Sondaggio: il 76% degli italiani è contro la caccia e vorrebbe vietarla su tutto il territorio nazionale

Rapporto Wwf sui 30 anni della legge 157/92: «E’ un anacronismo culturale da superare senza alcun rimpianto»

[10 Febbraio 2022]

Nel trentesimo anniversario della Legge quadro sulla caccia e sulla tutela della fauna selvatica il Wwf Italia pubblica un sondaggio commissionato a EMG Different  e realizzato su un campione rappresentativo della popolazione nazionale Secondo il sondaggio, realizzato tra il 4 e il 7 febbraio 2022, «La caccia si presenta come argomento fortemente polarizzante. Il sentimento che prevale tra gli italiani sembra essere nettamente contrario a questa attività, specie in considerazione dei suoi aspetti più crudeli e senza controllo. Il 72% del campione ritiene poi, che l’esercizio della caccia generi problemi alla sicurezza dei cittadini e il 57% la ritiene un rischio per la salute delle persone».

Il Wwf sottolinea che «Nel complesso permane una mancata conoscenza di alcuni elementi che afferiscono all’attività venatoria come, ad esempio, il diritto da parte dei cacciatori di entrare nelle proprietà private durante la caccia anche senza il consenso del proprietario (solo il 36% ne era a conoscenza), o la qualificazione della fauna selvatica (anche di quella cacciabile) come patrimonio comune dello Stato e quindi di tutti gli italiani (ben il 44% degli italiani ne è all’oscuro)».

Ma dal sondaggio emerge comunque una posizione netta – con livelli di livelli di disapprovazione pari al 90%. – sugli aspetti più controversi della regolazione dell’attività venatoria come ad esempio: l’uso di richiami vivi per piccoli uccellini e la caccia consentita per alcune specie in via di estinzione, ma anche l’utilizzo munizioni contenenti il piombo e la caccia esercitata durante il fine settimana.

Inoltre, il 43% degli intervistati auspica una riduzione delle attività di caccia con l’applicazione di regole più severe e il 42% giudica la caccia una inutile crudeltà.

Ma, dice il Wwf , «Gli italiani si dimostrano dubbiosi e sfiduciati circa la capacità dello Stato di garantire un adeguato controllo sull’attività venatoria al fine di prevenire gli illeciti. Il 58% degli italiani ritiene, infatti, che le sanzioni previste in Italia per contrastare il bracconaggio e la caccia illegale siano insufficienti e addirittura il 71% considera che le forze dell’ordine e la Magistratura non siano sufficientemente a conoscenza degli impatti generati da questi crimini di natura».

In conclusione, ben il 76% degli italiani non trova giusto che la caccia sia praticata in Italia e sarebbe d’accordo nel vietarla in tutto il territorio nazionale.

Il sondaggio è affiancato dal  Report “Caccia e tutela della fauna selvatica. La legge 157/1992 a trent’anni dalla sua approvazione” che analizza gli effetti concreti della sua applicazione in questi 30 anni dalla entrata in vigore e che  documenta «come quella che doveva essere una legge innovativa è stata sin da subito tradita da chi avrebbe dovuto applicarla, le Regioni innanzi tutto». Da “Caccia e tutela della fauna selvatica” emergono non solo «i forti limiti che la normativa ha evidenziato soprattutto in fase applicativa, ma anche l’esigenza di fare un necessario passo avanti nella tutela di tutta la fauna selvatica, anche quella considerata “minore”, attraverso maggiori limitazioni, controlli e sanzioni più aspre».

Il Report documenta anche il costante impegno del Wwf per contrastare le violazioni della legge con decine e decine di ricorsi in gran parte vinti, per compensare una debolezza del sistema di controlli con decine di migliaia di ore di vigilanza venatoria garantita dai volontari dell’Associazione, per eliminare la caccia tra le discipline sportive addirittura formalmente riconosciute dal CONI.

Il wwf ricorda che «La Legge n. 157 dell’11 febbraio 1992, che tutela la fauna selvatica in Italia e disciplina l’attività venatoria, nasce dopo il referendum sull’abolizione della caccia ed è stata spinta dalla necessità di un adeguamento, realizzato solo parzialmente, agli standard internazionali di tutela della biodiversità introdotti in particolare con la Direttiva Uccelli del 1979 e con la Convenzione di Berna sulla vita selvatica e l’ambiente naturale recepita in Italia nel 1981. Con la sua entrata in vigore sono state introdotte importanti innovazioni rispetto alla precedente normativa tra cui la riduzione delle specie cacciabili da 68 a 59 (poi ulteriormente diminuite), la durata della stagione di caccia da circa 8 a 5 mesi, la fine del cosiddetto nomadismo venatorio legando i cacciatori ad uno specifico territorio, la previsione di sanzioni penali contro chi pratica la caccia illegale. Queste innovazioni, però, si sono dimostrate, in molti casi, insufficienti e non idonee a perseguire la principale finalità per cui la legge era stata ideata: la tutela della fauna selvatica.

