Per resistere ai cambiamenti climatici meglio essere un toporagno che un alce
[28 Gennaio 2014]
Uno studio di un team dell’università del Colorado-Boulder, guidato da Christy McCain, ha esaminato più di 1.000 diversi dossier scientifici sulle risposte dei mammiferi del Nord America ai cambiamenti climatici causati dall’uomo, e alla fine – selezionandone 140 che contengono le risposte delle popolazioni di 73 specie di mammiferi nordamericani – è venuto fuori che un minuscolo toporagno ha 27 volte meno probabilità di doversi adeguare al cambiamento climatico di un gigantesco alce.
Gli studi valutati dal team esaminavano 7 diverse risposte al cambiamento climatico per singole specie di mammiferi: estinzioni locali di specie, contrazioni dell’areale, spostamenti di areale, cambiamenti nell’abbondanza, risposte stagionali, dimensione del corpo e diversità genetica. I ricercatori hanno utilizzato modelli statistici per scoprire se le risposte dei 73 mammiferi ai cambiamenti climatici riguardano aspetti della loro fisiologia e del comportamento o della localizzazione della popolazione studiata.
La ricerca ha dimostrato che «Solo il 52% delle specie di mammiferi ha risposto come previsto ai cambiamenti climatici, mentre il 7% ha risposto al contrario delle aspettative e per il restante 41% non c’è stata una risposta rilevabile». Dallo studio viene fuori che le due caratteristiche principali legate all’adeguamento ai cambiamenti sono la dimensione dei mammiferi e il tempo di attività durante l’arco di 24 ore di una giornata.
Lo studio, finanziato dalla National Science Foundation, è stato pubblicato su Global Change e spiega che «Mentre la dimensione corporea era di gran lunga il miglior predittore della risposta al cambiamento climatico – quasi tutti i più grandi mammiferi hanno risposto negativamente – il nuovo studio ha anche mostrato che i mammiferi attivi solo durante il giorno o solo di notte avevano due volte più probabilità di rispondere al cambiamento climatico dei mammiferi che hanno tempi di attività flessibili».
McCain, che lavora al dipartimento di biologia evolutiva dell’università statunitense, sottolinea che «Questa è la prima volta che qualcuno ha identificato tratti specifici che ci dicono quali mammiferi stanno rispondendo al cambiamento climatico e quali no. Io e il mio team siamo rimasti sorpresi da alcuni dei risultati. Nel complesso lo studio suggerisce che la nostra grande fauna carismatica, animali come volpi, alci, renne e bighorn, potrebbero essere maggiormente a rischio per il cambiamento climatico. Non è chiaramente il caso di pensare che tutti gli animali rispondano in modo simile ed uniforme alle variazioni di temperatura»
I ricercatori hanno confermato che le specie che vivono più a nord o nelle zone più elevate, come l’orso polare, la pica americana (Ochotona princeps) e la tamia di allen (Neotamias senex) hanno più probabilità di dover rispondere al cambiamento climatico di mammiferi che vivono a latitudini o ad altitudini più basse. Inoltre la capacità di un mammifero di andare in letargo/ibernazione in una non si è rivelato un buon predittore del fatto d se una specie risponda o meno al cambiamento climatico. Le piche americane sono scomparse da alcuni siti che occupavano nel West Usa, mentre le e le tamie di allen sono in declino nel Yosemite National Park in California.
McCain dice che «Uno dei risultati più interessanti dello studio è che alcuni piccoli mammiferi possono trovare riparo dai cambiamenti climatici utilizzando una gamma più ampia di “micro-climi” disponibili nella vegetazione e nel suolo». Lo studio ha confrontato i risultati con gli eventi del K-T boundary di 66 milioni anni fa, quando un asteroide colpì la Terra, cambiandone drasticamente il clima e uccidendo i grandi dinosauri, ma risparmiando molti dei piccoli mammiferi che trovarono un rifugio sotterraneo adatto a proteggerli da uno dei più grandi cataclismi vissuti dal nostro pianeta.
McCain conclude: «Penso che la cosa più affascinante del nostro studio è che ci possono essere alcuni tratti come la dimensione del corpo e le attività e i comportamenti che consentono alcuni mammiferi più piccoli di ampliare la gamma di temperatura e umidità a loro disposizione. Queste aree e condizioni non sono disponibili per i mammiferi più grandi che vivono al di sopra della vegetazione e hanno esperienza solo della temperature ambiente. Il l nuovo studio si basa su un crescente corpo di informazioni globali che documenta i mutevoli comportamenti e gli ambienti di organismi come fiori, farfalle e uccelli in risposta a un mondo in fase di riscaldamento. Se saremo in grado di determinare quali mammiferi stanno rispondendo ai cambiamenti climatici e quelli che sono a rischio di scomparsa, quindi, pote remo adattare maggiormente gli sforzi di conservazione verso quelle singole specie. Speriamo che questa potenziale perdita o declino dei mammiferi iconici nazionali stimolerà più persone a frenare gli impatti climatici riducendo l’uso eccessivo di combustibili fossili».