L’oceano è un grande essere con diritto legale alla vita?

Per proteggere i mari della Terra e combattere i cambiamenti climatici, dobbiamo trasformare completamente la nostra prospettiva sull’Oceano globale

[19 Ottobre 2022]

Secondo lo studio “Living in relationship with the Ocean to transform governance in the UN Ocean Decade”, pubblicato su PLOS Biology dalle statunitensi Michelle Bender e Rachel Bustamante dell’Earth Law Center e dalla nativa americana  canadese Kelsey Leonard dell’università di Waterloo,  «Per far fronte efficacemente la moltitudine di crisi di governance che l’Oceano deve affrontare, tra cui la pesca eccessiva, il cambiamento climatico, l’inquinamento e la distruzione dell’habitat, deve essere trasformato il rapporto dell’umanità con l’Oceano. L’Earth law, inclusi i diritti della natura, fornisce un percorso per ricentrare l’umanità come parte della natura e trasformare la nostra relazione dal dominio e separazione verso l’olismo e il miglioramento reciproco. All’interno dell’Earth law framework, un approccio centrato sull’oceano vede l’umanità come interconnessa con l’Oceano, riconosce il dovere collettivo e la responsabilità reciproca delle società di proteggere e conservare l’Oceano e mette da parte i guadagni a breve termine per rispettare e proteggere le generazioni future per tutta la vita e la capacità dell’Oceano di rigenerare e sostenere i cicli naturali».

Le tre ricercatrici pensano che l’oceano terrestre dovrebbe essere considerato un’entità vivente con una propria serie di diritti e protezioni, con un cambio di paradigma basato sulle visioni del mondo indigene e sulla fiorente tradizione del diritto terrestre.

Lo studio analizza gli obiettivi stabiliti dall’Onu per la sua

UN Decade of Ocean Science for Sustainable Development, un’iniziativa decennale che punta a ri-immaginare e trasformare il rapporto dell’umanità con mari e oceani.

Gli oceani coprono oltre il 70% della superficie del nostro pianeta che, per quelò che ne sappiamo, resta l’unico posto nell’universo ad ospitare creature viventi. Miliardi di anni fa, gli antichi mari sono stati il crogiolo delle prime forme di vita e oggi gli ambienti marini ospitano un’incredibile varietà di specie, dai minuscoli microrganismi alle gigantesche balenottere azzurre. Anche le specie che vivono sulla terraferma, come gli esseri umani, dipendono dagli oceani per il loro sostentamento e la stabilità climatica. Ma nonostante la centralità dell’oceano per la nostra esistenza, le leggi e i regolamenti  lo considerano generalmente un regno inanimato pieno di risorse estraibili e bottino di guerra nei conflitti tra le nazioni umane..

Ora, il team di ricercatrici guidato dall’Earth Law Center, un’ONG  che si occupa del conferimento di diritti alle entità naturali, ha delineato un nuovo quadro che evoca  «Un maggiore rispetto per l’oceano e la natura, non come oggetti, ma entità viventi».

Su Motherboard, la Bender evidenzia che «C’è un enorme gap tra i discorsi sull’O

cean law e l’Earth law, che è diventato sempre più frustrante alla luce del declino della salute degli oceani e dell’approccio tradizionale frammentario e antropocentrico alla conservazione degli oceani. All’Earth Law Center, il nostro programma cerca di colmare questo gap nel movimento per i diritti della natura e non solo educando l’opinione pubblica sull’interconnessione tra la salute degli oceani e la salute umana, ma fornendo strumenti per i responsabili politici e i partner che desiderano attuare e far rispettare tale un approccio all’interno della governance degli oceani. L’ispirazione per questo studio è venuta dalla decisione di pubblicare alcune delle idee che abbiamo avuto sugli Ocean Rights, dimostrando in pratica che i mattoni per realizzare il framework esistono in tutto il mondo. Le sfide del decennio delle Nazioni Unite sono riconosciute a livello globale come le questioni più urgenti per la salute degli oceani. Consideriamo gli Ocean Rights come un’opportunità per affrontare queste sfide, riconoscendo l’interconnessione tra loro e il nostro rapporto umano con l’Oceano. Credevamo che questa sarebbe stata un’utile aggiunta e sviluppo nella conservazione globale degli oceani e nel discorso legale e quindi abbiamo legato la nostra analisi alle 10 sfide del decennio».

Per questo il team ha presentato un road-map verso questo futuro, identificando 5 “principi oceanici per trasformare la governance degli oceani”: diritti oceanici (incluso il diritto alla vita e al ripristino), relazioni oceaniche (creando una relazione equilibrata e reciproca tra esseri umani e oceano), Sovranità dei dati oceanici (produzione di un’infrastruttura tecnologica accessibile per osservare i trend oceanici), Protezione degli oceani (accettare la responsabilità collettiva di proteggere e preservare l’oceano) e Giustizia oceanica (garantire la democratizzazione e l’accesso equo agli spazi e alle risorse oceanici).

