Parchi e Presidi ambientali permanenti per ripristinare la cura del territorio

Dal Piano del Parco nazionale del Cilento alle buone pratiche che sarebbe già possibile implementare per la difesa degli equilibri idrogeologici a livello nazionale

[6 Dicembre 2022]

Il continuo consumo di suolo, di portata ormai così estesa da intaccare irrimediabilmente gli equilibri ecologici già minati dai cambiamenti climatici, ci impongono di valutare condizioni e strumenti integrati per la cura del territorio[1] e la sicurezza degli insediamenti, con modelli di presidio e continuità d’azione con gli organismi nazionali preposti: tra essi i Parchi nazionali, che a norma dell’art. 1 della legge quadro sulle aree protette dovrebbero occuparsi tra l’altro, di “difesa e ricostruzione degli equilibri idraulici e idrogeologici”.

Certo che alle riduzione impressionante delle aree gestite dalle aziende agricole (per urbanizzazione, abbandono, desertificazione ambientale) non poteva soccorrere da sola l’azione delle Aree protette che, pur essendo i veri “laboratori ecologici” con e sui territori, sperimentato un preoccupante stato di marginalizzazione nelle politiche nazionali, con carenza croniche di personale e carichi burocratici sempre più insopportabili. Una progressiva riduzione di competenze e di ruolo, proprio nel momento in cui sono necessari maggiori attenzioni nella transizione ecologica come ci indica la Strategia europea della biodiversità 2030.

A fronte dei processi di abbandono, la crescente consapevolezza ambientale ha spostato progressivamente l’attenzione dei tecnici come dei cittadini: dalle scelte a favore di una artificializzazione sempre più spinta del territorio e della rete idraulica alla ricerca di nuovi equilibri, che incorporino un maggiore livello di naturalità della rete e degli ambienti fluviali. Cresce dunque l’esigenza di restituire spazio e funzionalità ai fiumi e alle loro dinamiche ecologiche, ripristinando adeguati livelli di manutenzione del territorio, compensando e risarcendo i danni prodotti nel passato.

La naturalizzazione del reticolo idraulico e delle sue pertinenze non può peraltro prescindere dalla più accentuata esigenza di esercitare, in contemporaneo, una diffusa azione di manutenzione del territorio sotteso, sia quando esso è interessato da usi (compatibili o da rendere tali), sia quando è abbandonato o dismesso o malgestito, governandone in tal caso i processi di naturalizzazione e/o invece il recupero e rigenerazione dei suoli e degli usi produttivi.

La manutenzione

Se quindi intendiamo la manutenzione come attività continuativa e diffusa per ripristinare, migliorare e garantire la piena funzionalità del territorio, dobbiamo in primo luogo identificare i sistemi territoriali e chiederci in quale stato essi si trovano in relazione alle funzioni che desideriamo essi assolvano e agli obiettivi condivisi ad essi assegnati (servizi ecosistemici) e loro monetizzazione.

L’attività di manutenzione, così intesa, diviene strumento fondamentale dell’equilibrio tra l’evoluzione dei fenomeni naturali e le attività antropiche.

Una attività di manutenzione che agisca coniugando obiettivi di sicurezza, rigenerazione dei suoli, qualità ambientale e del paesaggio, come requisiti imprescindibili e autentica misura delle effettive condizioni di ben-essere e di qualità della vita e della sostenibilità nella gestione delle risorse e del suolo. Per questo la manutenzione non può essere confinata ad un insieme di interventi puntuali e circoscritti per la riparazione di situazioni locali compromesse, ma richiede un approccio unitario e una visione integrata e multidisciplinare che abbracci i fenomeni naturali ed antropici che caratterizzano i bacini idografici, attraverso la difesa e ricostruzione degli equilibri idraulici e idrogeologici.

