Quantificato l’impatto delle emissioni di gas serra sugli orsi polari (VIDEO)

Un metodo che può essere esteso ad altre specie a rischio cambiamento climatico come le tartarughe marine

[7 Settembre 2023]

Nello studio “Unlock the endangered species act to address GHG emissions”, pubblicato recentemente su Science, gli scienziati di Polar Bears international, dell’Università di Washington e dell’università del Wyoming hanno quantificato, per la prima volta, un collegamento diretto tra le emissioni di gas serra (GHG) e le emissioni polari. Pubblicato oggi su Science da Steven Amstrup di Polar Bears international e dell’università del Wyoming e da Cecilia Bitz, dell’università di Washington, fornisce un modello per stimare l’impatto demografico sugli orsi polari delle azioni proposte in materia di emissioni di gas serra, superando una lacuna nell’Endangered species act (Esa) che ha storicamente bloccato le considerazioni sul clima.

Secondo Polar Bears international, «l’approccio delineato nel documento collega i punti tra le emissioni di gas serra, il numero di giorni senza ghiaccio causati da quantità specifiche di emissioni e i tassi di sopravvivenza degli orsi polari. Questo spiega anche le recenti tendenze al calo osservate in alcune sottopopolazioni di orsi polari».

Anche se gli orsi polari erano elencati nel 2008 nell’Esa a causa della perdita di ghiaccio marino causata dal riscaldamento climatico, l’allora procuratore legale del Dipartimento degli Interni, David Bernhardt, emise un parere legale affermando che le considerazioni dell’Esa sulle emissioni non sarebbero state accettabili, «a meno che l’impatto delle emissioni dei progetti considerati non potesse essere separato dall’impatto di tutte le emissioni globali storiche». L’incapacità di effettuare questa separazione e misurare l’impatto di un progetto specifico ha fatto sì che il cambiamento climatico – il motivo stesso per cui gli orsi polari erano stati messi nell’elenco – non potesse essere incluso nelle valutazioni dell’Esa.

Amstrup ricorda che «sappiamo da decenni che il continuo riscaldamento e la perdita di ghiaccio marino alla fine possono solo portare a una ridotta distribuzione e abbondanza di orsi polari. Ma fino ad ora, ci è mancata la capacità di distinguere gli impatti dei gas serra emessi da particolari attività dagli impatti delle emissioni cumulative storiche. In questo studio, riveliamo un collegamento diretto tra le emissioni di gas serra di origine antropica e i tassi di sopravvivenza dei cuccioli. La metodologia ci consente, per la prima volta,  di analizzare l’impatto delle emissioni per fonte. E’ importante sottolineare che l’approccio che descriviamo utilizza l’analisi di regressione per collegare le emissioni di gas serra all’habitat e ai cambiamenti demografici».

Basandosi sullo studio “Fasting season length sets temporal limits for global polar bear persistence”, pubblicato nel 2020 su Nature Climate Change da un team di ricercatori canadesi e statunitensi, che collega la sopravvivenza prevista dell’orso polare con la durata del digiuno estivo causata dal riscaldamento globale, il nuovo studio compie il passo aggiuntivo di quantificare il numero di giorni senza ghiaccio/digiuno causati da una quantità specifica di emissioni di CO2-eqivalente, consentendo così un calcolo diretto dell’impatto delle emissioni di un progetto sul futuro reclutamento di cuccioli di orso polare. «Ad esempio – dicono i ricercatori – insieme, le centinaia di centrali elettriche negli Stati Uniti emetteranno oltre 60 Gt di emissioni in oltre 30 anni di vita, il che ridurrà il reclutamento di cuccioli nella popolazione del Mare di Beaufort meridionale di circa il 4%».

