Petrolio delle sabbie bituminose, l’inizio della fine di un colosso “imbattibile”
I prezzi del petrolio crollano, gli oleodotti vengono bocciati e la politica prende le distanze
[3 Febbraio 2016]
Nell’estate del 2014, quando il petrolio veniva venduto per 114 dollari al barile, l’industria delle sabbie bituminose dell’Alberta sembrava inarrestabile e tutti – meno gli ambientalisti – prevedevano che entro il 2035la sua produzione sarebbe triplicata. Come ricorda su Yale Environment 360 Ed Struzik, un giornalista e scrittore esperto di Artico, multinazionali come Suncor, Statoil, Syncrude, Shell e Imperial stavano investendo centinaia di miliardi di dollari in nuovi progetti per estrarre il petrolio più sporco e costoso del mondo e l’ex il primo ministro canadese, il conservatore Stephen Harper, era certo che alla fina il mega-oleodotto Keystone XL, che avrebbe dovuto portare il petrolio dell’Alberta fino alle coste del Texas, si sarebbe fatto, con o senza l’approvazione del presidente Usa Barack Obama. Ma alla fine Harper non è più premier del Canada e Obama ha detto no al Keynston XL, trovando una tiepida opposizione di facciata da parte dei Repubblicani, consapevoli che l’oleodotto era ormai superato da un prezzo del petrolio precipitato a 30 dollari al barile, che stava “uccidendo” le sabbie bituminose.
Ma la stenua opposizione delle nazioni indigene, degli ambientalisti e delle comunità locali canadesi sta bloccando anche i progetti alternativi per costruire gasdotti che potino il greggio delle sabbie bituminose fino alle coste del Pacifico e dell’Atlantico canadese. Intanto nel maggio 2015 nell’Alberta è stato eletto, per la prima volta, un governo di centro-sinistra e la nuova premier, Rachel Notley, si è impegna ad attuare politiche di contrasto al cambiamento climatico e ad aumentare le royalty per il petrolio e il gas, che nell’Alberta sono tra le più basse del mondo. Ma la svolta politica più grossa potrebbe esserci stata ad ottobre, quando gli elettori canadesi si sono sbarazzati dell’ecoscettico Harper ed hanno eletto premier il liberale Justin Trudeau. A dicembre Trudeau ha giurato di non essere un “pipeline cheerleader” e che avrebbe preso in considerazione le emissioni di gas serra per valutare i progetti degli oleodotti. Intervenendo al al World Economic Forum di Davos, Trudeau ha detto: «Il mio predecessore ha voluto farvi conoscere il Canada per le sue risorse. Voglio che conosciate i canadesi per la nostra intraprendenza».
Struzik sottolinea: «Anche se non sembra ancora il momento di alzare la bandiera bianca della resa a Fort McMurray, la capitale delle sabbie bituminose nel nord Alberta, l’industria sta improvvisamente attraversando una tempesta perfetta che gli analisti dicono che ha alterato in modo significativo le sue prospettive». Mark Jaccard, professore di energia sostenibile alla Simon Fraser University di Vancouver, che è stato amministratore delegato della British Columbia Utilities Commission, è tra i molti a pensare che, a causa delle preoccupazioni per il cambiamento climatico e dei bassi prezzi del petrolio, l’era dei megaprogetti delle sabbie bituminose è arrivata al capolinea: «Questo non è certo un bene per le risorse petrolifere ad alto costo, come le sabbie petrolifere. E se Paesi importanti come gli Stati Uniti, la Cina e l’Unione europea continuano nelle loro modesta pressione climatica, ci saranno ulteriori sfide per le fonti di petrolio ad alte emissioni, come le sabbie petrolifere».