Presidi ambientali permanenti per rigenerare la cura territoriale

I Presidi ambientali permanenti (Pap), dopo il disastro di Sarno avvenuto nel salernitano nel 1998, nascono nel Cilento tra i Piani d’azione dell’Ente Parco nazionale, come emerge dalle norme di attuazione del Piano del Parco:

Il Piano di settore per la difesa del suolo e la tutela delle acque, volto a definire le vmisure e gli interventi di prevenzione ai fini della sicurezza idrogeologica e della corretta gestione delle acque, per assicurarne il miglior coordinamento con le misure di competenza delle Autorità di bacino, dell’Autorità di ambito della Provincia e degli organi di Protezione civile, nel rispetto delle esigenze di tutela paesistica ed ambientale istituzionalmente garantite dall’Ente Parco. Il Piano: – individua le situazioni di dissesto, descrivendone i caratteri e i fattori causali: di rischio di piena per effetto di ostruzioni o restringimenti che ostacolano il normale deflusso delle acque, o di carenze gestionali nella manutenzione degli alvei fluviali; di instabilità dei versanti per fenomeni franosi o incendi; dei processi di arretramento e erosione della costa; del deterioramento quantitativo e qualitativo delle acque. A tal fine: – definisce le proposte di intervento e le misure di protezione, di mitigazione e di superamento del rischio e degrado;

– definisce le fasce fluviali con diverso grado di protezione in funzione anche degli ecosistemi ad essi collegati, secondo le indicazioni espresse all’art .9 delle norme di attuazione del PP;

– individua gli interventi e le misure di controllo per il mantenimento del deflusso minimo vitale, la razionalizzazione dei prelievi ad uso potabile, agricolo, produttivo ed energetico e il miglioramento qualitativo delle acque e degli ecosistemi collegati.

garantisce la consistenza istituzionale al Presidio ambientale permanente e al Sistema di monitoraggio ambientale già attivati dal Parco;

I servizi operativi , appoggiati alle strutture dell’Ente Parco e comprendenti in particolare:

– il Presidio ambientale permanente,

– l’Osservatorio della biodiversità e della diversità paesistica,

– l’Osservatorio epidemiologico della fauna selvatica,

– l’Osservatorio per l’applicazione della Convezione europea del paesaggio,

– il Sistema plurisettoriale di monitoraggio ambientale,

– il Sistema informativo territoriale, con relativa cartografia e banche dati plurisettoriali, per le

elaborazioni Gis e di telerilevamento,

– il Servizio di assistenza ai Comuni per la gestione e pianificazione urbanistica”.

Quanto di questo è rimasto nel Parco del Cilento non è dato purtroppo sapere, in una fase di commissariamento dell’Ente.

Le attività di monitoraggio dei Presidi ambientali permanenti, costituiti da esperti e giovani geologi, naturalisti, informatici ambientali, insieme alle squadre operative d’intervento per le attività di manutenzione provenienti dai bacini dei lavoratori socialmente utili dell’Ente, erano programmate e pianificate secondo le seguenti azioni:

“ a) la difesa del suolo, attraverso l’acquisizione di dati quantitativi e qualitativi, e il controllo delle situazioni evolutive nelle aree a rischio con l’attività dei Presidi Ambientali, nonché la formazione di una banca dati territoriale (nell’ambito del SITA) per la gestione delle informazioni utili alla difesa del suolo ed alla gestione delle risorse idriche;

b) la prevenzione degli incendi con la definizione delle aree a rischio e la formazione di linee guida di orientamento alle attività di prevenzione e di recupero delle aree incendiate in raccordo con le Comunità Montane del Parco;

c) il controllo, la difesa e il ripristino delle “specie alloctone” attraverso l’analisi della consistenza, distribuzione e diffusione delle specie;

d) il controllo del livello quantitativo e qualitativo delle acque con particolare riferimento ai prelievi (ai fini di riduzione delle dispersioni e degli abusi, e di razionalizzazione delle captazioni), ai rilasci (per garantire il deflusso minimo vitale), alle fonti inquinanti, agli effetti di tali attività sulle biocenosi acquatiche;

e) il controlli dell’evoluzione della biocenosi nella rete dei boschi vetusti individuati dal Piano;

f) la biodiversità, attraverso il monitoraggio dello stato delle diverse specie e delle comunità e i fenomeni innovativi o degenerativi legati alle attività agro – pastorali (protezione del patrimonio genetico varietale, abbandono, intensificazione delle coltivazioni, competizione alimentare);

g) i siti ed i beni di interesse storico-culturale, facenti parte degli ambiti di eccezionale valore del paesaggio culturale, con particolare riferimento a quelli inseriti nella World Heritage List (Paestum, Velia e la Certosa di Padula)”.

