Nature restoration law: accordo al Consiglio europeo. Italia contraria nonostante deroghe e scappatoie

Per gli ambientalisti il bicchiere è mezzo pieno. Sconfitta la destra che voleva fare saltare tutto

[20 Giugno 2023]

Oggi, il Consiglio ha annunciato di aver «Raggiunto un accordo (orientamento generale) su una proposta di Nature restoration law. La proposta mira a mettere in atto misure di ripristino che coprano almeno il 20 % delle zone terrestri e marittime dell’Ue entro il 20 e tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2030. Stabilisce obiettivi e obblighi specifici giuridicamente vincolanti per il ripristino della natura in ciascuno degli ecosistemi elencati, dai terreni agricoli e forestali agli ecosistemi marini, d’acqua dolce e urbani. L’orientamento generale servirà da mandato per i negoziati con il Parlamento europeo sulla forma definitiva della legislazione».

Secondo la ministra per il clima e l’ambiente della Svezia, la liberale Romina Pourmokhtari, «Oggi è un buon giorno per la natura. Il Consiglio ha concordato un approccio generale della Nature restoration law. E’ evidente che la presidenza ha lavorato duramente per trovare il giusto equilibrio e ha ascoltato attentamente tutti gli Stati membri che hanno espresso preoccupazioni e osservazioni diverse sulle proposte. Sono lieta che abbiamo trovato il modo di portare questo dossier ad un approccio generale. Questo testo costituisce una solida base per i negoziati con il Parlamento europeo. Speriamo che la Nature restoration law finale ci consenta di ricostruire un livello sano di biodiversità, combattere i cambiamenti climatici e rispettare i nostri impegni internazionali nell’ambito dell’accordo Kunming-Montreal».

La soddisfazione della ministra del governo di centro-destra svedese non è condivisa evidentemen te dal governo di destra italiano che, come scrive su Tweetter Luca Bergamaschi, co-fondatore e CEO del think tank italiano ECCO, « ha votato contro la proposta di Nature restoration law sul ripristino della natura in almeno il 20% delle aree terrestri e il 20% delle aree marine entro il 2030 e di tutti gli ecosistemi che ne necessitano entro il 2050».  

Sabien Leemans, senior biodiversity policy officer del Wwf European Policy Office ha commentato: «Concordando la loro posizione sulla Nature Restoration Law, oggi gli Stati membri dell’Ue inviano un messaggio clamoroso al Parlamento europeo: gli Stati membri, che saranno responsabili dell’attuazione della legge , lo sostengono e riconoscono la necessità di obiettivi di ripristino giuridicamente vincolanti. Chiediamo a tutti i membri del Parlamento europeo di prendere sul serio questo messaggio e di garantire un approccio altrettanto costruttivo nei confronti della plenaria di luglio».

Sergiy Moroz, responsabile delle politiche per l’acqua e la biodiversità dell’European Environmental Bureau (EEB, al quale aderisce anche Legambiente, non si nasconde che il tresto approvato ha molte lacune: «Applaudiamo i ministri dell’Ue che hanno concordato oggi il mandato negoziale per la legge sul ripristino della natura, nonostante la raffica di disinformazione diffusa dai politici conservatori e dalle lobby dell’agricoltura e della pesca, nonché tentativi dell’ultimo minuto della presidenza svedese di far deragliare i negoziati. Esortiamo la presidenza spagnola a evitare un ulteriore indebolimento e a concentrarsi invece sul rafforzamento del regolamento durante i negoziati con il Parlamento europeo a seguito delle recenti richieste di cittadini, scienziati e organizzazioni della società civile, nonché di un’ampia gamma di imprese».

Il risultato finale non piace a Ioannis Agapakis, nature conservation lawyer di ClientEarth: «La posizione del Consiglio indebolisce la proposta iniziale a tal punto da disintegrare alcuni degli obblighi chiave e subordinare il ripristino ad altri usi della terra e del mare. Questo prescinde dal ruolo indispensabile della biodiversità nell’affrontare le molteplici crisi, compresa quella climatica, che l’Unione europea sta attualmente affrontando. L’unica grazia salvifica è che dimostra l’impegno degli Stati membri a garantire un quadro giuridico completo per il ripristino, al posto di un approccio volontario e frammentario, che finora non ha avuto successo».

