Riportare in vita specie estinte? Un’idea affascinante ma stupida
[20 Gennaio 2014]
Anche se far rivivere una specie estinta è praticabile, è un’idea terribile. Sottrarrebbe risorse per salvare le specie minacciate e i loro habitat e ci distoglierebbe dall’essenziale lavoro necessario per proteggere il pianeta.
Non sarebbe grande avere vaste mandrie di mammut che si aggirano nella tundra canadese, o il brivido di vedere ancora una volta stormi di centinaia di milioni di piccioni migratori che si stabiliscono nelle foreste del Michigan, per trangugiare enormi quantità di semi di faggio e per fornire succulenti piccioni ai ristoranti di Chicago? O forse preferite veder volare i parrocchetti della Carolina sulle fattorie meridionali, o almeno osservare una coppia vivente di tigri dai denti a sciabola in una gabbia in uno zoo. Naturalmente, essere in grado di noleggiare un paio di velociraptor per aggiungere sapore a un “reality” show in Tv del quale siete il regista sarebbe troppo bello. Un’immagine a dir poco accattivante: Jurassic Park nella realtà, riportando gli animali scomparsi in vita, resa possibile dagli spettacolari progressi della biologia molecolare.
Dopo tutto, non è l’Homo sapiens destinato ad utilizzare il suo prezioso cervello per diventare l’ingegnere dell’intero pianeta (o universo)? Ma cerchiamo di limitare il nostro sogno di ricreare organismi che Homo sapiens ha sterminato. Sicuramente, se questo è un obiettivo raggiungibile, e vogliamo farlo, l’umanità dovrebbe andare avanti a tutta velocità e resuscitare le creature che abbiamo spazzato via dalla terra. O non dovremmo?
Risponderò a questa domanda, ma non prima che ne abbia brevemente rivolta un’altra: Potremmo? Sarebbe possibile? Sembra probabile che in alcuni casi un simulacro – forse un simulacro ragionevole – possa essere prodotto da un organismo estinto. E sarebbe sciocco prevedere che anche facendo una ricostruzione pienamente riuscita di una specie estinta sia impossibile. La scienza ha fatto molta strada nel campo di genetica, genomica e sviluppo in un tempo molto breve, tanto che quel si può fare oggi sembrava impossibile quando mia moglie, Anne, ed io siamo arrivati a Stanford nel 1959. Quindi, anche se ho il sospetto che i resurrezionisti generalmente sottovalutano la genetica, l’epigenetica e le dimensioni ambientali del problema che consigliamo di stoppare, ai fini di questa discussione supponiamo che la ricostruzione delle specie estinte alla fine sarà pratica a un certo livello, dai tratti comportamentali a tutto il resto. Eppure io credo che i resurrezionisti siano stati ingannati da una falsa rappresentazione culturale della natura e della scienza – come in Jurassic Park, Avatar, X-men – riconducibile forse al Frankenstein di Mary Shelley. Come ha detto il mio collega Chase Mendenhall, «Abbiamo bisogno di più rappresentazioni del futuro, ma dobbiamo vivere e agire nel presente e ci sono modi molto più urgenti e trattabili per la creazione di futuri immaginati che non includono il riportare indietro un “pet” per l’umanità prima di aver avuto il tempo di preparare il suo terrario».
Quindi quali sono le obiezioni verso uno sforzo che inizi a fare ammenda per le estinzioni antropogeniche cercando di riportare le vittime alla vita? La più solida ragione scientifica, a mio avviso, è la cattiva allocazione dello sforzo. E’ molto più sensato mettere tutte le risorse limitate per la scienza e la conservazione nel prevenire le estinzioni, affrontando le cause della scomparsa: la distruzione degli habitat, la distruzione climatica, l’inquinamento, il sovrasfruttamento, e così via. Spendere milioni di dollari cercando di de-estinguere alcune specie non per compensare le migliaia di popolazioni e specie che sono state perse a causa di attività umane, per non parlare del ripristinare le funzioni naturali dei loro ex habitat.