A solo titolo esemplificativo, al fine di garantire la continuità ecologica dei corsi d’acqua, le norme di attuazione prevedevano per ogni nuovo intervento in alveo la realizzazione di idonei accorgimenti, quali le scale di rimonta, per il passaggio e la diffusione dell’idrofauna, e la tutela o il ripristino della vegetazione spondale. Fino alle determinazioni dei deflussi minimi vitali, da definirsi di concerto con altri Enti competenti in materia, l’Ente Parco assume i seguenti criteri di valutazione:

“a) per i corsi d’acqua ammettere derivazioni solo ove sia garantita una continuità naturale di deflusso in superficie e subalvea e sia dimostrato che il flusso residuo permanente a valle dell’intervento consenta la sopravvivenza delle naturali popolazioni biologiche, sulla base di analisi in situ a cura del Presidio Ambientale Permanente e dell’Osservatorio della Biodiversità, con riserva di sospensione;

b) per le sorgenti ammettere derivazioni solo ove sia consentita la sopravvivenza delle naturali popolazioni biologiche, eventualmente valutata da analisi ad hoc a cura del Presidio Ambientale Permanente e dell’Osservatorio della Biodiversità, con riserva di sospensione. Le captazioni prive di regolare titolo, per le quali non è stata presentata domanda, sono immediatamente interrotte a spese dell’utente responsabile, fatto salvo il ricorso per danno ambientale da parte dell’Ente Parco. Le concessioni esistenti sono soggette a revisione con la stipula di un protocollo di gestione della risorsa idrica locale”.

I territori dei Parchi oggi vivono il paradosso di essere i luoghi della tutela e della bellezza e ricchezza italiana, ma anche i luoghi dello spopolamento e dell’abbandono.

Questi stessi territori, però, nel periodo della pandemia Covid-19 hanno riacquistato funzione e ruolo attrattivo in veste di turismo smart. Qui, inoltre, l’intervento della “terza missione” delle Università italiane[2], come anche la riabilitazione del personale della forestazione delle ex comunità montane (si pensi alle agenzie regionali di gestione forestale), o il possibile impiego delle persone abili al lavoro che usufruiscono del reddito di cittadinanza – riqualificate al nuovo modello di gestione sostenibile e pianificato come nel caso dei Presidi ambientali permanenti – possono fornire il luogo di rilancio dei Pap che, oltre alle garanzia di una continua azione di manutenzione e gestione dei territori d’eccellenza del Paese, potranno sperimentare metodi e modelli di avanguardia per le aree non altrettanto tutelate ma sicuramente altrettanto fragili diffuse lungo l’Italia.

A partire dai Parchi naturali (nazionali e regionali) è possibile avviare uno nuovo scenario per la gestione e manutenzione del territorio, una nuova consapevolezza del patrimonio naturale che questa nazione deve attenzionare, rispettare e amare, assicurando con i Presidi ambientali permanenti  un’azione di governo (sorveglianza, manutenzione, controllo e sicurezza) per accompagnare la transizione verso diversi usi e funzioni a minore intensità dei prelievi, o per ripristinare un percorso di uso economico, sostenibile, dello spazio già antropizzato, promuovendo così la difesa e ricostruzione degli equilibri idraulici e idrogeologici.

[1] Oltre alla variazione quantitative delle attività manutentive, occorre tener conto di alcuni ulteriori aspetti che si possono considerare come elementi di peggioramento della “qualità manutentiva”, riguardanti la complessità delle matrici di biodiversità e paesaggio, acqua, aria e suolo.

[2] “apertura verso il contesto socio-economico mediante la valorizzazione e il trasferimento delle conoscenze”, in una concezione più attuale che include oltre alle attività di valorizzazione economica della ricerca, anche iniziative dal valore socio-culturale ed educativo.