Entro il 2026 i Paesi Ue dovranno adottare piani nazionali di ripristino dei territori, e inviare i rapporti annuali sui progressi fatti
Nature restoration law: nel medio termine +40% di profitti per ettaro grazie all’agricoltura rigenerativa
Rapporto GBF: con la tutela della biodiversità, costi iniziali ma grandi vantaggi nel medio periodo
[22 Marzo 2024]
Gli impatti del cambiamento climatico sull’uomo, sulla biodiversità e sugli ecosistemi sono ormai noti e richiedono un’azione immediata. Per questo, il 27 febbraio il Parlamento europeo ha approvato la Nature restoration law, la prima legge europea sul ripristino della natura, con il suo regolamento che indicano come rispettare gli impegni presi con il Global Biodiversity Framework (GBF) adottato dalla Convention on biological diversity a Montreal nel 2022,
La Nature restoration law stabilisce l’obiettivo di ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell’Unione europea entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90% degli ecosistemi entro il 2050, e determina anche degli impatti economici, in particolare per le misure da attuare per raggiungere gli obiettivi. Le imprese nei settori agricolo, ittico e agro-alimentare dovranno cambiare il loro modo di operare lungo l’intera catena del valore, adottando pratiche rigenerative a scapito di quelle estensive e le proteste degli allevatori/agricoltori si sono fatte sentire nelle scorse settimane, mentre quelle dei pescatori le hanno accompagnate meno rumorosamente.
Secondo un nuovo report di Boston Consulting Group (BCG), almeno inizialmente, questo cambio di paradigma non sarà indolore e costerà caro: «In Europa i costi di transizione verso pratiche di agricoltura rigenerativa determinano un calo iniziale dei profitti fino al 50%», ma la stessa BCG aggiunge che saranno «Più che compensati nel medio periodo con profitti per ettaro oltre al 40% superiori rispetto alle pratiche agricole convenzionali».
Fabio Favorido, principal di BCG, sottolinea che «La tutela della biodiversità in Europa è una sfida difficile, ma con impatti rilevanti per le aziende di ogni settore, poiché da essa dipende direttamente anche l’attività economica. Oltre il 50% del PIL mondiale dipende infatti direttamente o in parte dalla natura, pensiamo alla fornitura di materie prime, risorse idriche, impollinazione. I costi iniziali della transizione verso pratiche agricole sostenibili si configurano come un investimento per le società così come per il pianeta, ma non solo: proteggere la natura è un modo “economico” per proteggere le persone da condizioni meteorologiche catastrofiche e uno strumento chiave per ridurre il riscaldamento globale».
Anche Commissione europea conferma questo ritorno economico delle politiche sostenibili: ogni euro investito nel ripristino dei terreni offrirebbe un rendimento compreso tra 8 e 38 euro.
Il rapporto “The Biodiversity Crisis Is a Business Crisis”, pubblicato da BCG nel 2021, illustravano già gli impatti che la biodiversità può avere sul business e ora BCG lo ha aggiornato per capire come le imprese possano costruire una “cassetta degli attrezzi” per procede verso la transizione sostenibile e dice che «Bisogna cominciare dalla misurazione dei propri impatti sugli ecosistemi naturali e delle dipendenze dai servizi offerti della natura, ampliando il focus a tutta la catena del valore. Essenziale poi adottare un approccio strategico alla valutazione di rischi e opportunità per supportare le decisioni di investimenti e finanziamenti. In questo contesto, il framework definito dalla Taskforce on Nature-related Financial Disclosures (TNFD) con le raccomandazioni e le linee guida per la divulgazione dei dati sulle tematiche inerenti alla natura rappresenta una guida pratica per le aziende».
Quel che è certo è che, come evidenzia il nuovo report BCG, «I dati scientifici sullo stato di salute della biodiversità in Europa dimostrano quanto l’attuale approccio non stia funzionando. Pertanto, si è reso necessario agire a livello legislativo: la EU nature restoration law ha l’obiettivo di ripristinare lo stato di degrado cui versano attualmente gli ecosistemi naturali. Questo porterà a una serie di benefici interconnessi, come la cattura delle emissioni di CO2, la maggiore protezione da calamità naturali dovute al cambiamento climatico, l’aumento della sicurezza alimentare, nonché una maggiore resilienza delle supply chain. Indirettamente, la normativa può avere impatti positivi sulla vita umana e la sua salvaguardia».
Boston Consulting Group conclude: «Adottare una strategia a tutela della biodiversità porterebbe alle aziende anche altri benefici: assicurare la resilienza del business, mitigando i rischi fisici dovuti al degrado degli ecosistemi naturali da cui dipendono le supply chain globali e rispondendo ai requisiti legislativi in tema di natura; allo stesso tempo, porsi come leader della biodiversità permette di trarre vantaggio competitivo, accedendo a nuovi mercati di prodotti e servizi sostenibili e riducendo i costi attraverso catene di fornitura nature-based».