Incontro Federparchi - AIDAP
Parchi, ma c’è ancora spazio (anche economico) per le Aree Protette in Italia?
[23 Settembre 2013]
Federparchi e AIDAP, l’Associazione italiana dei direttori e dei funzionari delle aree protette, hanno avuto un incontro sui progetti di modifica della 394. La delegazione di Federparchi era composta dal Presidente Giampiero Sammuri (Nella foto), dai Vicepresidenti Cerise e Sanna e dal direttore Francesco Carlucci. Per L’AIDAP, invece, presenti il Presidente Andrea Gennai, Esposito e Capone. «Si è parlato – spiega Sammuri – in modo pragmatico tra persone che conoscono profondamente i problemi dei parchi, evitando di toccare temi di filosofia di gestione delle aree protette, ma analizzando punto per punto le proposte di modifica della legge per capire se potevano essere migliorative o peggiorative dell’attuale».
Il primo dato da rilevare è che non sono emerse differenze tra AIDAP e Federparchi sui contenuti e gli obiettivi.
Le differenze di valutazione riguardavano come un articolo traduceva in norma un obiettivo, se era chiaro o era ambiguo e quindi si prestava a valutazioni non coerenti con l’obiettivo.
In molti casi questo confronto ha prodotto delle proposte condivise di modifica dei vari articoli, che sicuramente verranno proposti in audizione alla Commissione Ambiente del Senato.
E’ stato inoltre convenuto che è utile sfruttare fino in fondo questo momento di interesse del Parlamento per le Aree Protette. «È stata anche l’occasione – prosegue Sammuri – per chiarire, almeno tra noi, alcuni luoghi comuni che, chissà perché, si sono diffusi senza alcun fondamento reale circa le posizioni di Federparchi sul decreto D’alì. Perché di quel testo Federparchi condivide sicuramente molte cose, ma non tutto; e per questo motivo lavorerà per migliorarlo. A scopo esemplificativo è stata affrontata una delle questioni più controverse, oltre che la più innovativa: quella delle royalties. La posizione di Federparchi è la seguente. In tutto il mondo i parchi sono sostenuti principalmente da finanziamenti pubblici. Succede in Europa, Australia, Stati Uniti, Cina, nei paesi industrializzati in quelli emergenti, nel terzo mondo. Chi in passato ha pensato alla possibilità di parchi autosufficienti dal punto di vista economico, girando il mondo, si è dovuto ricredere. È una cosa che non esiste e, da un punto di vista strettamente finanziario, impossibile. Cosa diversa è se si fa un bilancio costi-benefici complessivo, valutando la resa dei servizi ecosistemici forniti dai parchi e la ricaduta sull’economia della loro attività (turismo, agricoltura, pesca, etc.). Le entrate proprie di un parco quindi possono essere solo aggiuntive ad un finanziamento pubblico e in questa ottica vanno valutate le royalties. Per molte delle royalties previste nel DDL il titolare paga già quote nei confronti di vari soggetti e in alcuni casi questi sono anche molto numerosi. L’unico soggetto che non è considerato in questo contesto è il parco, che oltretutto, per determinate attività, è il primo che interviene mitigando gli effetti ambientali. Inserire anche il parco tra i soggetti beneficiari di un ristoro significo dare una dignità maggiore a un soggetto che lavora prioritariamente per la biodiversità. Il provvedimento, quindi, dovrà riguardare solo le attività già presenti nel parco al momento dell’entrata in vigore della legge. Inoltre non tutte le attività sottoposte a royalties nel Decreto di legge è giusto che lo siano. Questa è la nostra posizione, scritta e consegnata nel corso dell’audizione alla Commissione Ambiente del Senato del 5 ottobre 2011, unico documento ufficiale di Federparchi sull’argomento».
A conclusione dell’incontro i vertici di Federparchi hanno ribadito l’apertura a tutti quei soggetti del mondo ambientalista che volessero dialogare con la Federazione su contenuti e norme. «La nostra porta è sempre aperta – ha concluso Sammuri – anche se talvolta ho l’impressione che ci sia qualcuno che si diverte a chiuderla sulla mano tesa…».
Ma siamo sicuri che oggi la crisi dei parchi – perché di crisi si tratta – sia per i parchi nazionali che per quelli regionali, non è dovuta, come negli ultimi anni si è cercato da più parti anche ‘istituzionali’ di accreditare, alla legge invecchiata, ma alle politiche nazionali e anche regionali dissennate? La causa dei guai non soltanto finanziari dei Parchi è da ricercarsi innanzitutto e soprattutto nelle scelte o non scelte dei governi (tutti) a partire soprattutto con tagli con argomento, ad esempio, che i parchi erano ormai diventati dei ‘poltronifici’ e così era bene pensare a ‘privatizzarli’ secondo le logiche che hanno portato a mettere in svendita i nostri beni comuni.
Oggi si sprecano i servizi e i dati per dimostrare che i parchi sono una ricchezza, un patrimonio che attira milioni di turisti anche stranieri. Patrimonio pubblico, di beni comuni di natura, paesaggio, cultura che solo in Italia si può pensare e dire che non deve gravare sul bilancio dello stato e delle istituzioni magari per dismetterlo e privatizzarlo. L’Europa come i congressi internazionali dell’UICN guardano in ben altra direzione per il ruolo dei Parchi considerati non a caso un ponte tra natura e cultura e quindi di una nuova gestione del territorio all’insegna dell’ambiente e non del suo smantellamento come sta avvenendo da anni all’insegna del condonismo e del consumo del territorio.