Reef, come possono crescere nei deserti oceanici? Risolto il paradosso di Darwin
Sciolto il mistero dopo 171 anni, grazie allo “sponge loop”
[8 Ottobre 2013]
Come possono le reef, le barriere coralline, uno dei più vari e produttivi ecosistemi sulla Terra, sopravvivere in acque tropicali poveri di nutrienti, come fossero un’oasi in un deserto marino? Si tratta di un enigma noto anche come paradosso di Darwin, che dopo 171 anni sembra essere stato risolto da Jasper de Goeij dell’Universiteit van Amsterdam e da Dick van Oevelen, del Koninklijk Nederlands Instituut voor Onderzoek der Zee (Nioz) che hanno lavorato con un team composto anche da ricercatori delle università olandesi di Maastricht, Wageningen e Utrecht e dell’Istituto institute Carmabi di Curaçao.
Durante il suo viaggio sul Beagle Charles Darwin osservò che le barriere coralline tropicali sono come oasi in un deserto. Sono circondate da acque prive di azoto e fosforo, i mattoni della vita, il che dovrebbe impedire vietare la loro crescita e, visto che i coralli rilasciano fino a metà della loro materia organica nell’acqua di mare, il reef ha bisogno di un sistema che recuperi questi nutrienti e li ricicli nell’ecosistema. I batteri fanno parte di questo lavoro, ma non sono abbastanza abbondanti per soddisfare le necessità di un’intera e brulicante comunità vivente come quella che tappezza le barriere coralline. L’idea che le spugne potessero essere l’anello mancante nel ciclo alimentare del reef era già stata avanzata, ma non era chiaro quanto nutrimento potessero fornire, né come esattamente come interagissero con i piccoli organismi alla base della catena alimentare.
Lo studio “Surviving in a Marine Desert: The Sponge Loop Retains Resources Within Coral Reefs” pubblicato su Science Sottolinea che «Fin da prime descrizioni di Darwin delle barriere coralline, gli scienziati hanno dibattuto su come uno degli ecosistemi più produttivi e diversificata del mondo possa prosperare nell’equivalente marino di un deserto. E ‘un enigma come il flusso di materia organica disciolta (dissolved organic matter – Dom), la più grande risorsa prodotta sui reefs, venga trasferita ai livelli trofici superiori». I ricercatori olandesi dimostrano che «Le spugne rendono disponibile i Dom per la per la fauna, mediante una rapida espulsione dalle celle filtranti come detriti che vengono poi consumato dalla fauna della barriera. Questo “sponge loop” è stato confermato in esperimenti sulla rete alimentare in acquario ed in situ esperimenti rete alimentare, utilizzando Dom arricchito con C e N. Il percorso Dom-spugna-fauna spiega perché gli hot spot biologici come le barriere coralline persistono nei mari oligotrofici – il paradosso e del reef – ed ha implicazioni per il funzionamento degli ecosistemi della barriera corallina funzionamento e le strategie di conservazione».
Insomma, lo studio di Goeij e Van Oevelen, dimostra che le spugne sono l’anello mancante tra i coralli e le alghe e gli altri abitanti della barriera corallina. Le spugne riciclano le scorie prodotte da coralli ed alghe e la convertono in una fonte di cibo accessibile alle altre creature del reef. E’ questa la catena che viene chiamata “sponge loop” che, partendo da questi riciclatori, spiega come l’energia e le sostanze nutritive si conservino all’interno della barriera corallina, invece di spargersi nelle acque intorno e nel “deserto marino”.
Le spugne sono note com efficientissimi filtratori, si nutrono di piccole particelle come batteri, alghe planctoniche e perfino particelle virali. La maggior parte della loro dieta però consiste in sostanze organiche disciolte invisibili, come gli zuccheri. «In realtà, queste sostanze disciolte costituiscono la più grande fonte di energia e nutrienti sulle barriere coralline e sono prodotte da coralli e alghe – spiegano all’Universiteit van Amsterdam – Questa fonte di cibo non è disponibile per la maggior parte degli altri organismi che vivono sulla barriera corallina e quindi d si può disperdere neii mari tropicali circostanti».
Il team di ricercatori olandesi sull’isola caraibica di Curacao hanno studiato 4 specie comuni di spugne, prima in acquari di laboratorio, poi in una barriera naturale nella quale gli scienziati hanno isolato una cavità ed hanno dimostrato che le spugne «Impediscono la dispersione di energia e nutrienti disciolti e rendono queste risorse accessibili agli altri abitanti del reef». Hanno “marcato” i nutrienti disciolti e li hanno tracciati nell’intero ecosistema, scoprendo che le spugne assorbono i nutrienti “etichettati” e li trasformano rapidamente in scorie, quelle che potremmo chiamare feci di spugne. Questa “pioggia” di scorie si sparge nella barriera corallina e diventa una fonte di cibo per altri abitanti del reef, entro due giorni, le stesse molecole erano presenti nelle lumache di mare ed in altre creature come piccoli granchi, lumache e vermi che si nutrono di sedimenti contenenti le scorie delle spugne. Questi piccoli animali sono a loro volta mangiati da animali più grandi, quindi i nutrienti originariamente disciolti diventano disponibili nella rete alimentare.
A sorprendere i ricercatori non è stata solo la velocità del riciclo dei nutrienti, ma l’enorme volume di alimenti messi in circolo: 10 volte più di del riciclo realizzato dai batteri.
Un organismo come la spugna Halisarca caerulea assume ogni giorno carbonio disciolto per i due terzi del suo peso corporeo, ma cresce a stento nelle dimensioni, perché le cellule vecchie vengono sparse sul fondo marino. Secondo il team olandese, «questo “sponge loop”, produce tanti nutrienti quasi quanto tutti i produttori primari (coralli e alghe) in un intero reef tropicale».
De Goeij sottolinea che «Le spugne sono alla base di una precedentemente sconosciuta linea di riciclaggio – lo sponge loop – che svolge un ruolo fondamentale nella catena alimentare di ecosistemi delle barriere coralline».
Lo studio sottolinea il ruolo di spugne nel futuro della ricerca e della gestione delle barriere coralline: «Ad oggi, il loro ruolo è gravemente sottovalutato, mentre le barriere coralline, importanti aree socio-economiche per le zone costiere tropicali, sono minacciati in tutto il mondo. Le spugne ci aiutano a capire come funziona la barriera corallina, ma anche come questi ecosistemi possono essere altamente produttivi, senza perdite di energia e rifiuti. Questa conoscenza può essere applicata allo sviluppo dell’acquacoltura sostenibile ed ala costruzione delle cosiddette Integrated Ocean Farms».
De Goeij in un intervista a BBc News Science & Environment ha sottolineato che «Fino ad ora nessuno ha davvero dato alle spugne molta attenzione. Sono belle da vedere, ma tutti erano più interessati ai coralli ed ai pesci. Ma ora si scopre che le spugne sono grandi players e meritano attenzione per il loro ruolo. Se volete una barriera colorata e ricca di biodiversità è necessario lo “sponge loop’ per mantenerla».
Anche altri deserti marini, come quelli di profondità in alto mare o nelle scogliere temperate del Mediterraneo, possono contare su poriferi per riciclare le loro sostanze nutritive. «Riconoscendo le spugne come centrali, gli eroi sconosciuti del reef – conclude de Goeij – speriamo di aiutare gli sforzi di conservazione in questi fragili paradisi».