Nel 2008, in base alle proiezioni secondo cui fino a due terzi degli orsi polari del mondo potrebbero scomparire entro la metà del secolo, gli orsi polari sono diventati la prima specie inserita nell’elenco dell’Esa a causa delle minacce derivanti dal riscaldamento climatico causato dall’uomo. La sezione 7 dell’Esa prevede un processo che garantisce che i progetti autorizzati dal governo (comprese le concessioni di petrolio e gas) non mettano ulteriormente in pericolo le specie elencate dall’Esa. Ma, poco dopo l’inserimento degli orsi polari nell’elenco, l’allora procuratore legale del Dipartimento degli Interni Usa, David Bernhardt emise la nota M-37017, sostenendo che gli impatti delle emissioni derivanti da qualsiasi azione individuale o gruppo di azioni prese in considerazione non potevano essere separati dall’impatto delle emissioni storiche che si sono accumulate a partire dall’inizio della Rivoluzione Industriale. La limitazione di Bernhardt ha impedito l’inclusione delle emissioni di riscaldamento globale derivanti dalle licenze di estrazione di petrolio e gas e da altre attività che emettono gas serra, nelle revisioni della Sezione 7 dell’Esa, anche se il riscaldamento globale, derivante dalle emissioni di gas serra, era il principale motivo per cui gli orsi polari erano stati elencati.

Il nuovo studio, pubblicato in occasione del 50esimo anniversario dell’Esa e del 15esimo anniversario dell’inserimento degli orsi polari nell’elenco dell’Esa, colma direttamente il gap di conoscenze identificato nell’M-37017, consentendo di analizzare le emissioni di gas serra derivanti da qualsiasi azione dai dati storici delle emissioni. I ricercatori evidenziano che «questo consentirà la revoca della nota Bernhardt e l’inclusione dell’inquinamento da gas serra nella revisione delle azioni future, che è stato il principale motivo per cui gli orsi polari sono stati elencati».

La Bitz aggiunge che «superare la sfida del Memo Bernhardt rientra assolutamente nell’ambito della ricerca sul clima. Quando il memo è stato scritto nel 2008, non sapevamo dire in che modo le emissioni di gas serra equivalessero a un declino delle popolazioni di orsi polari. Ma entro pochi anni abbiamo potuto collegare direttamente la quantità di emissioni al riscaldamento climatico e, successivamente, anche alla perdita di ghiaccio marino nell’Artico. Il nostro studio mostra che non solo il ghiaccio marino, ma la sopravvivenza dell’orso polare può essere direttamente correlata alle emissioni di gas serra».

Le implicazioni di questo studio vanno ben oltre gli orsi polari e il ghiaccio marino: la nuova metodologia, che utilizza l’analisi di regressione per collegare le emissioni alle conseguenze ambientali, può essere facilmente adattata per altre specie e habitat, come le barriere coralline, i cervi Key o le specie come le tartarughe marine  che nidificano sulle spiagge colpite dall’innalzamento del livello del mare.

E lo studio affronta finalmente l’ostacolo posto dal Memo Bernhardt e crea un collegamento diretto tra le emissioni dei singoli progetti e gli impatti sulle specie elencate dall’Esa. Polar Bears international fa notare che «questo fornisce al Dipartimento degli Interni Usa la base scientifica necessaria per revocare la nota Bernhardt e iniziare a includere le emissioni di gas serra nelle revisioni di tutti i nuovi progetti che prende in considerazione».

Anche se lo studio affronta direttamente una lacuna nella politica statunitense, ha implicazioni più ampie, soprattutto perché le attività di concessioni di estrazione di petrolio e gas continuano in tutto il mondo. Inoltre, consente di attribuire le responsabilità perché le emissioni possono essere ricondotte a progetti specifici e a imprese, guardando sia al passato che al futuro. Trasparenza e tracciabilità a lungo termine che possono ispirare imprese e politiche più sostenibili mentre i Paesi puntano a raggiungere obiettivi climatici e per la biodiversità.

Merav Ben-David, che non ha partecipato al nuovo studio ma che collabora da oltre 20 anni con Amstrup all’università del Wyoming, conclude: «Quando gli orsi polari furono elencati come minacciati nel 2008, parlammo del riscaldamento globale e del rischio di perdere questo iconico ambasciatore dell’Artico. Oggi, oltre 15 anni dopo, i miei colleghi Amstrup e Bitz dimostrano inequivocabilmente che quei rischi percepiti sono reali. Dimostrano che il fallimento riproduttivo è legato alle emissioni di gas serra. In un momento in cui le persone muoiono a causa degli effetti di eventi climatici estremi, potremmo aver dimenticato la difficile situazione degli orsi polari. Ma non dovremmo».

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