Quanto sono efficaci le nuove aree protette?

Uno studio globale sull'efficacia delle aree protette di recente istituzione per prevenire la deforestazione

[20 Luglio 2021]

Lo studio “What determines the effectiveness of national protected area networks?”, pubblicato recentemente su Environmental Research Letters da Payal Shah (Okinawa Institute of Science and Technology Graduate University – OIST), Kathy Baylis (università della California – Santa Barbara), Jonah Busch (Conservation International) e Jens Engelmann (università del Wisconsin-Madison) ha analizzato l’efficacia delle aree protette a livello nazionale nel ridurre la perdita di foreste e ha utilizzato l’apprendimento automatico per scoprire alcuni dei fattori che contribuiscono alle differenze di efficacia.

Shah, specializzato nell’applicazione della teoria economica alla conservazione della natura, sottolinea che «Le aree protette sono uno strumento chiave di conservazione essenziale per arginare l’ondata di biodiversità e la perdita di habitat in tutta la Terra. Gli scienziati chiedono che il 30% della terra e dell’oceano sia protetto entro il 2030. Ma, poiché sempre più terre sono protette, è sempre più importante misurare quanto bene funzioni ogni area protetta, in modo che i responsabili politici possano prendere sempre più decisioni informate sui futuri sforzi di conservazione».

Per lo studio, il team di ricerca ha utilizzato i dati satellitari della copertura forestale tra gli anni 2000 e 2012, concentrandosi sulle aree protette che erano state istituite durante questo periodo di tempo. I Paesi che non avevano posto sotto protezione una superficie sufficientemente ampia sono stati esclusi dall’analisi. Negli 81 Paesi rimasti – Italia compresa –  erano stati messi sotto protezione 3,2 milioni di Km2 di territorio. I ricercatori giapponesi e statunitensi hanno quindi stimato l’efficacia di queste aree protette, confrontando i cambiamenti nella copertura forestale tra aree protette e non protette statisticamente abbinate. I territori interessati dallo studio sono stati abbinati utilizzando un’ampia gamma di fattori che sono importanti predittori della deforestazione, comprese la loro distanza dalle città, la loro elevazione sul livello del mare e la pendenza del terreno.

Shah evidenzia che «L’obiettivo era quello di cercare di capire quanta deforestazione si sarebbe verificata in uno scenario alternativo, se un’area non fosse stata messa sotto protezione».

All’OIST dicono che «I ricercatori hanno scoperto che nel complesso, tra il 2000 e il 2012, circa 34.000 chilometri quadrati di foresta sono andati persi all’interno di aree protette di nuova istituzione, un’area più grande delle dimensioni del Belgio». Ma hanno anche stimato che «Se queste aree protette non fossero state istituite, sarebbero andati persi anche altri 86.062 chilometri quadrati di foresta. Questo avrebbe significato la deforestazione di un’area di circa 120.000 chilometri quadrati», grande quanto la Corea del Nord.

Shah  fa notare che «Questo significa che, nel complesso, le aree protette hanno ridotto la deforestazione del 72%, il che è un’ottima notizia. Ma quando si inizia a suddividere i dati per paese, i risultati sono più contrastanti».

Infatti, gli scienziati hanno visto che in alcuni Paesi le aree protette hanno ottenuto risultati significativamente migliori rispetto ad altri Paesi all’interno della loro regione. In testa c’erano Sudafrica, Cambogia, Lettonia, Guatemala, Uruguay, Brasile e Nuova Zelanda, rispettivamente per le regioni dell’Africa, dell’Asia, dell’Europa, del Nord America, del Sud America e dell’Oceania.

Il team di ricerca ha stimato che «Se tutte le aree protette degli altri Paesi avessero avuto successo come il Paese con le migliori prestazioni nella loro regione, sarebbero stati salvati ulteriori 33.020 chilometri quadrati di foreste, il che avrebbe ridotto la deforestazione all’interno delle aree protette di nuova costituzione solo a circa 1.000 chilometri quadrati».

Shah  ricorda che «I Paesi di ogni regione stanno combattendo contro fattori di deforestazione chiave simili, come il disboscamento per il legname o gli incendi boschivi, quindi in teoria, ogni Paese ha il potenziale per fare altrettanto bene. Ma stiamo assistendo a queste enormi disparità nell’efficacia delle loro aree protette. Quindi, ovviamente, poi abbiamo voluto capire i fattori sottostanti».

E uno dei principali fattori riscontrati si basava sul rigore della gestione delle aree protette. Le categorie di rigore si basano sul grado di attività umana o sull’uso delle risorse naturali consentito sul territorio. Nella maggior parte dei Paesi, le aree protette in modo più stringente erano più efficaci delle aree protette meno strettamente. Successivamente, i ricercatori hanno inserito i dati sulla demografia, l’agricoltura, l’economia e la politica di ciascun Paese in un algoritmo di apprendimento automatico, che ha quindi identificato quali fattori erano maggiormente legati all’efficacia della rete di aree protette del Paese esaminato. Ne è venuto fuori che «I Paesi con alti livelli di crescita economica sono associati a livelli più elevati di efficacia per le aree protette. Nel frattempo, i Paesi con livelli più elevati di attività agricola tendevano ad avere aree protette meno efficaci, in particolare nei Paesi che avevano una qualità di governance inferiore e una popolazione rurale in crescita».

Shah sottolinea che «Questo era previsto poiché l’agricoltura e la deforestazione spesso vanno di pari passo. La terra è una risorsa limitata, quindi nei Paesi con un’elevata attività agricola, potrebbero esserci grandi pressioni per la deforestazione all’interno delle aree protette in Paesi che non hanno un’adeguata governance».

Tuttavia, i ricercatori dicono che, per confermare le ragioni alla base di queste associazioni governance/agricoltura/deforestazione, è necessaria una ricerca più approfondita Paese per Paese.

Shah conclude: «In quanto analisi globale, questo studio ci consente di individuare quali Paesi stanno facendo bene e quali meno. Possiamo quindi svolgere ricerche più mirate in questi Paesi per aiutarli a sostenere strategie di conservazione più efficaci».