Bisognerebbe investire dai 10 a 20 miliardi di dollari all'anno, ma il ritorno economico sarebbe 10 volte tanto

Possiamo ancora salvare gli oceani e la vita marina, ma il tempo a disposizione è poco

Con politiche giuste e decise gli oceani possono essere risanati con successo entro il 2050

[2 Aprile 2020]

Lo studio “Rebuilding Marine Life”, pubblicato su Nature da un team internazionale di ricercatori, che ha analizzato i successi ottenuti grazie alle aree marine protette e ad altri interventi di salvaguardia in tutto il mondo per capira quali siano le iniziative cruciali che la comunità internazionale può intraprendere per ripristinare la biodiversità oceanica, arriva alla conclusione «La vita marina impoverita negli oceani del mondo potrebbe tornare a livelli sani entro il 2050».

I progetti di conservazione di successo evidenziati dallo studio comprendono il recente aumento del numero di megattere dopo la fine della caccia alle balene nell’Atlantico sud-occidentale che aveva portato le specie al limite dell’estinzione.

Gli oceani sono stati sfruttati dagli esseri umani per secoli, ma gli impatti negativi del nostro coinvolgimento sono diventati chiari solo negli ultimi 50 anni circa. I pesci e altre specie marine sono stati cacciati quasi fino all’estinzione, mentre gli sversamenti di petrolio e altre forme di inquinamento come la plastica hanno avvelenato i mari. Negli ultimi decenni, il crescente impatto dei cambiamenti climatici ha sbiancato i coralli e ha fatto aumentare l’acidità dell’oceano., come è stato documentato nello special report pe ubblicato nel 2019 dall’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc). Ma I ricercatori hanno scoperto che «Mentre l’attività umana ha spesso avuto un impatto devastante sull’ambiente marino, nonostante per decenni gli oceani del mondo siano stati trattati come discarica di rifiuti dell’umanità, esistono prove che la vita marina è straordinariamente resiliente». Mentre durante tutto il XX secolo ci sono state veloci perdite di biodiversità marina, nei primi 20 anni del XXI secolo i cali delle popolazioni di specie hanno rallentato e in alcuni luoghi ci sono stati recuperi: la percentuale di specie marine valutate come minacciate di estinzione globale dalla Lista Rossa Iucn sono scese dal 18% nel 2000 all’11,4% nel 2019.

Uno degli autori dello studio, Callum Roberts del Department of environment and geography dell’università di York, sottolinea che «Il successo di molti progetti di conservazione marina negli ultimi anni dimostra come possiamo fare davvero la differenza nella vita nei nostri oceani se applichiamo le lezioni apprese su vasta scala e con urgenza. La pesca eccessiva e i cambiamenti climatici stanno rafforzando la loro presa, ma c’è speranza nella scienza del ripristino».

Secondo lo studio, se vengono affrontati i cambiamenti climatici e si attuano interventi efficaci su vasta scala, per la maggior parte dei componenti degli ecosistemi marini «il tasso di recupero della vita marina può essere accelerato per ottenere un sostanziale recupero entro due o tre decenni».

I ricercatori hanno identificato 9 componenti fondamentali per la ricostruzione della vita marina, le paludi salmastre, le mangrovie, le praterie di piante sottomarine, le barriere coralline, le alghe, i reef di ostriche, la pesca, la megafauna e gli habitat delle acque profonde. All’interno dei grandi temi della protezione delle specie, lo studio individua delle azioni specifiche che vanno dalla raccolta intelligente delle risou rse alieutiche, alla protezione delle aree naturali, al ripristino degli habitat, alla riduzione dell’inquinamento e alla mitigazione dei cambiamenti climatici. Le azioni raccomandate comprendono e identificano opportunità, benefici, possibili vincoli e azioni correttive e forniscono una roadmap concreta che punta a ripristinare «un oceano sano che offre enormi benefici per le persone e il pianeta».

Il rapporto afferma che «Il successo dipende in gran parte dal sostegno di un partenariato globale impegnato e resiliente di governi e società in linea con questo obiettivo» che «Richiederà anche un sostanziale impegno di risorse finanziarie», ma il nuovo studio rivela che «I vantaggi ecologici, economici e sociali derivanti dalla ricostruzione della vita marina saranno di vasta portata».

Il principale autore dello studio, Carlos Duarte, Tarek Ahmed Juffali Chair in Red Sea Ecology alla King Abdullah University of Science and Technology, conclude: «Abbiamo una ristretta finestra di opportunità per offrire un oceano sano alla generazione dei nostri nipoti e abbiamo le conoscenze e gli strumenti per farlo».

Una grande sfida è il cambiamento climatico, che sta facendo innalzare i livelli del mare e rendendo le acque più acide. Il riscaldamento che ha già avuto luogo renderà probabilmente piuttosto difficile la ricostruzione delle barriere coralline tropicali. Duarte fa notare in un’intervista a BBC News che «Se non affrontiamo i cambiamenti climatici e non aumentiamo l’ambizione e l’immediatezza di questi sforzi, rischiamo di sprecare i nostri sforzi. Dobbiamo anche avvicinarci alla riduzione della pressione sugli stock ittici e affrontare gli elementi inquinanti, come i rifiuti di plastica»- Come sempre, un altro grande problema sono i soldi: il nuovo studio stima che di qui al 2050 ci vorrebbero da 10 a 20 miliardi di dollari all’anno per ricostruire la vita marina (una goccia rispetto a quel che ci sta costando e costerà un coronavirus), ma lo studio sottolinea che per ogni dollaro investito ci sarà un ritorno di 10 dollari. Gli autori dello studio riconoscono che in questo momento i governi hanno ben altro in mente, ma credono che salvare gli oceani sia non solo un obiettivo assolutamente realizzabile, ma anche molto utile nel mondo e nell’economia post-Covid-19.

Duarte conclude: «Sappiamo cosa dovremmo fare per ricostruire la vita marina e abbiamo prove che questo obiettivo può essere raggiunto entro tre decenni. In effetti, questo richiede che acceleriamo i nostri sforzi e li diffondiamo in aree in cui gli sforzi sono attualmente modesti. Non riuscire a cogliere questa sfida, e così facendo condannare i nostri nipoti ad avere un oceano danneggiato e incapace di sostenere mezzi di sostentamento di alta qualità, non è un’opzione».