Purtroppo, molti non-scienziati e troppi biologi della conservazione, che realmente si preoccupano del decadimento della biodiversità, sono preoccupati di impedire l’estinzione delle specie e così i de-estinzionisti naturalmente si concentrano sulla resurrezione delle specie. In parte, questa ripercorre le tracce dell’errore del mio eroe Charles Darwin fatto da un “mistitling” di quello che considero il più importante libro mai scritto “On the Origin of Species” anziché su “On the Differentiation of Populations“. Tra le altre cose, questo ha portato ad un secolo di discussioni inutili su come definire le “specie”. E’ come se i geologi sprecassero il loro tempo in interminabili sproloqui su come definire la “montagna”. Quanto alta deve essere? Quanto isolata da altri punti alti su un crinale? Quanto ripidi pendii? Ancora più importante, questa visione specie-centrica ha anche portato a focalizzare la conservazione sulle specie, anche se in questo momento il problema critico che l’umanità deve affrontare non è l’estinzione delle specie, ma un’estinzione di popolazioni . Le popolazioni sono le entità che forniscono servizi ecosistemici fondamentali per la società ed i motori ecologici che sostengono e creano specie. Naturalmente, quando tutte le popolazioni di una specie sono scomparse, la specie sarà estinta, ma oggi ci sono più ordini di grandezza di popolazioni di specie scomparse. E in molti casi, quando le popolazioni scompaiono e l’estinzione delle specie diventa più probabile, il valore dell’organismo come un fornitore di servizi si avvicina a zero, compreso il servizio estetico che ci dà la gioia di guardarlo o interagire con lui.
Resuscitare una popolazione e poi ri-inserirla in ambienti dove potrebbe fornire i servizi ecosistemici del suo predecessore è un grande e monumentale progetto per ricreare un paio di pseudo-mammut per farli passeggiare in un giardino zoologico. Il piccione migratore è spesso menzionato come un target per la de-estinzione. I piccioni migratori, una volta rifornite le persone di carne abbondante, ha probabilmente contribuito a sopprimere la malattia di Lyme. Per creare anche una sola popolazione vitale potrebbe anche richiedere la fabbricazione di un milione di uccelli o giù di lì, dal momento che la specie apparentemente deve sopravvivere ad una strategia di saturazione di predatori. E se gli stormi venissero sintetizzati, dove potrebbero essere introdotti? Le vaste foreste richieste dai piccioni sono in parte scomparse e, quando va bene, mal frammentate, e una delle fonti di cibo degli uccelli, il castagno americano, è funzionalmente estinto. Il precedente habitat del piccione migratore è totalmente trasformato e, se l’umanità non frena molto rapidamente e sostanzialmente le emissioni di gas serra, le vecchia homeland del piccione sarà probabilmente completamente irriconoscibile in meno di un secolo. In termini pratici, in un prossimo futuro in cui sarà necessaria l’azione, l’estinzione è certamente “per sempre”. Le reintroduzioni per far sopravvivere specie minacciate di estinzione (che sono di gran lunga più importante di tentativi di de-estinzioni) dimostrano la complessità e la portata del compito. E’ già noto che l’allevamento e il reinserimento degli animali in natura spesso richiedono sforzi intensi e costosi (si pensi al condor della California), e persino invasioni di specie “naturali” (come i primi due introduzioni di storni verso il Nord America) spesso non riescono a “prendere”. E come mi ha sottolineato il fotografo del National Geographic Joel Sartore, gli zoo sono già stati sopraffatti cercando di allevare le specie in via di estinzione per la reintroduzione e sono quindi di fronte ad enigmi da triage su quali specie salvare e quali lasciar andare. L’allocazione di maggiori sforzi sono molto più essenziali nella ricerca del ripristino di alcuni elementi di spicco della biodiversità terrestre che nelle resurrezioni create in laboratorio.
La de-estinzione sembra quindi inverosimile, economicamente problematica e con estremamente scarse probabilità di successo su un pianeta continuamente e notevolmente trasformato dall’azione umana. Esistono anche rischi di ulteriori fallimenti. Gli organismi risorti, precedentemente benefici, potrebbero diventare nocivi nei nuovi ambienti, potrebbero rivelarsi serbatoi ideali o vettori di brutte malattie, o potrebbe addirittura ospitare retrovirus pericolosi nei loro genomi. Ma, francamente, penso che questi problemi probabilmente si riveleranno minori rispetto al problema principale, che è il “Moral hazard”.
