Parchi italiani, da dove ripartire
[11 Gennaio 2016]
Con il saluto di Mattarella anche i parchi tornano finalmente in discussione. E questa volta dovremo rimetterci mano senza trucchi e manfrine. Smettendola insomma di lamentarci che la legge è vecchia e va cambiata altrimenti non possiamo fare niente. Se di una legge, infatti – specialmente se “quadro” come la 394 – vogliamo verificare sul serio la sua validità ed efficacia dopo oltre un ventennio, cioè se e come ha risposto alle sue finalità, bisogna partire dai suoi risultati concreti. Solo così potremo capire innanzitutto se in che misura è stata attuata e rispettata e con quali esiti. Le proposte di modifica partite nel 2011 e ora ancora all’esame del Senato si sono badate bene invece dall’avviare questa riflessione critica, al contrario senza neppure prendersi la briga di accompagnarle con relazioni e documentazioni degne della più elementare tradizione parlamentare si limitano a tradirne ruoli e compiti con proposte fasulle che ne ridimensionano proprio i compiti.
Letta e Orlando alla Sapienza di Roma ripresero questa riflessione critica a cui come Gruppo di San Rossore contribuimmo con un nostro Quaderno. Purtroppo a quella ripartenza è seguita, come nella peggiore tradizione, una nuova battuta d’arresto. Da cui bisogna uscire e alla svelta. E questa volta bisogna farlo partendo dall’inizio, ossia da cosa prevedeva e si prefiggeva il testo approvato nel 1991, non dimenticando peraltro che esso giunse al giro finale facendo ancora riferimento solo ai parchi nazionali. La inclusione dei parchi regionali comportò la necessità di prevedere la istituzione di un sistema nazionale di aree protette a cui era preposta anche la Carta della Natura. Per questo fu previsto un comitato di programmazione nazionale in cui Stato, Regioni ed Enti locali avrebbero dovuto concordare una gestione unitaria sia sul piano istituzionale che territoriale per tipologie (aree marine, terrestri,fluviali etc.) Da qui la necessità di una “anagrafe” veramente classificatoria dei nostri parchi che non ha mai visto la luce, come non l’ha vista la Carta della natura e poi anche quella della biodiversità. Ebbene quella norma chiave durò lo spazio di un mattino e con la norma sparì anche qualsiasi iniziativa volta a realizzare quella strategia. E che le bislacche proposte di legge attualmente in discussione manco ne facciano riferimento la dice lunga su quel che bolle in pentola. Quando poi con la Bassanini questi problemi sono stati riproposti alla luce dei nuovi assetti istituzionali, tanto per cambiare non è successo niente: tutte le cose previste e proposte dal ministero sono state puntualmente e totalmente ignorate. Idem dicasi per il successivo Codice dei beni culturali che ha sottratto alla pianificazione dei parchi il paesaggio, manomissione incassata senza colpo ferire da regioni, enti locali e dagli stessi parchi al punto che vien da dire che chi è causa del suo male pianga se stesso. Di tutto questo nelle proposte attualmente in discussione non soltanto non c’è nulla, ma ci sono proposte come quella di togliere alle Regioni qualsiasi competenza sia pur modesta sul mare che ovviamente aggraverebbero la già scombinata situazione nazionale.
Solo una riflessione come quella sullo stato dell’arte dei parchi cui avrebbe dovuto mirare la terza Conferenza nazionale – e che non a caso è stata rifiutata – può mettere finalmente in chiaro cosa oggi dipende dalla politica e cosa eventualmente dalla legge. Solo a quel punto, cioè con il rilancio di una politica nazionale, sarà possibile mettere mano in modo realmente adeguato anche a quelle norme che risultassero bisognose di correzioni e aggiustamenti. Insomma quella che manca non è una legge adeguata, ma una politica e una gestione non più rinviabile.
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