
Quando a Roma c’erano gli ippopotami

Lo studio “Reinforcing the idea of an early dispersal of Hippopotamus amphibius in Europe: Restoration and multidisciplinary study of the skull from the Middle Pleistocene of Cava Montanari (Rome, central Italy)”, pubblicato su PLOS ONE da ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell’università la Sapienza e dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria del Consiglio nazionale delle ricerche ci riporta indietro al tempo in cui il territorio dell’odierna Roma era popolato da elefanti, ippopotami, rinoceronti e iene che vivevano in ecosistemi scomparsi e condizioni climatiche molto differenti da quelle attuali».
Resti fossili di mammiferi sono conosciuti fin dalla fine dell’800 e sono ospitati in diversi musei del Lazio, compreso il Museo universitario di Scienze della Terra della Sapienza Università di Roma (MUST).
Grazie ad analisi condotte su un cranio rinvenuto durante la prima metà del ‘900 nell’area di Tor di Quinto, Il nuovo studio ha permesso di datare a circa 500 mila anni fa la comparsa dell’ippopotamo comune (Hippopotamus amphibius).
L’autore principale dello studio, il paleontologo Beniamino Mecozzi della Sapienza, spiega che «L’approccio multidisciplinare applicato allo studio del cranio fossile di ippopotamo è stato fondamentale per ottenere preziose informazioni in merito all’età del reperto e alla sua classificazione tassonomica. I risultati permettono di attribuire il cranio alla specie Hippopotamus amphibius e di affermare con certezza che il reperto è stato rinvenuto presso una cava, denominata Montanari, operante lungo la via Flaminia, oggi non più esistente. Integrando i dati geologici, sedimentologici e cartografici, abbiamo potuto stimare l’età del reperto».
La diffusione dell’ippopotamo comune in Europa è fortemente legata ai cambiamenti climatici e ambientali avvenuti negli ultimi 800 mila anni, in particolare durante la Transizione Pleistocene Inferiore–Pleistocene Medio, quando si registra l’estinzione di molte specie vissute durante il Quaternario e la comparsa di forme moderne, come cervi, cinghiali, daini e lupi.
Alla Sapienza evidenziano che «Lo studio del cranio di ippopotamo, identificato come un individuo maschile di circa 22-24 anni, rientra in un ampio progetto di restauro dei reperti di grandi mammiferi esposti presso il MUST. Questo lavoro ha permesso di rimuovere precedenti integrazioni effettuate nel XX secolo che mascherano alcune morfologie originali del cranio e di recuperare sedimenti ancora presenti in alcune cavità craniali e mandibolari».
L’autore senior dello studio e paleontologo della Sapienza Raffaele Sardella conclude: «I fossili esposti presso il Museo Universitario di Scienze della Terra di Sapienza rappresentano un patrimonio da tutelare e preservare. Il restauro del reperto di ippopotamo, per esempio, ha permesso di recuperare, e quindi analizzare, il sedimento originale del deposito, oggi non più accessibile a causa dell’intensa urbanizzazione che caratterizzò il quartiere di Tor di Quinto durante il Novecento. I risultati di questo lavoro, oltre alle notevoli ripercussioni scientifiche, offrono nuove preziose informazioni essenziali per una cosciente e più completa divulgazione del patrimonio paleontologico custodito presso il nostro Museo».