Peter Tertzakian, amministratore delegato di ARC Financial Corp., è d’accordo e, già nel settembre 2015, in un’intervista all’Alberta Oil Magazine, aveva detto che dicendo che l’industria petrolifera doveva diminuire l’utilizzo delle sabbie bituminose per passare a risorse più pulite ed efficienti: «Anche prima del crollo dei prezzi c’è stata una tendenza negli investimenti di petrolio e gas – sia da parte delle corporations che dei singoli investitori – ad allontanarsi da progetti a lungo ammortamento con un sacco di rischi esterni e caratterizzati anche da costi di capitale molto elevati. Le sabbie bituminose devono competere per il capitale con tutti i gli altri tipi di progetti petroliferi che sono in giro … Il vecchio paradigma dei campi da 4.000 uomini e con lunghi periodi di costruzione è finito».
Altri esperti di energia e ambientale sono ancora più convinti che, data la costante espansione delle energie rinnovabili e la volontà espressa alla COP21 Unfccc di Parigi di rallentare il riscaldamento globale, le sabbie bituminose sono destinate a scomparire nei prossimi decenni. «Nel regno di sanità mentale, penso che le sabbie bituminose sono finite» Ha detto a Struzik David Schindler, un limnologo ed ecologista dell’università dell’Alberta ha svolto un ruolo fondamentale nel costringere l’industria delle sabbie bituminose a cambiare il modo in cui controlla e segnala l’inquinamento dell’aria e dell’acqua. «Con il loro prodotto che ora è cosìa buon mercato, stanno operando ben al di sotto dei costi – dice Schindler – stanno solo cercando disperatamente di recuperare una parte l’enorme investimento di avvio invece di vedere tutto andare perduto». Secondo Schindler l’industria delle sabbie bituminose resterà in piedi fino a quando resisteranno uno o due dei giganti che ci hanno investito, «Ma alla fine anche loro cadranno. Nuovi investimenti? No, a meno che gli investitori non siano degli idioti totali».
E’ la rivincita degli scienziati, degli ambientalisti e delle comunità indigene che avevano denunciato la distruzione ambientale su vasta scala provocata dalle miniere a cielo aperto delle sabbie bituminose, che prevede lo scavo di pozzi profondi 250 piedi per estrarre le sabbie ricche di petrolio. Negli ultimi 40 anni, l’industria delle sabbia bituminose ha raso al suolo circa 300 miglia quadrate di foresta boreale e di zone umide. Per estrarre il petrolio più inquinante del mondo occorrono grandi quantità di acqua e l’industria petrolifera ha realizzato stagni tossici per gli “sterili” che occupano 70 miglia quadrate e che nessuno ha mai bonificato. L’estrazione e la raffinazione del greggio delle sabbie bituminose produce il 37% in più di emissioni di gas serra del greggio convenzionale e devono fare i conti con molte compagnie che hanno già sdetto che in futuro premieranno le fonti petrolifere con minori costi e minori emissioni e penalizzeranno i grandi inquinatori. Secondo la Wood Mackenzie, una compagnia di consulenza energetica, negli ultimi 18 mesi sono stati annullati o rinviati 16 nuovi progetti per le sabbia bituminose, equivalenti a 800.000 barili al giorno. La sospensione della produzione nell’impianto di Long Lake della CNOOC, è solo uno degli ultimi tentativi di salvare il salvabile da parte dell’industria delle sabbia bituminose.
Anche la Canadian Association of Petroleum Producers (Capp) ha dovuto rivedere le sue rosee ed entusiastiche previsioni sull’espansione infinita delle sabbie bituminose. Nel 2013 prevedeva che la produzione di sabbie bituminose sarebbe passata dai circa 2 milioni di barili al giorno ai 5,2 milioni di barili al giorno entro il 2030. Ma nel 2015 la Capp aveva già ridotto la produzione stimata per il 2030 sabbie bituminose a 4 milioni, una previsione comunque molto ottimistica perché gli analisti prevedono che la produzione potrebbe crollare e che, se i prezzi del petrolio non torneranno al più presto a 60 – 80 dollari al barile (il punto di pareggio), molte compagnie dovranno chiudere. Ma l’International Energy Agency prevede che il petrolio potrebbe non ritornare a 80 al barile fino al 2020 e che aumenteranno di pochissimo almeno fino al 2040. «Se fosse così – scrive Struzik – solo le companies più grandi e più ricche potranno avere abbastanza entrate in riserva per far fronte a questa tempesta». Forse è per questo che si sta assistendo alla fusione di compagnie petrolifere.
