Mappato globalmente il conflitto tra agricoltura e biodiversità
Nuove tecniche di mappatura per quantificare quanta agricoltura nel mondo viene svolta in aree ritenute ad alta priorità per la conservazione.
[15 Giugno 2023]
Il cibo è diventato uno dei grandi dilemmi morali della società umana moderna: la sua produzione spinge molte specie sull’orlo dell’estinzione e pascoli e coltivazioni distruggono gli ecosistemi. Perché i governi, l’industria e le comunità possano bilanciare efficacemente le esigenze agricole con le esigenze ambientali, sono necessarie informazioni quantitative che vengono fornite dallo studio “Mapping potential conflicts between global agriculture and terrestrial conservation”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un team di ricercatori di istituti scientifici giapponesi. I nuovi dati combinando le mappe delle priorità di conservazione con i dati commerciali di quasi 200 Paesi e 50 prodotti agricoli e i risultati mostrano quali prodotti possono essere coltivati in regioni con un’alta priorità per la conservazione e che dovrebbero aiutare. Insieme alle politiche che proteggono la biodiversità, a mantenere il commercio alimentare globale.
Al Research Institute for Humanity and Nature di Kyoto (RIHN), che ha guidato il team di ricerca, ricordano che «Da molti decenni ormai, consapevoli degli allarmanti danni che i nostri stili di vita stanno causando all’atmosfera e all’approvvigionamento idrico, nazioni e territori hanno attuato politiche che sostengono la crescita economica riducendo al minimo i danni irreversibili all’ambiente. Azioni simili sono necessarie per l’utilizzo della terra nella produzione agricola, ma c’è una comprensione relativamente scarsa dell’impatto che la domanda dei consumatori ha per vari prodotti alimentari e altri prodotti agricoli».
Uno degli autori dello studio Oliver Taherzadeh del RIHN e della Universiteit Leiden, hya detto ad Anthropocene che «La nostra comprensione delle minacce alla biodiversità… è estremamente frammentaria» e un co-autore dello studio, Keiichiro Kanemoto del RIHN, aggiun ge: «La produzione alimentare rimane la causa principale della perdita di biodiversità. Tuttavia, mancano dati completi e sistematici su quali prodotti e quali Paesi contribuiscono maggiormente a questa perdita. Abbiamo sovrapposto spazialmente i terreni agricoli e gli habitat delle specie per identificare i prodotti agricoli più a rischio».
Lo studio ha suddiviso le aree per l’agricoltura in base a 4 priorità di conservazione e ha correlato i singoli prodotti agricoli alla loro produzione su terreni con diversi livelli di priorità, così, i ricercatori hanno scoperto che «Circa un terzo dell’utilizzo del suolo si verifica in aree ad alta priorità di conservazione, mentre meno di un quarto si verifica in aree a bassa priorità. In particolare, i prodotti che sono grandi alimenti di base del consumo alimentare, come carne bovina, riso e soia, tendevano a essere prodotti in aree ad alta priorità di conservazione. Tuttavia, altri generi di prima necessità, come l’orzo e il grano, provenivano spesso da aree a bassa priorità».
Inoltre, lo studio mostra gli effetti del commercio internazionale e rivela che «Il caffè e il cacao vengono coltivati principalmente in aree ad alta priorità di conservazione nelle nazioni equatoriali, ma il motivo è principalmente quello di soddisfare le richieste di nazioni più ricche come gli Stati Uniti e i membri dell’Unione Europea, che hanno un forte appetito per questi due prodotti. A livello globale, la sua elevata domanda di molteplici prodotti rende la Cina il più grande influencer della produzione alimentare nelle aree di conservazione ad alta priorità».
Taherzadeh conferma: «Quando seguiamo i flussi del commercio agricolo, i Paesi a reddito alto e medio-alto hanno la responsabilità primaria – il 60% – per l’utilizzo del suolo in siti ad altissima priorità conservazione».
Dal nuovo studio emerge anche che il tipo di terreno utilizzato per produrre una merce dipende dal Paese in cui veniva prodotta. Ad esempio, in Brasile la carne bovina e la soia vengono coltivate in aree ad alta priorità di conservazione, ma questo non avviene in Nord America. Il grano viene coltivato in aree a minore priorità di conservazione nell’Europa orientale rispetto all’Europa occidentale.
Il Paese in cui la merce viene esportata è correlata al tipo di terreno utilizzato per la sua produzione. I ricercatori giapponesi evidenziano che «Gli Stati Uniti, l’Unione Europea, la Cina e il Giappone dipendono fortemente dai partner commerciali per soddisfare la loro domanda di carne bovina e lattiero-casearia. Tuttavia, più di un quarto della carne bovina e dei prodotti lattiero-caseari consumati in Giappone proviene da aree ad alta priorità di conservazione, mentre per le altre regioni tale cifra è più vicina al 10%».
Per Kanemoto, «Questo suggerisce che ci sono opportunità per preservare i cambiamenti dell’offerta senza compromettere gli attuali modelli di consumo».
Attualmente, molti Paesi sono consapevoli dello stress causato dal bestiame, dalla soia e dall’olio di palma nelle aree ad alta priorità di conservazione. In particolare, lo studio dimostra che «Anche altre materie prime, tra le quali mais, canna da zucchero e gomma, causano uno stress eccessivo e meritano maggiore attenzione nella definizione delle politiche».
Per Taherzadeh «Potremmo anche cambiare quanto consumiamo e cosa consumiamo: due aree nelle quali, sulla base delle nostre scoperte, prevediamo importanti benefici potenziali per la biodiversità». I candidati potrebbero essere prodotti ad alto impatto come la carne bovina, il cioccolato e il caffè, dove i modelli di consumo alterati – o addirittura la sostituzione, nel caso della carne bovina, con proteine di origine vegetale – potrebbero restituire interi territori tropicali alla biodiversità. Altri cambiamenti potrebbero includere la barbabietola da zucchero per sostituire la canna da zucchero che mette in pericolo la biodiversità e i frutti dei climi temperati per sostituire quelli tropicali.
Secondo Taherzadeh, «Soffriamo della visione del tunnel del carbonio, in parte a causa della mancanza di dati adeguati sugli impatti delle decisioni politiche su altri sistemi ambientali. Spero che questa ricerca e la piattaforma che la accompagna possano cambiare la situazione, fornendo ai governi uno strumento per esplorare l’impatto delle diete a livello territoriale, per salvaguardare la biodiversità nelle politiche alimentari e agricole».
Kanemoto conclude: «Il nostro approccio spaziale è un prezioso metodo complementare con altre tecniche standard per valutare l’impatto che l’agricoltura ha sulla biodiversità. La conoscenza acquisita dal nostro studio dovrebbe aiutare a ridurre il compromesso tra produzione agricola e protezione ambientale attuato da molti Paesi».