Rapporto Ispra sulla biodiversità in Italia: «Ancora a rischio specie e habitat marini e terrestri»

Necessari interventi di contrasto per il 35% delle specie esotiche più pericolose

[4 Agosto 2021]

Dai Rapporti Direttive Natura (2013 – 2018) – Sintesi dello stato di conservazione delle specie e degli habitat di interesse comunitario e delle azioni di contrasto alle specie esotiche di rilevanza unionale in Italia”, pubblicato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) emerge una «Situazione critica per le specie e gli habitat che popolano il nostro Paese: seppur tutelati ormai da decenni, sono in stato di conservazione sfavorevole il 54% della flora e il 53% della fauna terrestre, il 22% delle specie marine e l’89% degli habitat terrestri, mentre gli habitat marini mostrano status favorevole nel 63% dei casi e sconosciuto nel restante 37%».

L’Italia è il Paese europeo con maggior ricchezza di specie e habitat e con i più alti tassi di specie autoctone e il nuovo rapporto Ispra sulla biodiversità in Italia presenta il quadro aggiornato dello stato di conservazione delle specie animali e vegetali e degli habitat  marini e terrestri tutelati a livello comunitario presenti nel nostro Paese. All’Ispra spiegano che «Il volume raccoglie i risultati emersi dalle tre rendicontazioni trasmesse dall’Italia alla Commissione Europea nel 2019 nell’ambito delle Direttive Habitat e Uccelli per il periodo 2013-2018 e del Regolamento UE 1143/2014 sulle specie esotiche invasive per il periodo 2016-2018. Per la prima volta vengono presentati insieme i risultati di questi tre Report, che complessivamente permettono di avere un quadro dello stato di conservazione e dei trend delle specie e degli habitat tutelati a livello comunitario, sia in ambito terrestre che marino, e delle minacce derivanti dalle specie esotiche invasive. I dati riguardano 336 popolazioni di uccelli appartenenti a 306 diverse specie, 349 specie animali e vegetali (322 terrestri e delle acque interne e 27 marine), 132 habitat (124 terrestri e delle acque interne e 8 marini) e 31 specie esotiche invasive di importanza unionale (17 animali e 14 vegetali) presenti nel nostro Paese».

Per quanto riguarda l’avifauna i dati del rapporto dimostrano che «Nonostante il 47% delle specie nidificanti presenti un incremento di popolazione o una stabilità demografica, il 23% delle specie risulta in decremento e il 37% è stato inserito nelle principali categorie di rischio di estinzione».

Ispra fa notare che «Inoltre il 35% delle specie esotiche invasive individuate come le più pericolose a scala europea presenti in Italia, non è stato ancora oggetto di alcun intervento gestionale finalizzato al contrasto. Ricchezza di specie e habitat sono accompagnati in Italia da elevata densità di popolazione, forte pressione antropica e inarrestabile consumo di suolo».

Tra le pressioni che minacciano la nostra biodiversità terrestre, l’agricoltura è la principale causa di deterioramento per specie e habitat, seguita dallo sviluppo di infrastrutture e dall’urbanizzazione. Ispra sottolinea che «Tali pressioni sono tra le più ricorrenti anche per l’avifauna; in particolare le minacce connesse alle moderne pratiche agricole si ritiene abbiano inciso in modo determinante sulla drastica diminuzione delle popolazioni di specie tipiche degli ambienti agricoli, soprattutto in pianura e dove c’è maggiore utilizzo delle colture intensive».

In mare, «Lle attività di prelievo e le catture accidentali rappresentano le maggiori fonti di pressione sulle specie di interesse comunitario, accompagnate dall’inquinamento, dai trasporti marittimi e dalla costruzione di infrastrutture, che insistono anche sulla maggioranza degli habitat marini, insieme alle attività con attrezzi da pesca che interagiscono fisicamente con i fondali».

Ispra conclude: «I risultati fanno emergere l’urgente necessità di un maggiore impegno nella conservazione e gestione di specie e habitat in Italia, anche in riferimento agli obiettivi della nuova Strategia Europea sulla Biodiversità per il 2030. È anche essenziale rafforzare gli sforzi di monitoraggio, perché le norme comunitarie impongono un salto di qualità nei dati che dovranno essere trasmessi nei prossimi anni».