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I parchi oggi
[25 Marzo 2014]
Tra le non molte novità che negli ultimi tempi abbiamo registrato nel panorama nazionale sui temi ambientali possiamo annoverare senz’altro una ripresa d’attenzione sul tema dei parchi e aree protette.
Si dirà che da 4 anni il senato sta discutendo tra stop and go una proposta di legge di modifica della legge 394 a cui strada facendo se ne sono aggiunte altre due del Pd e di Sel. Ma per quanto possa apparire paradossale -e sicuramente lo è rispetto ai più significativi e importanti precedenti parlamentari- questa sortita si è rivelata subito e sempre più chiaramente fino ai recenti sviluppi rivolta a nascondere e giustificare le gravi responsabilità politiche e istituzionali dei vari governi scaricandole strumentalmente e ipocritamente sulla legge. Del resto quando si mette mano ad una legge quadro -e la 394 lo è con tutti i crismi costituzionali- per apportarvi rilevanti modifiche è dovere elementare sempre rispettato in sede parlamentare di motivarne le ragioni documentando – con fatti e dati non fumosi alla mano- perché quelle modifiche siano necessarie e giustificate e persino urgenti. Esigenza tanto maggiore nel caso appunto di una legge quadro che prevedeva e prevede una relazione annuale al parlamento sullo stato dell’arte e che coinvolge con le responsabilità dello stato anche quelle delle regioni e degli enti locali.
La furbata risultava tanto più sconcertante dal momento che scopo dichiarato dal primo testo D’Ali era quello di rilanciare in particolare le aree protette marine sempre malgestite e maldigerite dal ministero che si è notoriamente sempre infischiato del testo della 394 a partire da Ronchi. Ma la proposta D’Alì apparì subito ancor meno giustificabile e condivisibile perché senza neppure prendersi la briga di dedicargli una riga di spiegazione prevedeva in apertura -come ho avuto modo di ricordare con scarsa fortuna tante volte- di cancellare dalla 394 qualsiasi ruolo regionale previsto ‘per brevi tratti di costa prospicenti’ le regioni.
Se sorprendente era la norma non lo fu meno allora e in seguito –almeno fino al più recente documento della Conferenza delle regioni- il silenzio delle regioni che pure nessuno si era preso la briga di consultare.
E non meno sconcertante fu e rimane quello di Federparchi che ha svolto e continua a svolgere il ruolo di pompiere –ma è un eufemismo- anche nei confronti di gran parte delle associazioni ambientaliste che su quelle proposte di legge hanno sempre manifestato dubbi e critiche. Anche qui sono obbligato a ricordare essendomene a lungo occupato per conto di Federparchi che la rappresentanza dei parchi a partire da CIP (coste italiane protette) con sede al parco del Conero e d’intesa con la regione Marche aveva messo a punto importanti e serie proposte presentate poi alla seconda Conferenza nazionale dei parchi di Torino e accolte dal ministero che poi tanto per cambiare le ignorò. In questi 4 anni l’associazione dei parchi non è stata in grado o non ha voluto e saputo muover foglia se non con insignificanti e un po’ penosi emendamenti. Eppure per più d’un aspetto gli bastava ricorrere ai suoi archivi, se li ha!
Con Orlando qualcosa cambia
È a fronte di questa poco edificante situazione che aveva visto circolare anche le più cervellotiche ipotesi di abrogazione o privatizzazione di parchi sempre più penalizzati e paralizzati da una gestione burocratica nazionale che aveva fortemente e negativamente condizionato anche l’impegno e l’operato delle regioni e le rispettive aree protette che con il ministro Orlando si sono registrati i primi significativi cambiamenti e novità. Se non altro si era finalmente tornati a discuterne con tutti i soggetti interessati sul piano nazionale come a metà dicembre del 2013 alla Sapienza di Roma. Ma di nuovo anche se ancora tra non poche difficoltà non c’era solo il ritorno in agenda governativa dei parchi. La novità forse anche più importante e stimolante sul piano politico, culturale e istituzionale è che la discussione sul ruolo dei parchi si accompagnava ad una riflessione su come essi avrebbero ora dovuto raccordarsi a nuove politiche ambientali e di governo del territorio che mettessero nel conto l’economia, il suolo, il paesaggio non più separabili da politiche di tutela contrastanti gli interessi speculativi, di consumo del territorio e di cementificazione variamente giustificate e condonate.
Questo era stato il tema affrontato dal ministro Orlando in una sua lezione alla Scuola Sant’Anna di Pisa pochi giorni prima del suo passaggio ad altro ministero nel nuovo governo Renzi. Era l’dea che gli interventi di tutela e non solo dei parchi e delle aree protette non possono entrare in partita ‘dopo’ come il 118 o la Protezione civile. I danni insomma vanno prevenuti e non rimediati alla meno peggio quando i costi si misurano anche in vite umane.
Il cambio di ministro ha gioco forza interrotto quel che aveva cominciato a cambiare ma quell’impegno il governo e il ministero devono assolutamente riprenderlo.
Perché urge ripartire
Abbiamo accennato alla vicenda tormentata delle aree protette marine ed è proprio su questo fronte che dopo tanta e prolungata latitanza avevamo registrato una importante e interessante novità che sarebbe imperdonabile non riprendere e alla svelta.
