Riceviamo e pubblichiamo
Scimpanzé, il nostro cugino più prossimo in pericolo di estinzione
Tartabini: «Oggi, purtroppo, questo pericolo non viene avvertito. Tra la gente non esiste tanta pena per questa possibile perdita»
[9 Giugno 2023]
Tutte le scimmie antropomorfe (gorilla, scimpanzé e orango) e anche molte altre specie di scimmie sono in pericolo di estinzione. Non bisogna dimenticare che lo scimpanzé è la specie evolutivamente a noi più prossima; questo non vuol dire che il gorilla e l’orango siano meno importanti, ma se lo scimpanzé dovesse scomparire non avremmo più quel rapporto unico e distintivo che l’uomo ha sempre avuto con il resto del regno animale.
Oggi, purtroppo, questo pericolo non viene avvertito. Tra la gente non esiste tanta pena per questa possibile perdita. Se questa è la sensibilità umana per il nostro cugino più prossimo, cioè lo scimpanzé, non abbiamo molte speranze.
In Indonesia, negli ultimi venti anni, più di centomila oranghi sono scomparsi dal Borneo; in Africa i gorilla di montagna sono rimasti in poche centinaia e gli scimpanzé, sia quello comune (Pan troglodytes) sia quello nano (Pan paniscus), sono rimasti in poco più di un migliaio. Al solo pensiero che all’inizio del Novecento gli scimpanzé in Africa erano più di un milione, c’è da rabbrividire.
Fino a poco tempo fa le cause principali della loro scomparsa erano il bracconaggio e la deforestazione; negli ultimi decenni si è aggiunta l’apertura di molte miniere per l’estrazione di minerali preziosi, come oro, argento, coltan e manganese, che si sono scoperti nei loro territori naturali.
Le concessioni date dai governi locali alle multinazionali delle estrazioni minerarie sono state catastrofiche, non solo per gli animali ma anche per gli uomini del luogo che sono stati reclutati come forza lavoro con salari da fame e che quindi non sono serviti nemmeno a risollevare le sorti economiche di questi territori. Quando si visitano queste miniere spesso a cielo aperto (se le guardie lo consentono, sempre dietro laute mancette), sembra di entrare in un infernale girone dantesco.
Purtroppo i pericoli per le scimmie antropomorfe non finiscono qui. Ne esistono altri, per esempio la diffusione di alcune malattie umane che gli sono state ingiustamente attribuite: l’Ebola, l’Aids e in ultimo il Covid-19. Naturalmente non esistono prove scientifiche che lo dimostrino, ma all’uomo piace scaricare le proprie colpe sugli altri, in questo caso su animali che purtroppo non possono difendersi da soli. Non è allora da escludere il fatto che in origine essi abbiano ricevuto questi tre virus da noi uomini, che tali virus siano mutati nei loro corpi e che poi ce l’abbiano mortalmente ritrasmessi.
A proposito dell’auto-difesa, un racconto di Franz Kafka dal titolo Una relazione accademica e pubblicato nel 1917, mi ha colpito molto. Kafka racconta la sua storia da essere umano, dopo essere stato uno scimpanzé in una vita passata, con le seguenti parole: “Illustri signori dell’Accademia! Voi mi fate l’onore d’invitarmi a presentare una relazione sulla mia precedente vita da scimmia, cioè di uno scimpanzé che venne chiamato dagli uomini Pietro il Rosso a causa di una cicatrice sulla guancia provocata da una fucilata quando fu catturato mentre viveva felice nel suo gruppo di appartenenza nella foresta. Dopo la cattura, Pietro il Rosso venne portato in Europa e ammaestrato per esibirsi in un circo (un classico!). Quando si esibiva però era lui che in fondo rideva degli uomini e della loro sostanziale inferiorità e soprattutto del loro narcisismo. In sostanza li disprezzava, anche se era costretto a piegarsi ai loro desideri per garantirsi una forma di libertà, nella consapevolezza di imitare una specie, appunto l’uomo, che distruggeva e che derideva la sua specie di appartenenza, quella dello scimpanzé”.
Quando Kafka ritorna ad assumere sembianze umane riflette sulle costrizioni della propria natura e sul fatto che per sopravvivere deve piegarsi alle dure regole della società umana. Non so che cosa avesse veramente in mente Kafka quando scrisse questo racconto. Non che fosse un primatologo o che sapesse molto sulla vita delle scimmie in libertà, ma è chiaro che lui volesse sottolineare che la libertà degli uomini può essere messa in discussione in ogni momento.
In sostanza l’uomo è prigioniero di sé stesso e per sentirsi libero deve assumere le sembianze di un animale. Kafka lo fece capire meglio in un’altra curiosa e famosa trasformazione ne La metamorfosi, racconto pubblicato nel 1915: uno scarabeo che mantiene queste sembianze fino alla sua morte pur possedendo la mente di un uomo, il quale però in queste vesti si sente libero.
Il filosofo romano Apuleio scelse l’asino per questa trasformazione e quando ritornò ad assumere le sembianze umane realizzò il senso della sua inadeguatezza e soprattutto della sua frustrazione tra gli uomini. Quelle di Apuleio e di Kafka sono forse delle trasposizioni in un nostro lontano parente: potrebbe trattarsi dell’homme sauvage di Rousseau.
Kafka e Apuleio hanno colto molto bene il senso del rapporto che noi uomini abbiamo con gli animali, in particolare con lo scimpanzé perché è quello che ci assomiglia di più. Osservandolo, noi uomini capiamo che la nostra vita non è che una privazione della nostra libertà. Ci adeguiamo alle regole della società principalmente attraverso la repressione e l’adeguamento. Gli animali, soprattutto quelli selvatici, non sottostanno mai a queste regole.
La loro è vera libertà e quindi devono essere eliminati per farci passare l’angoscia e l’inquietudine che ci pervadono quando li osserviamo. Quando ne abbiamo l’opportunità, non esitiamo a eliminarli, anche se a dire il vero, non tutti gli uomini sono malvagi con loro.