Riforestazione: sopravvive la metà degli alberi tropicali piantati

Ma in alcuni siti ben gestiti la sopravvivenza è più alta, mentre in altri che hanno subito una forte deforestazione è ancora più bassa

[28 Novembre 2022]

Secondo lo studio “The road to recovery: a synthesis of outcomes from ecosystem restoration in tropical and sub-tropical Asian forests”, pubblicato recentemente su Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences da un team internazionale di ricercatori di 29 università e centri di ricerca guidato da Lindsay Banin dell’UK Centre for Ecology & Hydrology, « In media, circa la metà degli alberi piantati nelle iniziative di ripristino delle foreste tropicali e subtropicali non sopravvive più di 5 anni, ma c’è un’enorme variazione nei risultati».

Lo studio ha analizzato i dati sulla sopravvivenza e la crescita degli alberi provenienti da 176 siti di ripristino nell’Asia tropicale e subtropicale, dove le foreste naturali hanno subito un forte degrado. I ricercatori hanno scoperto che «In media, il 18% degli alberelli piantati è morto entro il primo anno, salendo al 44% dopo 5 anni. Tuttavia, i tassi di sopravvivenza variavano notevolmente tra i siti e le specie, con alcuni siti che vedevano oltre l’80% degli alberi ancora vivi dopo 5 anni, mentre in altri una percentuale simile era morta».

All’UK Centre for Ecology & Hydrology ricordano però che comunque «Il ripristino delle foreste è un potente strumento per affrontare la perdita di biodiversità e il cambiamento climatico, bloccando il carbonio e sostenendo habitat importanti. Anche i progetti di riforestazione sono ampiamente utilizzati per la compensazione del carbonio». Ma. mentre per molti progetti la misura principale utilizzata è il numero di alberi piantati inizialmente, la ricerca dimostra che «Molti di questi alberi non sopravvivono a lungo termine. In alcuni siti, i tassi di sopravvivenza erano alti, dimostrando che con il giusto approccio il ripristino  ha il potenziale per avere successo».

Circa il 15% delle foreste tropicali del mondo si trova nel sud-est asiatico e sono tra le più dense di carbonio e ricche di specie del mondo e forniscono l’habitat per tigri, primati ed elefanti. Tuttavia, negli ultimi decenni il sud-est asiatico ha subito una forte deforestazione, con una riduzione della copertura forestale di circa 32 milioni di ettari tra il 1990 e il 2010. La regione è quindi diventata un punto centrale per i progetti di ripristino forestale.  Il nuovo studio è stato il primo raccogliere dati per valutare i risultati a lungo termine dei progetti di ripristino forestale e la Banin evidenzia che «La grande variabilità nella sopravvivenza che abbiamo riscontrato tra i siti potrebbe essere dovuta a una serie di motivi, tra cui la densità di impianto, la scelta delle specie, le condizioni del sito , eventi meteorologici estremi o differenze nella gestione e nella manutenzione. Anche i fattori socio-economici locali possono essere importanti. Quel che è chiaro è che il successo dipende molto dal sito: dobbiamo capire cosa funziona e perché e condividere tali informazioni, in modo da poter portare tutti i siti al livello di quelli di maggior successo e sfruttare tutto il potenziale per il ripristino. Probabilmente non c’è un approccio unico per tutti e le attività di ripristino dovrebbero essere adattate alle condizioni locali. Questo contribuirà a garantire che le scarse risorse e i terreni disponibili per il ripristino siano utilizzati al meglio».

Il team  internazionale di ricercatori ha scoperto che, «Quando un’area era stata completamente disboscata, gli sforzi di rimboschimento avevano meno successo rispetto alle aree in cui erano rimasti alcuni alberi. Gli alberelli piantati in aree con alberi maturi esistenti avevano circa il 20% in più di possibilità di sopravvivenza. Nelle aree più disturbate possono essere necessarie misure più intensive per la protezione e la manutenzione».

Lo studio ha anche trovato alcune prove che il ripristino attivo fornisce risultati più rapidi rispetto al semplice lasciare che la natura faccia il suo corso. I siti che includevano attività di piantagione di alberi hanno incrementato la loro copertura forestale più rapidamente rispetto ai siti che erano stati lasciati rigenerare naturalmente. Ma molti altri studi hanno tracciato il destino degli alberi piantati piuttosto che le proprietà strutturali dell’intera comunità. Il team di ricerca ritiene che «La raccolta di entrambi i tipi di dati nelle stesse aree di studio aiuterà a determinare livelli accettabili di mortalità che forniranno comunque un ritorno della copertura forestale. Sono necessari ulteriori esperimenti per aiutare a perfezionare i metodi di ripristino più appropriati ed economici tra i siti in condizioni diverse».

Un altro autore dello studio, David Burslem dell’università di Aberdeen, ha fatto notare che «I siti in cui è più necessario il ripristino attivo – quelli che sono già stati “ripuliti” dagli alberi – sono anche quelli in cui il ripristino è più rischioso e soggetto a maggiori numero di alberi che muoiono. Dobbiamo capire meglio come migliorare le possibilità di sopravvivenza degli alberelli in questi siti, per garantire che il ripristino abbia esiti positivi. Ma lo studio rappresenta anche un monito, per proteggere il più possibile le nostre foreste rimanenti, sia perché i risultati del ripristino sono incerti che per fornire le diverse fonti di semi necessarie per le attività di ripristino».

Un coautore dello studio, l’australiano Robin Chazdon dell’università della Sunshine Coast, conclude: «Se possiamo garantire che il carbonio venga estratto con successo dell’atmosfera e stoccato ed essere in grado di quantificare gli importi e le tempistiche coinvolte, il rimboschimento sarà solo una risposta all’eccesso di anidride carbonica nell’atmosfera. Questo è il motivo per cui la valutazione dei risultati del ripristino a lungo termine e la raccolta di informazioni che aiutino a massimizzare le percentuali di successo sono così importanti. Abbiamo bisogno che l’attenzione si sposti dal semplice piantare alberi alla loro coltivazione e ad aiutare le nostre foreste a prosperare».