Questi principi affrontano le dieci sfide presentate dall’Onu come parte del suo impegno decennale  per gli oceani e che includono: lotta contro l’inquinamento marino, ripristino degli ecosistemi marini e della biodiversità, alimentazione sostenibile della popolazione globale, sblocco delle soluzioni oceaniche per i cambiamenti climatici e anche la creazione di un rappresentazione digitale dell’oceano.

Si tratta di sfide ardue da superare e per riuscirci le ricercatrici sostengono che «Dovremo invertire secoli di pratiche di sfruttamento e uscire da una perniciosa mentalità antropocentrica che pone l’umanità al di fuori della natura».

Bender, Bustamante e Leonard

ricordano i numerosi successi di leggi che hanno dato diritti alla natura, come il Te Awa Tupua (Whanganui River Claims Settlement) Act della Nuova Zelanda del 2017, che garantisce personalità giuridica al fiume Whanganui e lo riconosce come «Un’entità spirituale e fisica». All’inizio di quest’anno, Panama ha adottato la legge sui diritti nazionali della natura, che include il rispetto della cosmologia indigena ed è costruita sull’idea di  «Dubio pro natura (in caso di dubbio, peccare dalla parte della natura)». Le ricercatrici sono convinte che «Sebbene questi atti incentrati sulla natura siano emersi finora solo in poche nazioni, forniscono un punto d’appoggio nel mondo reale che potrebbe potenzialmente portare a un’attuazione molto più ampia di leggi simili in tutto il mondo».

Su Motherboard, il team della Bender fa notare che «Centinaia di leggi e politiche sono emerse in tutto il mondo. Sempre più persone desiderano soluzioni e rimedi che i nostri sistemi legali esistenti non stanno fornendo e si rivolgono alle organizzazioni per i diritti della natura per una consulenza legale. L’Earth Law Center sta lavorando duramente per portare avanti campagne sui diritti oceanici a livello locale e internazionale; dal riconoscimento dei diritti delle orche residenti meridionali del Salish Sea, alla presentazione di una Universal Declaration of Ocean Rights all’Onu (con i partner di The Ocean Race). A Panama e in America Latina, con il partner The Leatherback Project, stiamo anche lavorando per attuare la legge nazionale sui diritti della natura nello spazio oceanico, in particolare in una nuova legge sulla conservazione delle tartarughe marine, una nuova riserva marina e a livello regionale per proteggere i corridoi migratori».

Il nuovo studio si confronta anche con l’idea che gli esseri umani possano semplicemente depredare l’oceano e la natura in generale, «Il che ha portato a un crollo catastrofico della biodiversità marina a causa della pesca eccessiva e della distruzione dell’habitat. Questo abbandono della nostra responsabilità umana verso l’oceano, insieme alla negazione che gli esseri umani siano completamente interconnessi con questi sistemi, è anche al centro delle crisi climatiche e dell’inquinamento marino».

Una mentalità estrattiva che attualmente è molto diffusa, ma lo studio ricorda che «Molte culture hanno sviluppato una visione più olistica e relazionale della natura, compresi gli antichi sistemi di credenze celtiche in Europa e le cosmovisioni di molti popoli indigeni oggi incentrate sul rispetto per Madre Terra. Se gli esseri umani vogliono invertire i nostri effetti disastrosi sugli ecosistemi naturali, dovremo incanalarci verso queste prospettive, che spesso risalgono a migliaia di anni fa».

Infatti, il team di ricercatrici ha evidenziato la diversità dei popoli indigeni e ha notato che «Le loro opinioni sull’Earth law e sulle questioni correlate sono tutt’altro che monolitiche».

La Bender e le sue colleghe «riconoscono che le visioni del mondo indigene vengono prima e sono più ampie dei diritti della natura, piuttosto che presumere che i diritti della natura siano primi o siano una visione del mondo indigena. Questo può essere ulteriormente visto come cooptare le pratiche indigene e inserirle nel diritto coloniale occidentale. Sentiamo che questo è qualcosa che chiunque può fare nel comunicare i diritti della natura. E’ importante imparare e ascoltare dai popoli indigeni quello che ritengono sia il modo giusto e appropriato per impegnarsi con la legge. Le leggi e le pratiche consuetudinarie esistono da tempo e possiamo ritagliarci uno spazio per garantire che quelle leggi abbiano spazio per vivere, prosperare ed essere rispettate allo stesso modo dall’occidente (e anche più in alto) delle leggi occidentali».

Per questo il team

dell’Earth Law Center e dall’università di Waterloo ha presentato un nuovo progetto che scompone quello che può sembrare un problema assolutamente insormontabile – la devastazione dell’oceano per mano degli esseri umani – in obiettivi più gestibili ai quali tutte le persone possono partecipare. Resta da vedere se gli esseri umani in tutto il mondo possono cooperare per questi fini, ma una cosa è certa: il destino degli oceani del mondo, e quindi il futuro della civiltà umana, dipende dalle nostre azioni oggi.  Le ricercatrici concludono: «Riconoscere l’Oceano come essere vivente è sempre più importante per il benessere planetario e la sostenibilità globale. Spostare la nostra relazione con l’Oceano da quella di proprietà e separazione verso l’interdipendenza amorevole, la reciprocità e il rispetto può trasformare la governance dell’Oceano».