Sin da subito le Regioni, prima con provvedimenti amministrativi e poi tentando la strada della normativa regionale, hanno cercato di introdurre varie deroghe alla normativa nazionale. Puntualmente smentite da decine di sentenze dei tribunali amministrativi, oltre che da contestazioni formali aperte dal Governo, le Regioni sono state più dalla parte dei cacciatori che non da quella della fauna selvatica. Il tutto per altro aggravato dal fatto che in Italia rimane il paradosso per cui, ai sensi dell’articolo 842 del Codice Civile -introdotto ai tempi del fascismo -, ai soli cacciatori è permesso di accedere nei fondi privati senza autorizzazione preventiva al fine di esercitare l’attività venatoria».

Il Report individua tre principali problemi della legge:

1 Competenza normativa regionale. Dopo l’entrata in vigore della riforma del titolo V della Costituzione (avvenuta nel 2001), la materia della caccia è stata eliminata dal testo costituzionale, divenendo una competenza regionale esclusiva. Diverse Regioni hanno approvato leggi su tutela della fauna selvatica e attività venatoria, provocando numerosi conflitti –tuttora accesi- tra Stato e Regioni. Dall’analisi delle sentenze emesse dalla Corte costituzionale dal 2002 al 2021 emerge come, ogni anno, in media, la Consulta dichiari costituzionalmente illegittime un minimo di due leggi regionali per violazione dello standard minimo di tutela ambientale definito dalla L. 157/1992: Liguria, Lombardia e Veneto sono le maggiori autrici di leggi regionali incostituzionali in questa materia. Lo stesso conflitto si verifica con i provvedimenti amministrativi. Ogni anno, infatti, il 90% dei calendari venatori regionali che vengono impugnati davanti ai tribunali amministrativi regionali da parte delle Associazioni di protezione ambientale vengono dichiarati totalmente o parzialmente illegittimi.

2 Governance e pianificazione. Gli ambiti territoriali di caccia (ATC) in cui, secondo i principi di pianificazione delineati dalla legge, è ripartito il territorio dedicato alla “gestione programmata della caccia”, dovrebbero garantire il legame cacciatore-territorio anche attraverso una sorta di “autogestione” del territorio e delle sue risorse ambientali, che preveda azioni mirate a preservare gli habitat e le specie. Nella pratica, però, si creano una serie di centri di potere gestiti non con la finalità di tutelare l’ambiente ma di ottenere consensi. Chiari esempi sono rappresentati dal sistema delle “immissioni” di fauna selvatica (come, fagiani e lepri) non finalizzate a ripopolare gli habitat ma a garantire la “pronta caccia” o dalla possibilità per i cacciatori di esercitare l’attività venatoria in ATC diversi da quelli di residenza.

3 Prevenzione e repressione delle illegalità. Altro grave problema che continua ad aggravarsi anno per anno, riguarda gli strumenti posti a presidio dell’applicazione del testo normativo e finalizzati a prevenire e reprimere le condotte che violano i divieti, a volte oscuri o generici, previsti dalla legge. Mancano sanzioni realmente efficaci e manca il supporto necessario per contrastare bracconaggio e caccia da frodo a chi si occupa della vigilanza venatoria (Carabinieri Forestali, Polizie Provinciali, Guardie venatorie volontarie). Si pensi che l’autore della uccisione di uno o più animali appartenenti a specie considerate dalla legge come “particolarmente protette” come un lupo o un’aquila, ha oggi la possibilità, previa il pagamento di una somma pari a circa 1.000 euro, a titolo di oblazione, di vedere cancellato il reato commesso e ripulita la fedina penale, a prescindere dalla valutazione sulla sua colpevolezza. Da uno studio WWF emerge, inoltre, come con l’apertura della stagione venatoria aumentino esponenzialmente gli illeciti contro la fauna selvatica, crimini di natura attuati nella generale inconsapevolezza dei cittadini.

Per il Wwf, «La legge 157/1992 non è idonea a garantire la tutela della fauna selvatica e necessita di modifiche strutturali. La caccia, oggi più che mai, è un anacronismo culturale da superare senza alcun rimpianto, anche alla luce degli impatti determinati dal suo svolgimento».

Per questo il Wwf chiede «Un testo unico che, superando un testo che si occupa solo di uccelli e mammiferi, tuteli la fauna selvatica nel suo complesso attraverso una forte limitazione della pratica venatoria, un rafforzamento dei controlli e un inasprimento delle sanzioni. Molto importante è inoltre ridefinire una parità di diritto tra i cacciatori e chiunque altro voglia godere pienamente della natura, in questo senso i primi provvedimenti dovrebbero essere l’abolizione dell’art. 842 del codice civile che consente ai soli cacciatori di accedere ai fondi privati, e l’introduzione del divieto di caccia nei giorni festivi e nei fine settimana, per consentire a tutti di frequentare boschi e campagne senza i rischi e il disturbo delle fucilate».