Come Gruppo di San Rossore avevamo già nel giugno del 2013 concordato in un incontro con Orlando un Quaderno sul rilancio dei parchi consegnato poi al ministro e presentato all’incontro nazionale della Sapienza. Il 28 gennaio di quest’anno fummo di nuovo convocati da Orlando a cui avevamo fatto pervenire una nostra proposta per la istituzione presso il Parco di San Rossore e d’intesa con la regione Toscana di un Osservatorio sul mare e le aree protette marine’.
Di questa ipotesi avevamo cominciato a discutere dopo l’inaugurazione del porto a Boccadarno (nel cuore del parco e del santuario dei cetacei) e dopo che il ministero –caso unico in Italia- aveva affidato al parco regionale di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli la gestione della riserva Marina della Meloria.
Ci sembrava infatti importante e possibile rilanciare una presenza delle aree protette specialmente in un momento così delicato del santuario dopo il disastro del Giglio e la dispersione di veleni nell’area della Gorgona mentre il governo francese protesta per la nostra latitanza. Pensavamo e pensiamo che così avremmo potuto ricollegarci anche a interessanti iniziative di alcuni anni fa quando sulla base di una intesa tra il Parco delle 5 Terre, Federparchi e il Politecnico di Torino avevamo istituito a Riomaggiore un Osservatorio europeo dei parchi (OPE) e al parco regionale di Montemarcello-Magra a Sarzana un Centro studi sulle aree protette fluviali.
Quando presentammo a Orlando questa nostra ipotesi non solo la condivise ma ci chiese di definirne i compiti e di mettere subito mano ad un secondo Quaderno sulle aree protette marine: lui avrebbe messo i fondi e definito lo strumento di gestione tra ministero, Parco, Regione e Gruppo di San Rossore. Il 10 febbraio a Pisa Orlando mi confermò di averne già parlato anche con il presidente della regione Toscana. Ecco perché il cambio del ministro non deve interrompere questa iniziativa attraverso la quale le aree protette marine possono finalmente svolgere un ruolo finora mortificato da una gestione burocratica che risulta tanto più grave nel momento in cui l’Unione Europea sta lavorando seriamente per integrare la gestione terra-mare che da noi non ha mai attecchito e non certo per colpa della legge 394.
Serve un sistema
Ricompare in sostanza un tema che alcuni anni fa era andato emergendo con sempre maggiore chiarezza e
cioè l’esigenza di passare da un confuso assemblaggio di parchi e aree protette dall’indefinita identità e classificazione a ad un vero e proprio ‘sistema’ in cui stato, regioni ed enti locali riuscissero a mettere a frutto quella ‘leale collaborazione’ a cui aveva puntato prima la legge Bassanini poi il nuovo titolo V; il primo regolarmente ignorato dal ministero e il secondo fallito tanto che se ne sta discutendo il nuovo testo. La conferma più clamorosa di questo fallimento non attribuibile in alcun modo alla legge del 1991 trova conferma innanzitutto come ha ricordato senza sconti la Corte Costituzionale nel fatto che gran parte dei parchi nazionali non sono riusciti a presentare il loro piano condizione fondamentale per qualsiasi gestione imperniata in seri progetti e programmi in grado di avvalersi anche dei fondi comunitari. Situazione a cui ha concorso- anche se finora a nessuno è venuto in mente di tenerne conto- la norma del nuovo Codice dei beni culturali che ha sottratto ai piani del parco il paesaggio e proprio all’indomani della firma a Firenze da parte del nostro paese della Convenzione Europea. Tanto che in più regioni ci si affrettò persino a togliere ai parchi regionali il Nulla Osta da sempre rilasciato e gestito –e bene- dall’area protetta e non più dalle Sopraintendenze.
D’altronde dalla legge quadro era stata già cancellata la programmazione triennale a cui si sarebbe dovuto tuttavia sostituire qualcosa di più concretamente gestibile che come sappiamo non fu mai concretizzato nonostante la chiara norma della Bassanini rimasta come tante altre lettera morta.
Stiamo parlando di cose di cui non vi è traccia nel dibattito del senato e neppure nell’impegno delle regioni e dell’ associazione dei parchi schierata a difesa del bidone –a tutti gli effetti- del senato. Nella legge D’Ali e soci è persino prevista la monetizzazione di interventi di fatto non ecosostenibili nel territorio dei parchi.
Conclusione
Questa nota è poco più di un sommario pro-memoria
Innanzitutto per noi perché come Gruppo di San Rossore vogliamo continuare a contribuire alla messa a punto nazionale di impegni a cui da poco si era messo mano. E vogliamo pure contribuire nelle diverse realtà regionali e interregionali dove sebbene tra incertezze e ritardi si sta cercando di rimettere in campo le aree protette. Penso alla Toscana ma anche all’Emilia –Romagna, al Trentino- Alto Adige, alla Val d’Aosta , alla Sardegna, alla Liguria, al Veneto e in particolare al sud. Faremo del nostro meglio con le nostre conoscenze, competenze e esperienze per uscire dall’angolo.