Azzardo morale è un termine inventato dagli economisti per una situazione in cui uno diventa più disposto a prendere un rischio quando i costi potenziali sono in parte a carico di altri. Ad esempio, se una persona può ottenere un’assicurazione governativa contro le inondazioni è più probabile che costruisca una casa sulla spiaggia, preoccupandosi meno riguardo ai rischi di innalzamento del livello del mare. Il problema è che se la gente comincia a prendere sul serio un futuro “Jurassic Park”, farà ancora di meno per arginare la costruzione della sesta grande estinzione di massa. Stiamo già assistendo ad estinzioni di specie che si verificano ad una velocità di almeno un ordine di grandezza superiore ai tassi “di fondo” preistorici (quelli al di fuori degli ultimi cinque eventi di estinzione di massa), e che dà peso all’estrema gravità dell’attuale crisi dell’estinzione della popolazione. E mentre il problema critico della distruzione climatica tende ad assorbire l’attenzione delle persone interessate all’ambiente, l’erosione della biodiversità è potenzialmente altrettanto cruciale. I disastri che saranno causati dalla distruzione climatica potrebbero essere risolti in qualche centinaio di migliaia anni; per il recupero da una sesta estinzione di massa potrebbe facilmente volerci cinque o dieci milioni di anni. Proprio ora che il più grande azzardo morale sul fronte ambientale è creato dalla follia della “geo-ingegneria”: l’idea che, se l’umanità non riesce a limitare drasticamente il flusso di gas serra nel prossimo futuro, il surriscaldamento della terra potrebbe essere evitato mediante uno qualsiasi di una serie di “crackpot schemes”. La perdita di biodiversità non ha raggiunto l’importanza della distruzione del clima, e non può farlo. Ma ho già ricevuto domande in delle classi e dopo dei discorsi sulla prospettiva dell’ingegneria della biodiversità per riportarla di nuovo in esistenza che comportano sempre che “biodiversità” siano i bradipi giganti, il picchio dal becco avorio e simili. Il rischio morale è già lì, e se la gente non è consapevole dei suoi legami con il resto del mondo vivente, è sicuro che crescerà.
Gli scienziati interessati a cercare di resuscitare specie estinte dovrebbero sicuramente essere liberi di perseguire i loro interessi se possono ottenere il sostegno necessario. Forse ci sarà qualche significativa ricaduta scientifica positiva e, forse, come suggerisce il mio amico Stewart Brand, saremo lieti di avere alcuni risultati interessanti entro un secolo (se la civiltà persiste). Ma se i sostenitori della de-estinzione sono veramente preoccupati per lo stato della biodiversità, non dovrebbero fare meeting o dibattiti sulla de-estinzione, o sognare pubblicamente di trasformare i colombacci per rimpiazzare i piccioni migratori nel prossimo futuro. Dovrebbero impiegare molto del loro tempo in questi sforzi come nel mantenere le plastiche e gli inquinanti organici persistenti fuori dall’ambiente e riducendo o eliminando la produzione di entrambi, a fermare le prospezioni minerarie in luoghi come il Parco Nazionale Yasuni in Ecuador e Murchison Falls National Park in Uganda, nel cercare di reprimere il commercio di avorio, nel premere per la riduzione del consumo di carne e nell’educare i decision-makers sul ruolo che la biodiversità svolge nelle vite umane. Soprattutto, gli scienziati della de-estinzione dovrebbero lottare per ottenere una rapida transizione verso le energie rinnovabili, promuovendo un obiettivo stop-at-two per la pianificazione familiare e, in generale, ricercando i modi per ridurre la scala della impresa umana.
Un fallimento in queste aree, renderà tutte le discussioni sulla de-estinzione discutibili, anche a lungo termine. La crociata della gente per i diritti delle donne (che, quando svengono raggiunti raggiunto abbattono il tasso di natalità) sta facendo dannatamente molto di più per la biodiversità di quel che fanno i biologi che fanno ricerca sulla de-estinzione.
Paul R. Ehrlich*
*Paul R. Ehrlich è Bing Professor of Population Studies alla Stanford University, dove è anche il presidente del Center for Conservation Biology. E’ co-fondatore del “Field of co-evolution” ed uno tra i primi a sollevare I problemi della popolazione, delle risorse e dell’ambiente come questioni di ordine pubblico. Alla redazione di questo articolo, pubblicato il 13 gennaio 2014 su Yale Environment 360 con il titolo “The Case Against De-Extinction: It’s a Fascinating but Dumb Idea”, ha contribuito Anne H. Ehrlich, associate director del Center for Conservation Biology della Stanford University.