Un altro grosso problema per l’industria delle sabbie bituminose è che i progetti di oleodotti come il Keystone eil Northern Gateway «Sono morti o nel braccio della morte», per dirla con Struzik. Altri progetti di oleodotti il Trans Mountain e l’East Energy devono fare i conti con una forte opposizione da parte dei leader indigeni canadesi, i premier delle province e gli amministratori comunali, compresi 82 sindaci del Quebec che a gennnaio hanno detto no all’East Energy Pipeline, che avrebbe dovuto trasportare il greggio delle sabbie bituminose fino all’Atlantico canadese. Ma Jaccard ed altri analisti non danno del tutto per spacciate le sabbie bituminose: «Un conflitto in Arabia Saudita o in Medio Oriente potrebbe tagliare la produzione e far aumentare i prezzi del petrolio – spiega Jaccard – Una esitazione negli sforzi a lungo termine per rallentare il cambiamento climatico potrebbe anche essere di buon auspicio per le sabbie bituminose. Alcune delle più grandi companies delle sabbie bituminose sono ricche e abbastanza innovative da poter superare le sfide tecnologiche che devono affrontare nel trattare le emissioni di carbonio e altre sfide del cambiamento climatico, come la scarsità prevista di enormi quantità di acqua fluviale necessaria per separare il petrolio dalle sabbie bituminose. In tutto questo, una wild card sono i generosi sussidi governativi e le royalties stracciate necessarie per mantenere a galla l’industria delle sabbie bituminose. Tali sovvenzioni potrebbero diminuire o scomparire se l’Alberta e i governi canadesi sposteranno le loro priorità verso l’amunto dei sostegni all’eolico, al solare e al gas naturale, non solo per soddisfare i loro obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2, ma anche per stimolare l’economia».
Secondo un rapporto del 2014 di Clean Energy Canada, la crescita delle energie rinnovabili in Canada ha prodotto più posti di lavoro dell’industria delle sabbie bituminose: 23.700 lavoratori contro 22.000. Dan Woynillowicz, responsabile per le politiche di Clean Energy Canada, evidenzia: «La domanda interessante, allora è come fare in modo che le compagnie delle sabbie bituminose e degli oleodotti si evolvano? Alcune sono diventate players nelle energie rinnovabili, e mentre è ancora una piccola parte della loro attività in corso, sono in realtà alcuni dei più grandi sviluppatori di energia rinnovabile in Canada».
La contraddizione è evidente. L’industria energetica più sporca del mondo che partecipa al suo superamento, ma bisogna tener conto che, anche quando ci sarà il rimbalzo dei prezzi del petrolio, ‘industria delle sabbie bituminose continuerà a subire la concorrenza non solo dell’energia rinnovabile, ma anche del petrolio e del gas da fracking, che torneranno ad essere competitivi.
Schindler, il limnologo che ha predetto che presto Fort McMurray diventerà una città fantasma circondata da laghi tossici e terre desolate, potrebbe aver esagerato, ma non si è sbagliato quando ha sottolineato che gli albertans sono davvero spaventati per u i futuro della loro industria energetica che sembrava imbattibile. Simon Dyer, direttore regionale per Alberta del Pembina Institute, un watchdog dell’industria energetica, ha detto che «IL recente piano del governo dell’Alberta per compensare le emissioni di anidride carbonica delle sabbie bituminose per 100 megatonnellate entro il 2030, dalle 70 megatonnellate odierne, è un chiaro segno che una robusta espansione della produzione non è sulla carta. Quel che non è chiaro e che gli albertans e i canadesi sanno è che il tipo di espansione ci avevano promesso alcuni anni fa non avverrà. Non succederà».