Un Paese diviso, con grossi problemi etnici e di sfruttamento delle risorse
Myanmar: il regime militare riconosce la disfatta elettorale
Vince la Birmania democratica di San Suu Kyi. Riuscirà a liberarsi dalla tutela dei militari?
[9 Novembre 2015]
Il presidente uscente del Parlamento dell’Unione e della Camera dei rappresentanti del Myanmar, Shwe Mann, che era uno dei candidati più in vista del regime alle prime elezioni libere per il Partito della solidarietà e dello sviluppo dell’Unione (USDP, il partito dei militari al potere) ha riconosciuto la sua sconfitta e quella dell’intero regime sulla sua pagina Facebook. Shwe Mann è stato battuto da Than Nyunt, il candidato della Lega Nazionale per la Democrazia (LND) nella circoscrizione di Phyu della regione di Bago.
La leader della LDN, la Premio Nobel per la Pace San Suu Kyi, ha ottenuto una schiacciante vittoria nella circoscrizione di Kawhmu, a Rangoon, dove il suo avversario dell’USDP, Kyaw Zin Hein, non aveva mai avuto nessuna speranza.
I candidati del partito del regime sarebbero stati sconfitti praticamente ovunque – meno che nei seggi riservati ai militari e dove non era possibile alcun controllo esterno – dai candidati del LDN che avrebbero raccolto addirittura il 75% dei voti.
I circa 33,5 milioni di elettori birmani chiamati alle urne domenica hanno partecipato alle prime elezioni realmente libere dopo il sanguinoso colpo di Stato del 1990 che portò al potere i militari che non avevano gradito la schiacciante vittoria alle elezioni della LDN che avrebbe spodestato il Consiglio di restaurazione della legge e dell’ordine di stato frutto di un precedente ed altrettanto sanguinoso golpe. Infatti, quelle del novembre del 2010 non possono definirsi elezioni veramente libere: permisero ad uno sfiancato governo dittatoriale, che aveva represso e impoverito la Birmania, cambiando addirittura il suo nome in Myanmar e spostando la capitale da Rangoon a Naypyidaw, una città costruita di sana pianta in un’area isolata per ospitare i ministeri della dittatura militare, di passare parte del potere ad un governo “civil” mantenendo il controllo assoluto sul Parlamento e sul Paese.
A queste elezioni sembrava poter prevalere la frammentazione: 6.038 candidati presentati da 91 Partiti diversi e 310 candidati indipendenti si contendevano 1.000 seggi nel Parlamento Nazionale e in quelli deli Stati e delle Regioni del Myanmar/Birmania. Le 1.150 circoscrizioni elettorali erano ripartite su tre livelli: 323 per la Camera dei Rappresentanti; 168 per la Camera delle Nazionalità e 630 per i Parlamenti Statali, regionali o provinciali. 29 circoscrizioni sono riservate alle minoranze etniche. Il 25% dei parlamentari è comunque riservata ai militari. La soglia per poter governare da soli era del 67% – ritenuta impossibile dai militari – ma la Lega Nazionale per la Democrazia sembra averla superata e quindi potrà governare e abolire le leggi vigenti che mantengono il parlamento sotto tutela dei militari.
La Lega Nazionale per la Democrazia si troverà a gestire questo complicato puzzle costruito dai militari e a dover affrontare la divisione etnica del Paese, ben rappresentata dai 53 partiti etnici e tribali che si sono presentati alle elezioni, alcuni espressioni delle guerriglie attive, latenti o represse che hanno incendiato ripetutamente le periferie del Mu yanmar/Birmania anche quando era al potere la feroce dittatura militare.
La LDN di San Suu Kyi si troverà ad affrontare queste divisioni etniche esacerbate dalla dittatura, a cominciare dalla tragedia dei musulmani Rohingya , non riconosciuti come cittadini, che hanno subito progrom razzisti da parte dei buddisti ai quali hanno spesso partecipato in prima fila leader e militanti della LDN.
Un accordo tra il governo del Myanmar e 8 gruppi etnici armati per arrivare ad un cessate il fuoco era stato raggiunto solo il 18 ottobre scorso, per permettere lo svolgimento delle elezioni anche nelle aree controllate dai signori della guerra. Dietro tutto questo c’è la lotta il traffico di droga, di legname e di specie animali in via di estinzione ma anche il controllo di risorse minerarie, petrolifere e forestali che fanno gola ai vicini più potenti e ingombranti del Myanmar: Cina ed India.
La nuova democrazia birmana e la fragile ed inflessibile San Suu Kyi e il suo partito del pavone dovranno dimostrare di sapersi emancipare dalla stretta soffocante dei militari e da un nazionalismo che impedisce la pacificazione di un Paese che è un guazzabuglio etnico, ma anche di saper ricondurre un Paese saccheggiato nelle sue risorse verso uno sviluppo sostenibile e la giustizia sociale.