Ma anche Sofie Ruysschaert, nature restoration policy officer di Birdlife Europe, preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno: «Gli europei hanno tirato un sospiro collettivo di sollievo mentre la maggior parte degli Stati membri si assume la responsabilità di sostenere la Nature restoration law, salvaguardando il nostro futuro resiliente. La natura e gli agricoltori sopportano il peso maggiore degli impatti senza precedenti causati dal collasso del clima e dell’ecosistema. Con l’innovazione, il coinvolgimento delle parti interessate e gli investimenti sostenibili, la Nature restoration law può invertire questa tendenza».

In una nota il Consiglio europeo evidenzia che il testo approvato «Stabilisce un equilibrio tra il mantenimento di obiettivi ambiziosi per il ripristino della natura e la flessibilità per gli Stati membri nell’attuazione del regolamento, mantenendo nel contempo condizioni di parità e riducendo gli oneri amministrativi».  Il Consiglio ha convenuto che «Gli Stati membri metteranno in atto misure di ripristino che portino in buone condizioni almeno il 30% degli habitat negli ecosistemi terrestri, costieri, d’acqua dolce e marini che non sono in buone condizioni. Questo si applicherebbe ad almeno il 2030% della superficie totale dei tipi di habitat ritenuti non in buone condizioni, rispetto alla superficie di ciascun gruppo di habitat, come inizialmente proposto dalla Commissione».

Tuttavia, gli Stati membri fisserebbero «Misure di ripristino su almeno il 60% entro il 2040 e su almeno il 90% entro il 2050 della superficie di ciascun gruppo di habitat che non è in buone condizioni». Gli Stati membri hanno aggiunto un’eccezione per le aree marine che hanno habitat di sedimenti morbidi per i quali  potranno applicare una percentuale inferiore per gli obiettivi e l’obiettivo per il 2030 non si applicherebbe.

Per le zone di habitat soggette a misure di ripristino, gli Stati membri garantiranno che non si verifichi un deterioramento significativo, mentre «Nelle zone già in buone condizioni o in cui le misure di ripristino non sono ancora attuate, in particolare al di fuori della rete Natura 2000 e di aree protette, gli Stati membri si adopererebbero per mettere in atto le misure necessarie per prevenire un deterioramento significativo. Questo si tradurrebbe in un obbligo basato sui risultati per il primo e in un obbligo basato sullo sforzo per il secondo».

Gli Stati membri concordano sulla mancanza di dati sulle condizioni di alcuni habitat e quindi ritengono difficile quantificarne il miglioramento e chiedono che le misure di ripristino quantitativo si applichino solo alle zone in cui è noto lo stato degli habitat.

Per gli habitat terrestri, gli Stati membri avrebbero tempo fino al 2030 per determinare il 90% delle condizioni degli habitat. Per gli habitat marini il 50% delle lacune nelle conoscenze dovrebbe essere colmato entro il 2030. Le condizioni di tutti gli habitat dovrebbero essere note entro il 2040, ad eccezione dei sedimenti morbidi per i quali la scadenza è prorogata al 2050.

La proposta contiene obblighi specifici per gli ecosistemi, ai quali il Consiglio ha aggiunto diverse flessibilità.  Ad esempio, per gli ecosistemi urbani, il Consiglio ha sostituito gli obiettivi quantitativi con l’obbligo per gli Stati membri di conseguire un trend all’aumento delle aree verdi urbane fino al raggiungimento di un livello soddisfacente. Il Consiglio ha mantenuto il requisito di “nessuna perdita netta”, che prevede che «Entro il 2030 non si verifichi alcuna perdita netta di spazi verdi urbani e di copertura della chioma degli alberi urbani, rispetto a quando il regolamento entrerà in vigore, a meno che gli ecosistemi urbani non abbiano già oltre il 45% di spazio verde».

