bruciato alcuni alberi che gli arrivavano già al petto, solo per vederli riprendersi: «Sono così difficili da abbattere». Quindi il team ha utilizzato motoseghe e decespugliatori per rimuovere radici e rami e poi ha spruzzato l’intero sito con l’erbicida Graslan che uccide gli alberi ma non le erbe autoctone. Anche se è troppo presto per sapere se la strategia ha funzionato, Murphy spera che l’erba prenda nuovamente il sopravvento.
Gli Shephard sostengono questi sforzi per salvare il pappagallo spalledorate. Sue ha monitorato il pappagallo ad Artemis fin dagli anni ’90 ed è stata una delle prime a dare l’allarme: «Ero solita uscire e trovare 100 nidi. Ora sono fortunata a trovarne 20». Gli Shephard gestiscono dai 3.500 ai 4.000 capi di bestiame nel loro ranch e riconoscono che le loro stesse azioni hanno contribuito ai problemi che i pappagalli devono affrontare. Costruendo recinzioni intorno ad Artemis, gli allevatori tenevano sotto controllo il loro bestiame, ma questo concentrava gli animali su alcune aree di pascolo, il che ha portato alla scomparsa delle graminacee autoctone e ha fatto emergere gli alberi al loro posto.
Gli Shephard sono convinti che aiutare il pappagallo spalledorate potrebbe giovare al loro bestiame e Murphy e altri ambientalisti sono d’accordo, «Sia il bestiame che i pappagalli dipenderanno dalle praterie ripristinate: i pappagalli per la copertura durante l’alimentazione, il bestiame per il cibo. Se gestiti correttamente attraverso la combustione controllata e strategie come il pascolo rotazionale, i due possono convivere insieme». Ma gli Shephard e Murphy sanno che la battaglia per salvare i pappagalli è arrivata auna fase critica: «Questa stagione riproduttiva appena conclusa è stata uno shock – rivela Murphy – Molti dei tentativi di riproduzione dei pappagalli non hanno avuto successo. Alcuni altri così e avremo perso la battaglia».
Avendo iniziato a ripristinare l’habitat dei pappagalli, Murphy e gli Shephard aspettano con ansia di vedere se le nuove radure create avranno successo nel permettere ai pappagalli di prosperare. Murphy conclude: «Potrebbe darsi che siamo arrivati troppo tardi e che tutto questo avrebbe dovuto essere fatto dieci anni fa. Ma sappiamo cosa dobbiamo fare per salvare questi pappagalli. Se non riusciamo a farlo bene e a far ritornare questi pappagalli qui, allora, santo cielo… Ma se ci riusciranno, la partnership tra comunità indigene, allevatori di bestiame e ambientalisti potrebbe avere effetti duraturi. Se ce ne prendiamo cura per le nostre generazioni future, tra 50, 100 anni a venire quell’uccellino sarà ancora lì».