GTenendo conto che «Alcuni Stati membri sono colpiti in modo sproporzionato da questi obblighi», il Consiglio ha anche ammorbidito gli obiettivi per ritrasformare le torbiere in zone umide e ha stabilito di ripristinare l’uso agricolo del 30% delle torbiere prosciugate entro il 2030 e del 50% entro il 2050, con la possibilità per gli Stati membri fortemente ingteressatidi applicare una percentuale inferiore.  Maggiore flessibilità anche nell’uso degli indicatori per monitorare gli ecosistemi forestali. Per gli elementi paesaggistici ad elevata diversità negli ecosistemi agricoli, come siepi, filari di alberi, macchie, fossati, stagni o alberi da frutto, il Consiglio ha aggiunto la possibilità di concentrare le misure su quelle necessarie per la conservazione della biodiversità. Inoltre, il Consiglio ha aggiunto l’obbligo per gli Stati membri di garantire il mantenimento della connettività fluviale ripristinata.

In base alle nuove regole, gli Stati membri presenterebbero regolarmente alla Commissione europea piani nazionali di risanamento che mostrino come raggiungeranno gli obiettivi. Inoltre i governi dovrebbero monitorarli e riferiresui loro progressi.

Il Consiglio ha optato per un approccio graduale: «Invece di presentare piani completi fino al 2050, due anni dopo l’entrata in vigore del regolamento, gli Stati membri presenterebbero prima i piani nazionali di ripristino che coprono il periodo fino a giugno 2032, con una panoramica strategica per il periodo successivo a giugno 2032. Entro giugno 2032 gli Stati membri presentare piani di ripristino fino al 2042 con una panoramica strategica fino al 2050 ed entro giugno 2042 presenterebbero piani fino al 2050». Inoltre, i diversi Paesi potranno tener conto nei loro piani delle «Specificità nazionali in termini di esigenze sociali, economiche e culturali, di caratteristiche regionali e locali e di densità di popolazione, compresa la situazione specifica delle regioni ultraperiferiche».  Il Consiglio ha armonizzato, per quanto possibile, i cicli di monitoraggio e comunicazione con i cicli di comunicazione esistenti in altre normative ambientali, al fine di aggiungere coerenza.

Il Consiglio europeo ha anche aggiunto al testo originario un nuovo articolo prevedendo che «La progettazione, la realizzazione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, la loro connessione alla rete e la relativa rete stessa ei beni di accumulo, si presumono di interesse pubblico prevalente. Questo significa che beneficerebbero di una deroga agli obblighi di miglioramento continuo e non deterioramento. Inoltre, gli Stati membri potrebbero esentare questi progetti dall’obbligo di dimostrare che sono disponibili soluzioni alternative meno dannose, se è stata effettuata una valutazione ambientale strategica. Per garantire l’allineamento con la direttiva sulle energie rinnovabili, attualmente in fase di revisione, gli Stati membri possono anche limitare l’applicazione di queste esenzioni in conformità con le priorità stabilite nei loro piani nazionali integrati per l’energia e il clima».

Il Consiglio ha inoltre chiarito Phe piani e progetti al solo fine della difesa nazionale possono essere considerati di interesse pubblico prevalente e possono essere esentati dal requisito che non siano disponibili soluzioni alternative meno dannose. Tuttavia, gli Stati membri dovrebbero mettere in atto misure per mitigare gli impatti sui tipi di habitat in cui applicano questa esenzion»e.

Il Consiglio ha introdotto una nuova disposizione che chiede alla Commissione Ue di presentare una relazione, un anno dopo l’entrata in vigore del regolamento, con una panoramica delle risorse finanziarie disponibili a livello Ue, una valutazione delle esigenze di finanziamento per l’attuazione e un’analisi per identificare eventuali lacune di finanziamento. La relazione includerebbe anche proposte adeguate, se del caso, e senza pregiudicare il prossimo quadro finanziario pluriennale (2028-2034).